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venerdì 30 marzo 2007

Eroi. Santi. Eccone uno.


È morto p. Paolo Noè, l’ultimo missionario del Pime in Myanmar (la ex Birmania).
Con lui si chiude l’epopea della prima evangelizzazione del Paese. Il Pime, presente dal 1867, ha fondato 6 diocesi. Fra le popolazioni Shan e Karen, i missionari sono stati anche promotori di sviluppo.

Leggete questo articolo scritto da padre Bernardo Cervellera e pubblicato su Asianews. Lo trovo commovente, bello.
Eroi, questi uomini. Santi, diciamo noi cattolici.
Dovremmo metterci ogni sera davanti al fuoco e raccontare ai nostri figli un uomo e una vita così. Altro che dico, pacs, telefonini, grandi fratelli, prodi, furbi, birbi, corone, scettri, cocaine, canne, schifezze...

Chi le penserebbe più?!?

E poi guardate che bella faccia!

Leggete. Cliccate il titolo e leggerete.
Bella storia.

Cina, la casa nel cantiere.

Cina, la casa nel cantiere.

Una coppia resiste alla costruzione di un centro commerciale: e la storia fa il giro del mondo.
Vedete il servizio su Repubblica (non ho trovato di meglio, scusate...). Cliccate il nostro titolo.
Guardate, per me meritano. Anche se lo facessero solo per i soldi. Meritano.
Tosti, così.

Viva la libertà!

Eccolo!


Abbiamo citato mons. Bagnasco, ed allora eccolo qua!
Monsignor Bagnasco, il nuovo Presidente della CEI, viene definito su questo blog dal nostro Paolo Gulisano "un uomo all'apparenza un pò timido, magro, minuto, dallo sguardo acuto e penetrante. Le parole tranquille, quasi sommesse, ma precise e affilate come una lama, come il giudizio, netto e chiaro. Un padre Brown ligure, insomma".
Eccolo, il padre Brown ligure!

Benvenuto, Eccellenza!
Benvenuto dai chestertoniani italiani!
La aiuteremo di certo, come potremo, ma stia sicuro!

giovedì 29 marzo 2007

Nello!

Cari amici,
giusto per stemperare la nostra imperante serietà (gli argomenti sono stringenti in questi ultimi tempi! il flusso di notizie è torrenziale!), vi annuncio che ho dato vita ad uno splendido blog cui verrete portati cliccando il nostro titolo.
E' in onore di un nostro amico, che chestertonianamente potremmo definire il Patrick Dalroy della costa adriatica, e diversi chestertoniani storici lo conoscono: è Nello!

Andate a vedere, è solo agli inizi ma merita.
Evviva Nello!

mercoledì 28 marzo 2007

BENVENUTO MONSIGNOR BAGNASCO

True Chestertonians,
oggi vi proponiamo l'intervento del Monsignor Bagnasco, erede di Ruini alla presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, in materia di famiglia ed iniziative legislative attuali su unioni di fatto.
Il documento ci arriva dal nostro PAOLO GULISANO che ci regala anche un suo commento finale al riguardo.
Buona Lettura, dunque, e buoni e liberi commenti!
Lex Sioux


Conferenza Episcopale Italiana

Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto

L'ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie.
Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell'uomo e della società nell'impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.
La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che
intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in
proposito.
È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente «approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che
meritano un'autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l'azione convergente dei Vescovi» (Statuto C.E.I., art. 23, b).
Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo
convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera.
Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell'affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita.
E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l'impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.
Anche per la società l'esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.
A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l'intenzione di chi propone questa scelta, l'effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro.
Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume. Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.

Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell'esistenza. Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive.

A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell'ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che
sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.
Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico.
Lo facciamo con l'insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica
post-sinodale Sacramentum Caritatis: «i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza,
rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana», tra i quali rientra «la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna» (n. 83).
«I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato» (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.
In particolare ricordiamo l'affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di «un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle
unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).
Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l'insegnamento del Magistero e pertanto non «può appellarsi al principio del pluralismo e
dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).
Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.
Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l'intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall'amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.

Roma, 28 marzo 2007
I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.

" I laicisti italioti avevano da tempo lanciato una aspra polemica nei confronti del Cardinale Ruini, oggetto di attacchi vari e lazzi televisivi indecenti.
Ora se la dovranno vedere con monsignor Bagnasco, il nuovo Presidente, un uomo che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente lo scorso novembre nel corso di un convegno dei medici cattolici.
Un uomo all'apparenza un pò timido, magro, minuto, dallo sguardo acuto e penetrante. Le parole tranquille, quasi sommesse, ma precise e affilate come una lama, come il giudizio, netto e chiaro. Un padre Brown ligure, insomma.
Bene, monsignor Bagnasco, che la Società Chestertoniana italiana, nella persona del suo Vicepresidente, saluta con filiale e deferente entusiasmo, ha oggi licenziato un chiarissimo documento sulle cosiddette convivenze che dice con perfetta sintesi esattamente tutto quello che c'è da sapere sulla questione.
Immaginiamo che non mancherà la risposta, la gazzarra laicista, la canea anticlericale con i suoi (pochi) personaggi simbolo: il Grillini parlante (a vanvera) e Cecchi Pa(v)one. Li aspettiamo chestertonianamente a piè fermo, saldi come Adam Wayne intorno alla nostra bandiera biancogialla.
Facendo poi seguito a ciò che scrivevo ieri, voglio sottolineare un paio di passaggi cruciali del documento CEI: "Non abbiamo interessi politici da affermare; - dicono i Vescovi- solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune…" Molto chiaro.
E poi ancora: "Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l'insegnamento del Magistero e pertanto non «può appellarsi al principio del pluralismo e dell'autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società".
Più chiaro di così... e vale non solo per i "dico", ma anche per tutte le altre questioni su cui il Magistero si è pronunciato, dalla bioetica alla guerra ingiusta. Per meno di così non ci si può dire cristiani."
Paolo Gulisano

martedì 27 marzo 2007

LA CHIESA E' CATTOLICA E ABBRACCIA TUTTO!

Chestertonians di fine marzo,
sono lieto di offrirvi un articolo "fresco" di stampa che il nostro caro amico scrittore, PAOLO GULISANO (alla vostra destra trovate il link al suo bel blog), fondatore e Vicepresidente della Società Chestertoniana Italiana, ci ha appena donato.
Il suo intervento, come scoprirete leggendolo, ci evidenzia alcuni lati più dark ed ambigui dell'operato di Anthony Charles Lynton Blair, detto Tony Blair, primo ministro del Regno Unito dal lontano 1997...


Cari amici, avanti con giudizio…


Paolo Gulisano

La politica è una faccenda piuttosto particolare: per molti è il proseguimento dell’economia (e degli affari) con altri mezzi, per molti è interesse, per altri è passione. Oggi in Italia è soprattutto tifo. E’ bandiera, è fazione, o stai di qua o stai di là. Già, ma dove?
Bene ha fatto il nostro Blog a ricordare che, come diceva il cardinale Newman, anche la Chiesa è un soggetto politico, termine molto più pregnante che non “partito”, che esprime un concetto – appunto- di “parte”, di porzione, mentre la Chiesa è Cattolica, ovvero abbraccia e comprende il tutto.

Comunque, per dei cattolici, la propria bandiera, la propria Patria, la propria Causa, è la Chiesa, anzitutto. Se la Chiesa per i credenti che fanno politica viene prima della sinistra e della destra, di Prodi e Berlusconi, di qualunque “fedeltà” parziale, le cose non potranno che andare meglio.

Lo sapeva bene Gilbert Chesterton, che non si schierò mai né a destra né a sinistra, ma solo dalla parte del buon senso e della Fede.

Se si seguirà questo metro di giudizio, si eviteranno gli errori commessi dai cattofaziosi che stanno prima col loro partito che con le ragioni della Fede. E questi non sono errori solo delle varie rosibindi.

Pensate alla cantonata presa nei confronti di Tony Blair e dalla sua politica dal settimanale di centrodestra Tempi, il quale per lungo tempo ha cantato le lodi del premier inglese Tony Blair, meritevole soprattutto di aver portato in Regno Unito in guerra coll’Irak. Nel giugno 2003, ad esempio, il periodico diretto da Gigino Amicone elogiava la politica “thatcheriana” dell’inquilino di Downing Street in termini apologetici: “In fatto di lotta alla criminalità, poi, il premier ha sfidato tutti con scelte controcorrente, da molti ritenute addirittura draconiane, come la riapertura dei manicomi criminali poiché «non possiamo permetterci che dei pazzi girino indisturbati per le strade».

