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venerdì 14 settembre 2007

Il Vaticano: no all’eutanasia anche su malati in “stato vegetativo”, sono sempre persone

Documento della Congregazione della dottrina della fede: dare acqua e cibo non è una terapia, che in alcune situazioni può essere sospesa, ma un mezzo naturale di conservazione della vita. La questione era stata sollevata dai vescovi degli Usa.


Città del Vaticano (AsiaNews) – Anche le persone “in stato vegetativo permanente” hanno diritto ad avere cibo e acqua, anche con mezzi artificiali: tali strumenti infatti sono “sempre un mezzo naturale di conservazione della vita e non un trattamento terapeutico”, che può invece essere interrotto qualora non abbia alcuna possibilità di portare alla guarigione del malato del quale prolunga inutilmente le sofferenze. Il Vaticano torna oggi a ribadire il no all’eutanasia, comunque mascherata, ricordando al tempo stesso non solo il rifiuto che va opposto al cosiddetto accanimento terapeutico e riconoscendo la possibile esistenza di situazioni particolari – come l’incapacità di assimilazione da parte del malato – che rendono accettabile anche la sospensione della somministrazione di acqua e cibo.

Sono queste le indicazioni che – con esplicita approvazione papale - vengono dalle risposte e dal commento che la Congregazione per la dottrina della fede ha dato a due domande poste dalla Conferenza episcopale degli Stati Uniti sulla questione dei malati in “stato vegetativo permanente”.
Evidentemente provocate dal caso Terry Schiavo, la donna in “stato vegetativo permanente” morta negli Usa alla fine del marzo 2005 proprio in seguito alla sospensione del nutrimento e dell’acqua.

“La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali – afferma dunque il dicastero dottrinale vaticano - è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare l’idratazione e il nutrimento del paziente”.

Tali mezzi “ordinari” non vano sospesi neppure quando “medici competenti giudicano con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza”. Un paziente in “stato vegetativo permanente” , infatti, “è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono, in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali”.

Una lunga nota di commento della stessa Congregazione ripercorre le indicazioni offerte in materia dai papi – a partire da Pio XII – e dallo stesso dicastero. In esse, in particolare, si rileva come “i pazienti in ‘stato vegetativo’ respirano spontaneamente, digeriscono naturalmente gli alimenti, svolgono altre funzioni metaboliche, e si trovano in una situazione stabile. Non riescono, però, ad alimentarsi da soli. Se non vengono loro somministrati artificialmente il cibo e i liquidi muoiono, e la causa della loro morte non è una malattia o lo “stato vegetativo”, ma unicamente l’inanizione e la disidratazione. D’altra parte la somministrazione artificiale di acqua e cibo generalmente non impone un onere pesante né al paziente né ai parenti. Non comporta costi eccessivi, è alla portata di qualsiasi sistema sanitario di tipo medio, non richiede di per sé il ricovero, ed è proporzionata a raggiungere il suo scopo: impedire che il paziente muoia a causa dell’inanizione e della disidratazione. Non è né intende essere una terapia risolutiva, ma una cura ordinaria per la conservazione della vita”.

Nell’affermare che la somministrazione di cibo e acqua è moralmente obbligatoria in linea di principio, la Congregazione della dottrina della fede “non esclude che in qualche regione molto isolata o di estrema povertà l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano non essere fisicamente possibili, e allora ad impossibilia nemo tenetur, sussistendo però l’obbligo di offrire le cure minimali disponibili e di procurarsi, se possibile, i mezzi necessari per un adeguato sostegno vitale. Non si esclude neppure che, per complicazioni sopraggiunte, il paziente possa non riuscire ad assimilare il cibo e i liquidi, diventando così del tutto inutile la loro somministrazione. Infine, non si scarta assolutamente la possibilità che in qualche raro caso l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico legato, per esempio, a complicanze nell’uso di ausili strumentali. Questi casi eccezionali nulla tolgono però al criterio etico generale, secondo il quale la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenta sempre un mezzo naturale di conservazione della vita e non un trattamento terapeutico. Il suo uso sarà quindi da considerarsi ordinario e proporzionato, anche quando lo ‘stato vegetativo’ si prolunghi”.

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