Vogliamo parlare di immigrazione? Profughi e rifugiati che non hanno diritto all'asilo in Gran Bretagna verranno espulsi dal Paese in un massimo di sei mesi dal loro arrivo e nel corso della permanenza, non riceveranno alcun contributo finanziario in contanti - come invece hanno fatto fino al 2001 - ma solo buoni per cibo e vestiti.
Le riforme sono partite con un'accelerazione delle procedure per esaminare le richieste d'asilo, che, con i nuovi parametri, verranno concluse entro due mesi dall'arrivo del profugo. Una volta raggiunta una decisione, ci sarà un'unica possibilità d'appello (a differenza del sistema attuale, che prevede diversi ricorsi), che verrà considerata entro quattro mesi.

In caso di esito negativo, il richiedente verrà immediatamente trasferito dal tribunale in un centro d'accoglienza e sarà rispedito in patria. Oggi, inoltre, Blair ha chiesto l'istituzione di centri di permanenza per clandestini fuori dai confini dell'Ue per evitare la loro presenza su suolo comunitario in attesa dell'espulsione.

Scozia e Galles vogliono più autonomia? Nessun problema, c'è la devolution, altra scommessa vinta dal primo premier britannico a indossare i jeans quando lavora in ufficio a Downing Street: responsabilizzare e decentrare, questa la ricetta.
Nemmeno Maggie
avrebbe osato tanto.

Blair di sinistra? Certo, nelle piccole cose che fanno contenti i perditempo della politica: apertura alle coppie gay (con un paio di outing istituzionali a colorare il tutto con le tinte del gossip) e dibattito sull'abolizione della caccia alla volpe. Sulle cose serie, però, i provvedimenti hanno in calce il timbro di "Iron Maggie". E la Gran Bretagna va.”

Già, e dove è andata? “Sotto la guida di Tony Blair il Governo e il Parlamento hanno fatto piombare il Paese in un abisso dell’etica, in cui non esiste giusto o sbagliato, ma semplici aspetti amministrativi e tecnici da risolvere attraverso l’attuazione di nuovi approcci contrari alla vita.
Due delle prime misure messe in atto da Tony Blair riguardano l'aver avviato una politica relativa alla gravidanza adolescenziale e l'aver dato spazio alle proposte dirette a modificare la legge sulla fine della vita.

La prima concerne la possibilità di far abortire e di fornire farmaci e dispositivi anticoncezionali alle ragazze anche di 11 anni senza la conoscenza o il consenso dei genitori. La seconda ha portato al varo di una legge – la Mental Capacity Act 2005 – che consente, e in determinate circostanze impone, ai medici di far morire d’inedia e disidratazione pazienti indifesi.
Il Governo Blair sta esportando l’aborto su richiesta nei Paesi in via di sviluppo sotto il pretesto degli Obiettivi di sviluppo del Millennio ed ha aumentato il finanziamento per le agenzie dedite al controllo demografico quali la International Planned Parenthood Federation e il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, coinvolte peraltro anche nella politica cinese del figlio unico.

Tony Blair ha promosso anche la sperimentazione distruttiva degli embrioni umani clonati. In generale, non esiste sostanzialmente nessun ambito eticamente sensibile per la vita e la famiglia che non sia stato peggiorato durante il Governo Blair.

Inoltre, il Regno Unito esercita una influenza decisiva nell’ambito dell’Unione europea e di molte altre parti del mondo, a sostegno di politiche contrarie alla vita e alla famiglia.” Il Regno Unito sta esportando valori contrari alla vita e alla famiglia, insomma, e questa non è l’articolata opinione di uno storico nemico della perfida Albione, ma di un autentico british, che però è cattolico, e quindi dotato di buon senso: John Smeaton, Direttore di un’organizzazione impegnata a promuovere legislazioni pro vita, la Society for the Protection of Unborn Children.

A differenza dei tifosi “tempisti” di Blair, che erano rimasti abbagliati dal suo carisma mediatico (un “Berlusconi” a Downing Street?) e soprattutto dal suo intransigente appoggio a Georgie Bush, il cattolico inglese Smeaton, implacabilmente chestertoniano, svela tutte le nequizie luciferine di Blair, come l’essere riuscito a sancire l’eutanasia per omissione nella legge dell’aprile 2005, mentre al contempo assicurava ai politici e ai leader religiosi di essere completamente contrario alla legalizzazione dell’eutanasia.

Altri provvedimenti presi dal pessimo Tony fanno morire d’invidia Zapatero, la bestia rossa dei cons, come il fatto che in Gran Bretagna grazie a Blair l’aborto e i contraccettivi vengono resi disponibili ai bambini minori di 16 anni a scuola – anche nelle scuole cattoliche – senza necessità di informare oppure ottenere il consenso dei genitori.
Inoltre, il Governo britannico ha emanato una normativa sulle pari opportunità nel lavoro tra uomini, donne, omosessuali e transessuali, che deve essere attuata pena pesanti sanzioni.

La Gran Bretagna, insomma, ha completamente perso la sua bussola morale. E questo, se sicuramente addolora Gilbert sulla sua enorme nuvola in Paradiso, deve far riflettere tutti noi qui e ora, e soprattutto dovrebbe far meditare sul fatto che non si fa politica da cattolici anteponendo, alle ragioni di Dio e dell’uomo, quelle della fazione ideologica o economica.
Non tifosi, ma testimoni, proprio come GKC

Pillole di Gilbert -1


«La grande marcia della distruzione intellettuale proseguirà. Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo. Sarà una posizione ragionevole negare le pietre della strada; diventerà un dogma religioso riaffermarle. È una tesi razionale quella che ci vuole tutti immersi in un sogno; sarà una forma assennata di misticismo asserire che siamo tutti svegli. Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Noi ci ritroveremo a difendere, non solo le incredibili virtù e l'incredibile sensatezza della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile, questo immenso, impossibile universo che ci fissa in volto».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici, 1905

Chesterton è attuale - 5


Per la rubrica "Chesterton è attuale", trovate un articolo uscito sul settimanale Tempi a firma di Oscar Giannino che comincia così:

"Diceva quel galantuomo di Gilbert Keith Chesterton che la famiglia è il test della libertà, perché è l'unica cosa che l'uomo libero fa da sé e per sé. Poiché chi scrive difende tenacemente i diritti naturali della persona e della famiglia, e di tutte le libere associazioni in cui persona e famiglia estrinsecano il proprio diritto preesistente a quello dello Stato e di ogni altra comunità pubblica, affermo fuori dai denti che non sono molto convinto di come i cattolici italiani abbiano sin qui mostrato di esprimere la propria posizione nel grande dibattito che si è aperto intorno ai Dico".

Interessante.

12 Maggio 2007. Oh, chiaramente si va, ragazzi...


Pappatevi l'editoriale di Eugenia Roccella sul fatto che si va lancia in resta il 12 Maggio a Roma e le chiacchiere stanno a zero!

Noi chestertoniani si va, naturalmente!
Da San Benedetto del Tronto parte un pullman!

Passate la voce!
Gilbert sarà lì per il mistero della comunione dei santi, io ne sono certo!!! Porterà la sua spirituale cassa di sapone e griderà a quei pazzi che sono pazzi! Ci saremo tutti! Sapete che vi dico? Gilbert già ci aspetta là (amava particolarmente le osterie di Roma, lo sanno tutti...). Guardate come se la ride!

Ma pensa che bello! Chi ce la dà un'altra occasione così?


Avvenire 20.3.2007

Il senso di una mobilitazione

I laici cattolici chiedono di poter parlare

Eugenia Roccella

Ormai è certo: il 12 maggio tutti in piazza San Giovanni, a Roma, a difendere la famiglia. La manifestazione, che avrà come slogan «Più famiglia», sarà la prima, vera risposta a un attacco che si è intensificato negli ultimi mesi ma che è all'opera da tempo, grazie alla diffusione di una cultura che porta alla disgregazione del tessuto sociale e del senso comune, senza proporre concrete alternative.
Dove conduce, infatti, questa cultura? La risposta è che si tratta di conquiste di civiltà, e che l'Italia sarebbe l'unico Paese, in Europa, a non accogliere con entusiasmo norme che si limiterebbero a prendere atto di un mutamento già avvenuto. Ma a un'indagine appena attenta si scopre che nelle altre nazioni europee i danni sono tangibili e non facili da riparare: l'aumento delle unioni di fatto corrisponde regolarmente a un'alta percentuale di separazioni, a una crescita delle madri sole, all'eclissi o alla transitorietà della funzione paterna, all'impoverimento femminile, a un calo delle opportunità per i figli, e talvolta, come è stato messo in evidenza nel caso inglese, a un drammatico incremento della violenza e del disagio giovanile.
Inoltre, da noi le coppie di fatto sono appena il 4% del totale, dunque non si tratta di sanare situazioni preesistenti, di regolare un imponente fenomeno di costume, ma di promuoverlo e incoraggiarlo, creando opzioni alternative. Mentre il matrimonio è fortemente impostato sui doveri, per tutelare il più possibile i soggetti deboli, le nuove forme di convivenza sarebbero centrate sui diritti, e produrrebbero uno squilibrio oggettivo. Potendo scegliere tra una formula con poche responsabilità e una che ne comporta molte di più, quanti opterebbero per quella più impegnativa? E quali costi umani e sociali dovrebbe pagare, allora, l'intera società?
Ma di queste cose abbiamo già parlato tante volte. Oggi si tratta di sostenerle con la nostra presenza fisica, con il nostro impegno personale. Si è spesso fatto appello alla società civile, a volte contrapposta a una politica "politicante" che finisce per essere lontana dai bisogni reali dei cittadini, per seguire percorsi autoreferenziali o ideologici. Ma in genere la società civile risponde attraverso forme di organizzazione collaudate, attraverso un associazionismo abituato a considerare le manifestazioni pubbliche come uno sbocco naturale della propria attività.
Questa volta non è così. Le associazioni laiche dei cattolici non hanno familiarità con la piazza, e l'appuntamento del 12 maggio, nella sua novità, segnala una svolta e un'urgenza. La svolta: non si può più tacere, pensando che ognuno possa andare avanti nella propria vita di tutti i giorni facendo finta di niente. Gli spazi per la testimonianza personale si stanno via via restringendo, e chi pensa che la famiglia sia un bene a rischio ha la responsabilità di attivarsi. L'urgenza: c'è un problema di formazione dei nostri figli, di educazione a una libertà accompagnata dal senso di responsabilità, c'è la necessità di scegliere quale futuro vogliamo costruire; e questo problema riguarda tutti, non solo i credenti.
Tutto il resto è affidato a diritti individuali che nessuno vuole negare, nessuno vuole attuare discriminazioni, e l'iniziativa del 12 maggio non è contro nessuno. Il Manifesto sottoscritto dalle associazioni che la promuovono è chiaro in proposito, così come è chiaro nell'indicare come famiglia quella a cui si riferiscono ben tre articoli della nostra Costituzione. «Ciò che è bene per la famiglia è bene per il Paese», conclude il Manifesto. Ed è per il bene del Paese che ci dobbiamo ritrovare tutti insieme a San Giovanni.

La Chiesa è necessariamente un partito politico (John Henry Newman)


Cari Amici,
in questo tempo in cui la Chiesa Cattolica per fortuna fa sentire la sua bella voce in mezzo al tripudio del nichilismo e dell'autodistruzione della cieca umanità, che con i suoi Dico e le sue fecondazioni assistite, le sue eutanasie e i suoi aborti eugenetici e selettivi crede di conquistare la libertà ed invece si avvia a grandi passi nel liquame della fogna puzzolente, qualcuno dice: "questa è un ingerenza!", quando tutti dicono tutto e il contrario di tutto e lo possono fare mentre la Chiesa no.
Molti dicono: "La Chiesa fa politica!", con lo stesso orrore con cui si potrebbe dire che la Chiesa bestemmia. Una delle ultime è stata Rosy Bindi, giusto per fare un nome.
A qualche amico viene in mente che "sì, in effetti è vero! Lo dice anche il sondaggio di Repubblica che il sessanta percento di italiani dicono che la Chiesa dovrebbe fare meno ingerenze!", ed allora noi, per aiuto alla memoria, per amore loro e per amore di Verità, pubblichiamo due brevissimi scritti di un grandissimo uomo, il Cardinale e servo di Dio John Henry Newman, pastore anglicano convertitosi al Cattolicesimo, ordinato prete e creato cardinale da Leone XIII, un grande. Sono tratti da due opere del grande Newman, di cui pubblichiamo anche una bella foto. Newman è legato strettamente a grandi uomini inglesi come Belloc, Tolkien e anche Chesterton.
Allora pare che la Chiesa possa e debba fare politica.
Leggete, fatene tesoro, è bellissimo!

"Strettamente parlando, la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell'esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza ed influenza fino alla fine dei tempi. Fin dall'inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo ma alla società stessa fondata su tale dottrina; fu predetta non solo l'indistruttibilità del cristianesimo, ma anche quella dell'organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo. Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche (...)".

"Dal momento che è diffusa l'errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. E' vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano tra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all'esterno lo spirito del male, nelle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la Verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli".

John Henry Newman, da "Gli Ariani del IV secolo" e "Conseguenze del Concilio di Nicea" .

lunedì 26 marzo 2007

Giusto, padre Brown...



L'altro giorno ho acquistato su internet la canzoncina della sigla de I Racconti di Padre Brown. E mi è ripartito l'entusiasmo, ed insieme la commozione.
I Racconti di Padre Brown nel 1970 furono messi in scena in TV grazie alla bravura e alla simpatia del guizzante Renato Rascel. Furono trasposti sei episodi della serie: La croce azzurra, Le colpe del principe Saradine, Il duello del dottor Hirsch, Il re dei ladri, I tre strumenti di morte, La forma sbagliata.
I Racconti di Padre Brown furono trasmessi per la prima volta dalla RAI tra il Dicembre 1970 e il Febbraio 1971, con una media di ascolto di oltre 18 milioni di telespettatori.

Spesso ruba la gente / perchè non ha niente / Così crede la gente / d’esser nullatenente / Ma se ciò che hai / fosse quello che ti resta da un naufragio sopra un isola deserta / grideresti di gioia / d’avere una coperta da mettere addosso / ed un bottone d’osso, un berrettino rosso / una cannuccia, un temperino / nelle tue mani... / Avresti un piffero dai suoni strani / per fare il verso ai gabbiani / Sapessi che bellezza / Sapessi che ricchezza / Sapessi che allegria ...”: ogni episodio de I racconti di Padre Brown era aperto da queste parole, voglio dire bellissime parole che sono la parafrasi di un intelligentissimo discorso tratto non da I Racconti di Padre Brown bensì da Ortodossia, sulle celebri note della canzone ‘Grazie, Padre Brown’ scritta da Renato Rascel appositamente per la serie televisiva e cantata da lui stesso insieme ai 4+4 di Nora Orlandi e ai Cantori Moderni di Alessandroni. Renato Rascel veste ottimamente i panni del pretino inglese di Norfolk, nato nel 1910 dalla penna di Gilbert Keith Chesterton.

Il segreto di Padre Brown è una profonda conoscenza dell’animo umano: egli scava nell’animo delle persone sino a immedesimarsi in loro, mettersi nei loro panni, e chiedersi che cosa avrebbe fatto al posto loro. Il trucco funziona, perchè in questo modo egli riesce puntualmente a bagnare il naso alla polizia. Vittorio Cottafavi firma la regia, mentre Arnoldo Foà interpreta Flambeau, il ladro redento (come è raccontato nel primo episodio della serie televisiva, in realtà avvenuto, nella) sempre pronto ad aiutare l’amico prete nelle sue indagini.

Toni ironici, talvolta apertamente comici, smorzano l’aspetto drammatico che fa da sfondo ad ogni racconto, e danno talora origine a sequenze spassose per lo spettatore (come l’interpretazione di Mario Pisu, nei panni del Prefetto di Parigi, o quella di Oreste Lionello nei panni dell’ispettore Gilder). Molto interessanti sono anche i dialoghi tra Padre Brown e Flambeau, sulle questioni della fede e - più in generale - della condizione umana. sono spesso tratti da altre opere di Chesterton.

Gli episodi sono correntemente in vendita sia in vhs che in dvd.

Mondone su Chesterton e Ratzinger.

Andrea Monda, caro carissimo amico e bravo bravissimo giornalista,tempo fa (novembre 2006), in occasione della calata di Jospeh Pearce in Italia scrisse un bell'articolo su Avvenire del 26 Novembre 2006, sfuggitoci clamorosamente.
Cliccate il nostro titolo, e vi sarete riportati.
Parla di Gilbert e del nostro caro Papa, sospettato fortemente di chestertonismo...

Che bello!

lunedì 19 marzo 2007

LA STORIA DEGLI ANABATTISTI

Amici chestertoniani,
dal giro di amici di FATTISENTIRE.NET vi rimbalzo un'interessante "provocazione" che ipotizza un paragone tra ciò che serpeggiava nell'Europa del 1500 e quello che stiamo leggendo e vedendo oggi...
Lex Sioux

"...In questi tempi di Divorzio, Aborto, Pillole varie, Eutanasia e Pacs, la storia degli anabattisti è utile a capire cosa ci aspetta: essi furono come un virus messo in incubatrice, che crebbe senza trovare ostacoli.
In un libro di Bullinger, scritto nel XVI secolo (cit. in Adler G.,
Gesebichte des Sozialismus und Kommunismus von Plato bis zur Gegenwart, v. I, Leipzig 1920), si legge:

"
Essi intendevano la libertà di Cristo in senso fisico; volevano essere liberi da qualsiasi legge, sicuri che Cristo li aveva liberati.
Perciò si ritenevano assolti dalle decime, dall'obbligo delle corvè e dalla servitù feudale.
Alcuni di loro, corrotti fino al midollo, convincevano donne leggere che avrebbero potuto spiritualizzarsi solo rompendo il loro matrimonio.
Altri credevano che essendo tutte le cose comuni, anche le donne dovessero esserlo. Certi invece dicevano che dopo il secondo battesimo erano rinati e non potevano più peccare: solo la carne pecca.
Da queste false dottrine scaturirono scandali e oscenità di ogni tipo.
E osavano affermare che questa era volontà di Dio".
"
Affermano seriamente che nessuno deve possedere nulla, che tutte le proprietà e i beni devono essere comuni in modo che non si possa essere a un tempo cristiani e ricchi".
"
Hanno istituito, come un ordine monastico di nuovo tipo, delle regole sugli abiti che specificano il tessuto, la foggia, la larghezza e la lunghezza".
"
Hanno istituito delle regole per quanto riguarda il cibo, le bevande, il sonno, il riposo, l'andare e il venire".

Il socialismo degli anabattisti trasse immediatamente, in diversi campi, tutte o quasi tutte le conseguenze dello spirito e delle tendenze del luteranesimo. Lo spirito di dubbio, il libero esame, l’interpretazione personale della Scrittura, la rivolta contro l’autorità ecclesiastica, espressa in tutte le sette con la negazione del carattere monarchico della Chiesa universale, cioè con la rivolta contro il papato..."

giovedì 15 marzo 2007

Voi lo pensate, noi lo diciamo - 2


Si è tenuto ieri un convegno su sport e violenza a Roma, presenti il presidente della Regione Lazio Pier "Mi manda Raitre" Marrazzo, il presidente della Federcalcio Luca Pancalli, il direttore de Il Tempo Gaetano Pedullà, l'addetto alle relazioni esterne della Nazionale Italiana di Rugby Marco Bollesan. Ora il rugby va di moda. Meglio così. Al mitico Bollesan ad un certo punto è uscita questa dottissima citazione dell'inimitabile Oscar Wilde per spiegare la differenza tra calcio e rugby:

''Lo sport del calcio è uno sport per gentleman ma è praticato da delinquenti. Lo sport del rugby è uno sport per delinquenti ma è praticato da gentleman''.

Per la rubrica "Voi lo pensate, noi lo diciamo"...

mercoledì 14 marzo 2007

Padre Brown batte Holmes (almeno tre a zero).


L'Avvenire del 10 Marzo scorso ha presentato il testo di Giovannoli Elementare, Wittgenstein! di cui parlammo in qualche recente post (evidenziando come ci fosse nella prefazione di Umberto Eco qualche felice citazione del nostro Chesterton, non senza qualche stupore...). E' un articolo di Alessandro Zaccuri nell'inserto culturale Agorà che si intitola "E padre Brown batte Holmes - Il cattolicissimo personaggio di Chesterton porta con sé una visione teologica del poliziesco di contro al razionalismo cartesiano dell'eroe di Conan Doyle". L'articolo (che trovate cliccando il nostro titolo...) si conclude così:
"(...) In questa interpretazione Giovannoli si avvale a più riprese dei racconti e delle riflessioni critiche di Gilbert Keith Chesterton, il cui personaggio-simbolo, il cattolicissimo padre Brown, è qualcosa di più del semplice interlocutore polemico contrapposto al razionalista e protestante Holmes. Chesterton, al contrario, si conferma come il portavoce più lucido di una visione teologica del poliziesco come «simbolo di misteri più alti» che troverà degna continuazione nella riflessione di Jorge Luis Borges. Del resto, che si tratti della Genesi o del Silenzio degli innocenti, l'indagine sulle tracce di un assassino ha sempre qualcosa di metafisico".

Benissimo!!!

Renato Giovannoli
Elementare, Wittgenstein!
Filosofia del racconto poliziesco
Medusa. Pagine 374. Euro 29,00

martedì 13 marzo 2007

La teologia di Rosy Bindi

Su Il Giornale di oggi martedì 13 marzo 2007 trovate questo interessante fondo di mons. Alessandro Maggiolini, vescovo di Como, prelato lucidissimo, tra gli estensori del Catechismo della Chiesa Cattolica. Mi sembra interessante. Dice le cose come stanno.

Prendiamo il caso di Rosy Bindi. Non è l’unico. Ma la virago ha l’aspetto di un crociato. Ieri l’altro, tra l’altro ha detto: «Certo che ho sofferto. Certo che ho avuto paura di dannarmi l’anima. Ma sono convinta che i Dico non siano peccato anzi, credo possano rappresentare semi di bene. È meglio la confusione, la promiscuità, la dispersione dell'amore? O invece la spinta a creare un legame, a dare stabilità agli affetti? Due omosessuali non possono sposarsi: non lo dice solo la Bibbia, ma l'intera civiltà giuridica. Se però prevale in loro l'ispirazione alla visione cristiana dell'amore, anziché alla sua dissipazione, da credente devo dolermene o rallegrarmene?».
Un gran pasticcio. La vergine Rosy Bindi crea una gran confusione. Confonde l'orgoglio gay, il matrimonio cristiano canonico e i Dico. Dopo di che sulla convivenza civile mette una spruzzatina di misericordia e tutto pare si aggiusti con il Padre Eterno, il Verbo incarnato e lo Spirito Santo.
La questione sta dividendo anche i cattolici. Una volta, a esempio, Rosy Bindi e Dino Boffo, direttore di Avvenire e personaggio chiave della stagione di Ruini, erano stati insieme nell'Azione Cattolica. «Siamo stati anche molto amici. Abbiamo cominciato a dividerci sul rapporto con Comunione e Liberazione». Oggi la Bindi chiede di potersi confrontare non solo con la Chiesa e i cattolici dalla sensibilità diversa dalla sua, ma anche con i laici del proprio schieramento, senza essere accusata di tradire principi non negoziabili». Non capisco perché se i cattolici dialogano con i teocon salvano la propria fede, e se io dialogo con i laici del partito democratico la tradisco. Mi piacerebbe che la Cei invitasse anche i politici alle settimane sociali - (magari nella Basilica di San Pietro) - perché sento il bisogno di confrontarmi nelle sedi ecclesiali con Pera, Adornato, Bondi, Ferrara. Forse che non posseggo anche io le categorie della cristianità? Non si tradisce forse la fede riducendola a religione civile, imprigionandola in un modello culturale, strumentalizzandola a sostegno del sistema occidentale, che è solo uno dei molti con cui un messaggio universale come ilcristianesimo è chiamato a confrontarsi?». E così per la Bindi la difesa può essere trovata sui Dico e da cercare su bioetica, testamento biologico, fecondazione assistita ecc. «La divisione tra cattolici - sostiene la Bindi - si allarga tanto che a volte sembra quasi che noi e Cl non parliamo dello stesso Gesù Cristo. Per noi è il Figlio di Dio, è Gesù di Nazaret, non è una filosofia. Se Dio per parlare agli uomini si è fatto uomo, in un dato luogo e in un dato momento, come può la Chiesa non essere amica del proprio tempo, non avere una visione positiva della storia, non vedere il volto di Cristo nel volto dell'umanità? Perché a volte la Chiesa prima di evangelizzare, sembra voler giudicare. Ma se Cristo ha accettato che la sua missione venisse portata avanti da noi sgangherati, la Chiesa non deve limitarsi a condannare». Sgangherati. Lo siamo un po' tutti. Anche noi credenti a 18 carati. Ma ciò non significa che il matrimonio non sia un sacramento fondato da Gesù Cristo e da vivere in grazia di Dio.
Ed ecco qualche lembo di frase di Mons. Bagnasco, il quale non si rassegna a copiare la teologia della Bindi: «Nessuna condanna per le convivenze», ma «è inaccettabile invece creare un nuovo soggetto di diritto pubblico che si veda assegnati diritti e tutele, in analogia con la famiglia. La legge ha anche una funzione pedagogica, crea costume e mentalità. I giovani già oggi disorientati si vedono proporre dallo Stato diversi modelli di famiglia e certo non vengono aiutati a diventare cittadini adulti». A poche ore dalla manifestazione in favore del riconoscimento delle coppie di fatto e delle coppie gay, che ha visto sfilare cartelli con scritte offensive contro il Papa e contro i Vescovi, il nuovo Presidente della Cei, Mons. Angelo Bagnasco, riassume la posizione della Chiesa italiana sull'argomento, ribadendo la contrarietà ai Dico. Sono parole importanti, che con pacatezza e argomenti illustrano la preoccupazione delle gerarchie ecclesiastiche di fronte alla tendenza a riconoscere per legge le scelte dell'individuo, estendendo alle convivenze i diritti della famiglia... «La storia ci consegna questo patrimonio naturale, un dato oggettivo. La comunitàsociale riconosce come soggetto importante, nucleo fondante della stessa sussistenza e la tutela, individuando in essa il requisito della stabilità e dell'impegno pubblico». I diritti derivano da questa funzione sociale. È interesse della società tutelare la famiglia, perché così facendo tutela anche se stessa.
Ieri l'altro Benedetto XVI ha parlato della necessità della conversione «come l'unica risposta adeguata ad accadimenti che mettono in crisi le certezze umane». Ha detto il Papa, commentando il Vangelo di Luca: la vera saggezza «è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell'esistenza e assumere un atteggiamento di responsabilità: fare penitenza e migliorare la nostra vita». Il Papa ha fatto notare che «le persone e le società che vivono senza mai mettersi in discussione hanno come unico destino finale la rovina».

Alessandro Maggiolini

Eccolo, padre Vincent McNabb, il frate delle soapbox!


Cari Amici,
sempre per lo stesso motivo, guardatevi bene padre Vincent, quello che saliva sulle scatole di sapone ad Hyde Park per dire a tutti che essere cattolici è molto meglio che non esserlo!
Dovrei dire altro, ma oggi non c'è tempo.
Chiediamo al Padre Eterno il suo stesso barbaro coraggio in questi tempi di barbarie!

Eccole, le scatole di sapone!!!



Cari Amici,
ho trovato su internet due foto di magnifiche scatole di sapone, proprio come quelle che Gilbert Chesterton, suo fratello Cecil, Belloc e più di ogni altro il grandissimo padre Vincent McNabb usavano per concionare la folla in Hyde Park.
Una volta il buon Gilbert, ad una specie di comizio contro la guerra anglo-boera (prese le parti dei contadini boeri del Sud Africa, rendetevi conto che impunito...), prese anche delle legnate...
In una delle due foto c'è anche, come corredo, un bel paio di scarponi, casomai dovessero servire...
Le ho messe qui perché sono uno che ama vedere e toccare le cose, e allora già vedo il mio amico Gilbert piazzarsi sopra una di queste povere scatole scricchiolanti sotto la sua pachidermica mole e cominciare a dire, che so? «Quando fantasticavo di stare in piedi da me solo, mi trovavo in questa ridicola posizione: che mi appoggiavo, senza saperlo, a tutto il Cristianesimo. Può darsi, il Cielo mi perdoni, che abbia tentato di essere originale; ma non sono riuscito a inventare, da me, che una copia peggiorata delle tradizioni già esistenti della civiltà religiosa»...

venerdì 9 marzo 2007

I "sòla" che albergano nella stampa.

I "sòla" vivono ovunque, sono equamente divisi nell'ambito di ogni categoria della popolazione. Nei media spiccano perché svolgono una funzione sociale, quella di darla a bere al prossimo, devastando la mentalità della gente e prestandosi ad ogni tipo di campagna per promuovere divorzi, aborti, eutanasie, pacs, lo sbraco totale della nostra società, la svendita del viver sano.
Leggetevi questo bellissimo articolo di Francesco Ognibene sull'Avvenire di oggi, che va in controtendenza rispetto a quanto sopra detto, e vi accorgerete che stanno tentando di fregare l'Italia.
Una volta si diceva "ridatemi i soldi del biglietto".
Si potrebbe pure dire: "Il sòla è nudo".

Questo il bilancio dei registri in 24 comuni

Dopo 14 anni di battage solo 154 le coppie iscritte


di Francesco Ognibene

Le campagne d'opinione sono un marchingegno collaudato, sia che puntino a far digerire i Dico, che vengano attivate per rendere gradevole l'eutanasia, o vogliano spianare la strada alla selezione dei bebè. Si comincia col classico tema del caso umano o dell'ingiusta
discriminazione, a seguire parte la nobile declamazione del nuovo diritto da conquistare, che presto porta in dote la ragionevole proposta di legge. Questa va appoggiata con interviste a intellettuali, politici, gente di spettacolo, mentre chi prova a opporsi viene adeguatamente ridicolizzato. Infine si passa all'incasso contando sul fatto che il Paese, stordito da tanta apparente unanimità di voci, memorizzi qualche parola d'ordine, una frase ben congegnata, la
calibrata irrisione dei dissenzienti. E lasci fare per ignavia, sfinimento, o per non sembrare "intollerante". Il sondaggio che dà per schiacciante la richiesta della nuova frontiera di libertà suggella il trionfo della sinfonia mediatica. Tutto perfetto, protagonisti e comparse ormai eseguono ogni movimento a memoria. Ma il meccanismo ha un piccolo, odioso difetto di progettazione, che proprio non si riesce a correggere. Ogni volta è la stessa storia: i
fatti si infilano come sabbia molesta tra i meccanismi così ben oliati, e il congegno inizia a perdere colpi per effetto di una realtà che - senza alcun senso dell'opportunità - proprio non si rassegna a farsi da parte.
Prendete i registri comunali per le coppie di fatto, il "laboratorio" già da tempo in funzione per sperimentare la presa sociale del riconoscimento pubblico di diritti ai conviventi. I Dico, dati per attesi da «milioni di italiani» - altro non sono, in buona sostanza, che una proiezione su scala nazionale di questa soluzione municipale. Quando però si prende il disturbo di guardare come stanno realmente le cose, la favola si smonta in modo persino imbarazzante. Dal 1993, allorché Empoli strappò la palma di primo Comune a dotarsi di un registro, la pressione sul Paese perché ac cetti l'equiparazione tra famiglie e coppie di fatto è diventata progressivamente asfissiante. Ovunque il registro sia stato introdotto, s'è fatto precedere dal rombo dei tamburi mediatici. Per ottenere cosa? Quattrodici anni e tonnellate di articoli dopo, una media di molto meno di 10 coppie registrate per ogni Comune entrato nell'era dei "nuovi diritti". Tra paesi e metropoli, su 24 Comuni esaminati in tutto si conteggiano 154 coppie che hanno bussato alla porta dell'anagrafe per farsi riconoscere come "famiglia di fatto". In alcuni centri urbani s'è preferito soprassedere, mettendo in archivio il registro spesso ancora intonso. Anche i sondaggi voltano le spalle ai cantori delle nuove libertà e si
mettono a dire che nella testa e nel cuore degli italiani ben altre sono le «priorità». Come si evince dalla tabella curata ieri da Renato Mannheimer per il Corriere della Sera (e da questo mimetizzata sotto un titolo che parla d'altro), il 93% degli italiani chiede la riduzione
delle tasse, tra il 92 e l'82% gli investimenti nella scuola, la riforma delle pensioni e l'impegno per il Sud. E i Dico? In fondo alla classifica, al dodicesimo posto, è difficile rubricarli come «priorità» anche perché a volerli è lo stesso 47% di quanti invece sostengono che siano «poco importanti» o «da non fare». Molto più su, al terzo posto, si affaccia invece la richiesta di «politiche per la famiglia», reclamate da 89 italiani su 100. Un bello smacco.
I numeri sono impietosi, come i fatti. A metterli insieme, è difficile non porsi qualche domanda: fatte salve le rispettabilissime 154 coppie (per un totale di 308 italiani), vuoi mettere che dei Dico stringi stringi non interessi niente a nessuno?

Chesterton è attuale - 4


<Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente, perché comincia a credere a tutto">>. Inizia così l'intervento del cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, amante della sfera calcistica, simpatico salesiano, alla presentazione del volume "Il posto dei cattolici" scritto dal senatore Luigi Bobba, edito da Einaudi. Bobba è uno dei cosiddetti teo-dem (quelli che se i vari radical della maggioranza potessero...). La presentazione si è tenuta il 6 Marzo 2007 a Roma a Palazzo Giustiniani.
La citazione viene ripresa alla fine dell'intervento e diventa un'esortazione ai cattolici a non credere a tutto... Mi sembra interessante. Torno a ripetere, esiste ancora gente lucida e questa è una prova dell'esistenza di Dio che San Tommaso stesso apprezzerebbe.

Annoveriamo allora anche il cardinale Tarcisio Bertone tra gli uomini di Chiesa chestertoniani, schiera guidata nientemeno che dal Santo Padre in persona...
La foto è simpatica, vero?
Non so, che volete ancora?

Per leggere l'intero intervento basta cliccare il nostro titolo e si viene rimandati sul sito dell'ottima Agenzia di stampa Zenit.

Sì, nascere è un diritto

Da Il Giornale di domenica 4 Febbraio 2007 traiamo questo articolo dei due spaccapietre Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro.
E' vecchio di un mese ma è ancora più attuale del mese scorso.
Con questi bambini abortiti duri a morire (che -vedi storia di Firenze e altro- confermano la preoccupazione di molte persone sveglie: le diagnosi prima della nascita hanno ormai scopi eugenetici) c'è bisogno di riaffermare quello che diceva il buon Giovannino Guareschi: "Non muoio nemmeno se mi ammazzano".
Io, UomoVivo, mi dico: ma come si fa?

Quattro milioni e mezzo di bambini uccisi prima della nascita. Vuol dire 137.000 ogni anno, a partire dall’istituzione della legge 194. Era il maggio del 1978, quando l'aborto diventava ufficialmente la conquista di un diritto cosiddetto civile e veniva legalizzato dal Parlamento italiano. La Chiesa rispondeva con un documento molto severo e con una «Giornata per la vita», che dal 1979 si celebra ogni prima domenica di febbraio.
Secondo tradizione, i vescovi ci hanno inviato un messaggio, quasi una richiesta di aiuto in bottiglia, come naufraghi della società secolarizzata. Leggendolo, ci accorgiamo di quanto questo povero mondo sia cambiato in peggio. E di quanto abbia ancora bisogno della parola ferma e scomoda della Chiesa, anche se ormai ogni parere di un vescovo viene schedato come strumento di ingerenza: è di queste ore la levata di scudi della sinistra per protestare contro l'altolà dei vescovi alla bozza di legge Pollastrini-Bindi sulle unioni di fatto. Eppure, non sono solo i cristiani ad avere bisogno di una guida simile, ma tutti gli uomini. Perché la Chiesa non è portatrice di una semplice opinione sul credente, ma della verità sull'uomo. Il poeta pagano Terenzio scriveva: «Sono uomo: tutto ciò che è umano mi riguarda». Il tema della vita riguarda tutti, sempre di più. Negli Anni Settanta sembrava che in gioco vi fosse solo la questione dell'aborto. Molti, anche fra i cattolici, pensarono che fosse possibile limitare i danni accettando una «regolamentazione», consentendo agli altri la libertà di fare quello che loro non avrebbero mai fatto.
Ma in quella difesa dell'embrione invisibile, del feto che si tiene in bocca il dito durante l'ecografia, la Chiesa esercitava una delle sue prerogative più tipiche: la profezia. Metteva in guardia gli uomini dalla deriva che la cultura della morte avrebbe imboccato. Perché il pensiero libertario non si ferma mai, è come un leone ruggente che divora pezzi di civiltà. E più mangia, più è affamato. Cominciò con il divorzio, invocato «solo per i casi drammatici»: e oggi siamo alla parificazione delle coppie omosessuali al matrimonio. Proseguì con l'aborto, «per i casi pietosi»: e oggi abbiamo pillole peruccidere il concepito in vendita dal farmacista, figli costruiti in provetta ed eliminati se difettosi, ovuli di donna in vendita su internet a 6.500 euro l'uno. La strategia della cultura della morte non cambia mai: promuove con aria innocente il «testamento biologico» e intanto progetta di legalizzare l'eutanasia, invoca diritti per le persone e così crea i presupposti per i Pacs, magari cominciando da quelli cosiddetti «alla padovana» a cui abbiamo appena assistito.
Si può scendere a patti con il male? No, non si può. Perché se gli si concede un dito, divora la mano. Illudersi di sconfiggerlo, magari vietando la fecondazione in vitro eterologa, è come minimo da ingenui, perché, intanto, l'idea del diritto al figlio a tutti i costi si fa cultura e costume, e gonfia come un fiume in piena le rivendicazioni di una minoranza rumorosa. Nel 1978 perfino eminenti uomini politici cattolici credettero di agire bene, scegliendo la strada del compromesso: meglio firmare la legge 194 che far cadere l'esecutivo, cioè la vita di un governo barattata con quella di milioni di esseri umani. Dopo poche settimane quel governo era costretto alle dimissioni, travolto da uno scandalo poi rivelatosi infondato.
Oggi come allora, questa è la grande tentazione: pensare che ci sia un bene più importante della testimonianza della verità. Perché non siamo spettatori, ma «ci troviamo nel mezzo di uno scontro immane fra la cultura della vita e la cultura della morte». Lo scriveva Giovanni Paolo II. Essere neutrali è impossibile: dobbiamo scegliere da che parte vogliamo stare, e trarne le conseguenze.

mercoledì 7 marzo 2007

Udienza Generale di Papa Benedetto XVI del 7 Marzo 2007

Il neretto è nostro. Sarebbe da scrivere tutto in neretto...
La Verità ha diritto di essere ascoltata dallo Stato.
Bello.
Che diranno i cattolici adulti?

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo meditato nei mesi scorsi sulle figure dei singoli Apostoli e sui primi testimoni della fede cristiana, che gli scritti neo-testamentari menzionano. Adesso dedichiamo la nostra attenzione ai Padri apostolici, cioè alla prima e alla seconda generazione nella Chiesa dopo gli Apostoli. E così possiamo vedere come comincia il cammino della Chiesa nella storia.

San Clemente, Vescovo di Roma negli ultimi anni del primo secolo, è il terzo successore di Pietro, dopo Lino e Anacleto. Riguardo alla sua vita, la testimonianza più importante è quella di sant’Ireneo, Vescovo di Lione fino al 202. Egli attesta che Clemente "aveva visto gli Apostoli", "si era incontrato con loro", e "aveva ancora nelle orecchie la loro predicazione, e davanti agli occhi la loro tradizione" (Adv. haer. 3,3,3). Testimonianze tardive, fra il quarto e il sesto secolo, attribuiscono a Clemente il titolo di martire.

L'autorità e il prestigio di questo Vescovo di Roma erano tali, che a lui furono attribuiti diversi scritti, ma l'unica sua opera sicura è la Lettera ai Corinti. Eusebio di Cesarea, il grande "archivista" delle origini cristiane, la presenta in questi termini: "E’ tramandata una lettera di Clemente riconosciuta autentica, grande e mirabile. Fu scritta da lui, da parte della Chiesa di Roma, alla Chiesa di Corinto... Sappiamo che da molto tempo, e ancora ai nostri giorni, essa è letta pubblicamente durante la riunione dei fedeli" (Hist. Eccl. 3,16). A questa lettera era attribuito un carattere quasi canonico. All'inizio di questo testo - scritto in greco - Clemente si rammarica che "le improvvise avversità, capitate una dopo l'altra" (1,1), gli abbiano impedito un intervento più tempestivo. Queste "avversità" sono da identificarsi con la persecuzione di Domiziano: perciò la data di composizione della lettera deve risalire a un tempo immediatamente successivo alla morte dell'imperatore e alla fine della persecuzione, vale a dire subito dopo il 96.

L'intervento di Clemente – siamo ancora nel I secolo – era sollecitato dai gravi problemi in cui versava la Chiesa di Corinto: i presbiteri della comunità, infatti, erano stati deposti da alcuni giovani contestatori. La penosa vicenda è ricordata, ancora una volta, da sant’Ireneo, che scrive: "Sotto Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinti una lettera importantissima per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione, che da poco tempo essa aveva ricevuto dagli Apostoli" (Adv. haer. 3,3,3). Potremmo quindi dire che questa lettera costituisce un primo esercizio del Primato romano dopo la morte di san Pietro. La lettera di Clemente riprende temi cari a san Paolo, che aveva scritto due grandi lettere ai Corinti, in particolare la dialettica teologica, perennemente attuale, tra indicativo della salvezza e imperativo dell’impegno morale. Prima di tutto c'è il lieto annuncio della grazia che salva. Il Signore ci previene e ci dona il perdono, ci dona il suo amore, la grazia di essere cristiani, suoi fratelli e sorelle. E’ un annuncio che riempie di gioia la nostra vita e dà sicurezza al nostro agire: il Signore ci previene sempre con la sua bontà e la bontà del Signore è sempre più grande di tutti i nostri peccati. Occorre però che ci impegniamo in maniera coerente con il dono ricevuto e rispondiamo all'annuncio della salvezza con un cammino generoso e coraggioso di conversione. Rispetto al modello paolino, la novità è che Clemente fa seguire alla parte dottrinale e alla parte pratica, che erano costitutive di tutte le lettre paoline, una "grande preghiera" che praticamente conclude la lettera.

L'occasione immediata della lettera schiude al Vescovo di Roma la possibilità di un ampio intervento sull'identità della Chiesa e sulla sua missione. Se a Corinto ci sono stati degli abusi, osserva Clemente, il motivo va ricercato nell'affievolimento della carità e di altre virtù cristiane indispensabili. Per questo egli richiama i fedeli all'umiltà e all'amore fraterno, due virtù veramente costitutive dell’essere nella Chiesa: "Siamo una porzione santa", ammonisce, "compiamo dunque tutto quello che la santità esige" (30,1). In particolare, il Vescovo di Roma ricorda che il Signore stesso "ha stabilito dove e da chi vuole che i servizi liturgici siano compiuti, affinché ogni cosa, fatta santamente e con il suo beneplacito, riesca bene accetta alla sua volontà... Al sommo sacerdote infatti sono state affidate funzioni liturgiche a lui proprie, ai sacerdoti è stato preordinato il posto loro proprio, ai leviti spettano dei servizi propri. L'uomo laico è legato agli ordinamenti laici" (40,1-5: si noti che qui, in questa lettera della fine del I secolo, per la prima volta nella letteratura cristiana, compare il termine greco "laikós", che significa "membro del laos", cioè "del popolo di Dio").

In questo modo, riferendosi alla liturgia dell'antico Israele, Clemente svela il suo ideale di Chiesa. Essa è radunata dall’"unico Spirito di grazia effuso su di noi", che spira nelle diverse membra del Corpo di Cristo, nel quale tutti, uniti senza alcuna separazione, sono "membra gli uni degli altri" (46,6-7). La netta distinzione tra il "laico" e la gerarchia non significa per nulla una contrapposizione, ma soltanto questa connessione organica di un corpo, di un organismo, con le diverse funzioni. La Chiesa infatti non è luogo di confusione e di anarchia, dove uno può fare quello che vuole in ogni momento: ciascuno in questo organismo, con una struttura articolata, esercita il suo ministero secondo la vocazione ricevuta. Riguardo ai capi delle comunità, Clemente esplicita chiaramente la dottrina della successione apostolica. Le norme che la regolano derivano in ultima analisi da Dio stesso. Il Padre ha inviato Gesù Cristo, il quale a sua volta ha mandato gli Apostoli. Essi poi hanno mandato i primi capi delle comunità, e hanno stabilito che ad essi succedessero altri uomini degni. Tutto dunque procede "ordinatamente dalla volontà di Dio" (42). Con queste parole, con queste frasi, san Clemente sottolinea che la Chiesa ha una struttura sacramentale e non una struttura politica. L’agire di Dio che viene incontro a noi nella liturgia precede le nostre decisioni e le nostre idee. La Chiesa è soprattutto dono di Dio e non creatura nostra, e perciò questa struttura sacramentale non garantisce solo il comune ordinamento, ma anche questa precedenza del dono di Dio, del quale abbiamo tutti bisogno.

Finalmente, la "grande preghiera" conferisce un respiro cosmico alle argomentazioni precedenti. Clemente loda e ringrazia Dio per la sua meravigliosa provvidenza d'amore, che ha creato il mondo e continua a salvarlo e a santificarlo. Particolare rilievo assume l'invocazione per i governanti. Dopo i testi del Nuovo Testamento, essa rappresenta la più antica preghiera per le istituzioni politiche. Così, all'indomani della persecuzione i cristiani, ben sapendo che sarebbero continuate le persecuzioni, non cessano di pregare per quelle stesse autorità che li avevano condannati ingiustamente. Il motivo è anzitutto di ordine cristologico: bisogna pregare per i persecutori, come fece Gesù sulla croce. Ma questa preghiera contiene anche un insegnamento che guida, lungo i secoli, l'atteggiamento dei cristiani dinanzi alla politica e allo Stato. Pregando per le autorità, Clemente riconosce la legittimità delle istituzioni politiche nell'ordine stabilito da Dio; nello stesso tempo, egli manifesta la preoccupazione che le autorità siano docili a Dio e "esercitino il potere che Dio ha dato loro nella pace e la mansuetudine con pietà" (61,2). Cesare non è tutto. Emerge un'altra sovranità, la cui origine ed essenza non sono di questo mondo, ma "di lassù": è quella della Verità, che vanta anche nei confronti dello Stato
il diritto di essere ascoltata.

Così la lettera di Clemente affronta numerosi temi di perenne attualità. Essa è tanto più significativa, in quanto rappresenta, fin dal primo secolo, la sollecitudine della Chiesa di Roma, che presiede nella carità a tutte le altre Chiese. Con lo stesso Spirito facciamo nostre le invocazioni della "grande preghiera", là dove il Vescovo di Roma si fa voce del mondo intero: "Sì, o Signore, fa' risplendere su di noi il tuo volto nel bene della pace; proteggici con la tua mano potente... Noi ti rendiamo grazie, attraverso il sommo Sacerdote e guida delle anime nostre, Gesù Cristo, per mezzo del quale a te la gloria e la lode, adesso, e di generazione in generazione, e nei secoli dei secoli. Amen" (60-61).

Otto ragazzi, le cellule staminali e la scatola di sapone.


Tiriamo fuori dal bellissimo sito www.stranau.it il resoconto di una vicenda molto esemplare e molto interessante, di cui hanno parlato diversi quotidiani, riguardante un convegno fatto alla Statale di Milano il 31 Gennaio scorso e le reazioni di otto studenti che hanno scritto un volantino e sono stati oggetto di critiche laiciste.
Chestertonianamente, questi ragazzi hanno preso la loro soap-box (la scatola di sapone su cui salivano gli oratori che andavano a dire la loro ad Hyde Park, a Londra, come faceva uno dei maestri di Chesterton, Padre Vincent McNabb, domenicano irlandese senza macchia e senza paura), ci sono saliti sopra come potevano e hanno detto quello che pensavano.
BRAVI, RAGAZZI! SEMPRE COSI, PORCA ZOZZA! NON VI CONOSCO, MA VI ARRIVI IL PLAUSO DELLA SOCIETA' CHESTERTONIANA E QUELLO PERSONALE DELL'UOMO VIVO!!! OOH!!!
Qui sotto riprendiamo (tolti solo i link ai testi cui si fa riferimento, che ritrovate nel sito, cliccando il nostro titolo e cercando il post del 6 Marzo 2007) il testo che sintetizza la vicenda.
Se qualcuno li conosce, fate sapere a questi ragazzi che li stimo profondamente, ve ne prego!

L'Uomo Vivo.

Il 31 gennaio scorso si è svolto un congresso scientifico, su "Le cellule staminali embrionali umane", promosso da Unistem, il centro di ricerca interdipartimentale sulle cellule staminali dell'Università degli studi di Milano (...).
Alcuni ragazzi hanno partecipato ai lavori, e ne sono usciti sconcertati. Dopo qualche giorno hanno scritto una lettera aperta ad Elena Cattaneo, docente universitaria organizzatrice del convegno e fra i principali ricercatori in Italia proprio nel settore delle cellule staminali embrionali. Da pochi mesi è anche Vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica. Nella lettera gli studenti esprimevano tutte le loro perplessità sul modo in cui la ricerca sugli embrioni era stata presentata, e formulavano alcune domande alla prof. Cattaneo. Per esempio : "È possibile fare ricerca, senza porsi la domanda principale: che cosa ho di fronte? Nella fattispecie: che cosa è l’embrione? È vita umana?".
(...)
I ragazzi hanno poi volantinato la lettera in università, ed è scoppiato un putiferio. Il Corriere della Sera se n'è uscito con "Staminali, in statale scontro fra CL e prof". Il fatto viene raccontato come uno scontro all'arma bianca fra studenti ciellini ed Elena Cattaneo: d'altra parte il Corriere è impareggiabile nel ridurre ogni discussione e ogni confronto come una lotta all'ultimo sangue fra progressisti e oscurantisti.
Spicca il commento di un'immunologa, Maria Luisa Villa:
"Più del 50% delle uova fecondate viene eliminata con il sangue mestruale. Mi è capitato di considerare la possibilità che buttando la biancheria sporca stessi gettando nella spazzatura anche uno zigote: dunque un bambino, dunque un uomo? Il disagio avrebbe dovuto bloccarmi la mano, ma non è accaduto. Mi fido molto delle emozioni profonde di cui l'evoluzione ha dotato la nostra specie. Se sono mute di fronte all'eliminazione di uno zigote con la spazzatura, allora la natura mi suggerisce che lo zigote non sia ancora un uomo".
Elena Cattaneo, invece, commenta: "Lo scritto degli studenti è così sommario, inaccurato e veicolato con metodi così impropri che non necessita commenti.[...]. Potevano chiedere, esprimersi, e magari studiare un po' di più la posizione delle persone che hanno parlato e i loro testi".
Non siamo propriamente interessati alla biancheria della sig.ra Villa, e tanto meno alle sue emozioni profonde. La Prof. Cattaneo, dal canto suo, non risponde alle domande degli studenti, che evidentemente non ha apprezzato. Non pensa sia necessario commentare alcunchè. (...)
Intervengono i docenti, e anche il Rettore Decleva: "L'Università deve garantire la massima espressione a tutti: gli atenei sono per loro natura e vocazione luoghi di confronto, nel rispetto reciproco".
In effetti, se i problemi della ricerca scientifica non sono dibattuti in università, liberamente, fra studenti e docenti, dove altro si potrà farlo? Solo nei convegni per specialisti e fra specialisti? Anche sul Foglio si racconta la bagarre, mettendo in evidenza l'espressione "volantinaggio abusivo": ma quando mai per volantinare in università gli studenti hanno dovuto chiedere il permesso? Ma l'Università non è sempre stato il luogo per eccellenza della libertà?
Intanto Elena Cattaneo ed altri colleghi mandano una lettera a tutti, in cui viene ribadito che il convegno in questione era pubblico, aperto a tutti, e con spazi per il confronto reciproco, e si invitano i firmatari della lettera ad usufruire di questi spazi, per eventuali occasioni successive.
E mentre l'Unità spara: "E cielle va alla crociata delle staminali", su Avvenire un editoriale in prima pagina "8 studenti spalancano la porta all'accademia" commenta il fatto: "Evidentemente non dovevano farlo: quelle domande era inopportuno porle, comunque certo non in quel modo pubblico, non sta bene mettere in piazza i propri dubbi: potevano prendere la parola al convegno - gli hanno suggerito - , dire lì cosa pensavano, nel chiuso dell'aula: poi tutti a casa, e nessuna enfasi a questioni che riguardano chiunque fa ricerca o ambisce un giorno a lavorare per la scienza [...] Invece quegli otto ragazzi - e gli altri duecento che sino a ieri sera avevano sottoscritto la lettera, con non pochi professori - hanno scelto da spalancare la porta e di far entrare aria nell'accademia"
(...)
Le valanghe, si sa, nascono dai sassolini. E mentre l'ateneo milanese è in subbuglio, e il contagio si estende, il Corriere pubblica due interviste a confronto ad Angelo Vescovi, ed Elena Cattaneo. Entrambe ricercatori sulle staminali. Il primo, su quelle adulte. La seconda, sulle embrionali. Il primo si dichiara ateo, la seconda cattolica. Il primo dice che le domande degli studenti sono legittime e ben poste. La seconda, riferendosi agli studenti, parla di un "tentativo di protagonismo malcelato. Mi ricordano i colleghi che sono prossime le elezioni studentesche...".
Gli studenti firmatari della lettera aperta, a ragione, sono esterrefatti. Si chiedono ad esempio se esista ancora libertà di espressione in università, o se vige il regime di libertà vigilata. E siccome alla libertà ci tengono, alla propria e quindi a quella di tutti, lanciano l'idea di un incontro pubblico con scienziati di orientamenti diversi, dal titolo "Se questo è un uomo. Riflessioni sull’uso di embrioni umani a scopo di ricerca scientifica".
(...)
Seguiremo la cosa. Potrebbe essere l'occasione preziosa per tornare a discutere di certi argomenti, al di là di campagne elettorali o referendarie, proprio nella sede in cui la discussione dovrebbe essere più accesa, il confronto quotidiano, con i protagonisti principali di queste faccende, cioè chi sta nei laboratori di ricerca. Probabilmente ne vedremo delle belle.

Voi lo pensate, noi lo diciamo - 2

Per l'ottima rubrica "Punti di fuga" de Il Giornale del 1 Marzo 2007, eccovi un interessante punto di vista del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini sulla questione dei voti e di tutte le fantastiche amenità sentite nei giorni scorsi per giustificare tutti i turamenti di naso - crisi di coscienza - spaccamenti&ricompattamenti dell'attuale precaria maggioranza.
Un altro ottimo esempio di "Voi lo pensate, noi lo diciamo". Meno male.
Noi chestertoniani lieti rilanciamo.
I neretti sono nostri.



Se la vera preferenza è tradire gli elettori

L’anno scorso, al momento delle elezioni, caratterizzato dall’abolizione delle preferenze senza uno straccio di primarie, i capi delle coalizioni hanno scelto a tavolino, come in una partita di Risiko serale, i “nostri” rappresentanti in Parlamento. Così, in certi casi, una pattuglia di soubrette e portaborse servili ha soppiantato all’ultimo momento valenti uomini politici capaci di rappresentare istanze e interessi reali della popolazione. In questi tempi di risse quotidiane, quando si parla di riforme elettorali, l’unico punto che vede d’accordo quasi tutti è il mantenimento dell’abolizione delle preferenze.

La crisi del Governo Prodi e il suo ritorno alle Camere ci hanno mostrato una nuova tappa nel percorso della nostra democrazia. Un eletto, in profonda crisi di coscienza, si accorge di non appartenere più allo schieramento per cui gli elettori lo hanno votato, ma di avere una irresistibile attrazione per l’altro. Non confida questo drammatico turbamento al suo elettore e non abbandona il suo mandato parlamentare per approfondire il significato della sua crisi di coscienza e ricominciare a fare politica su principi diversi da quelli fino adesso perseguiti. No, è preso da un grande senso di responsabilità e vuole salvare, con il suo voto, le sorti del Paese, annunciando urbi et orbi che cambia schieramento “perché l’Italia merita un Governo”. Come molti hanno scritto e documentato, non è un fenomeno nuovo, ma una nuova edizione di quel trasformismo che esiste fin dalla mediocre Italietta post-risorgimentale.

Tuttavia, ci si aspetterebbe l’indignazione di chi ci ha ripetuto fino alla noia che il bipolarismo permette all’elettore di capire da subito quali sono le opzioni in gioco, chi sta di là e chi sta di qua. Ci si aspetterebbe che questi personaggi si chiedessero cosa c’entra con la volontà dell’elettore questa forma strana di bipolarismo che, dopo avere dato un peso eccessivo ai facinorosi estremisti di entrambi gli schieramenti, permette agli opportunisti di centro di determinare le sorti politiche del Paese.

Sorprende quindi che i professionisti della questione morale, con serietà o con cinica ironia, relativizzino la gravità del fatto, ricordando i voltagabbana dell’altra parte; esaltino l’accaduto come grande mossa politica; lo enfatizzino attraverso interviste che non si concedono a capi di Stato.

Tutto ciò non significa che chi vota con chiarezza non desideri un clima più sereno, un dialogo tra maggioranza e opposizione, anzi. Il Governo potrebbe qualificarsi su un programma chiaro e comprensibile, anziché su fumosi programmi, in quella distinzione netta tra ruoli dell’Esecutivo e del Parlamento che è nel dettato costituzionale. Il resto dei temi può essere dialogato a livello di Parlamento su agende che nascono per il bene comune, per sostenere lo sviluppo economico, l’emergenza educativa, la politica estera. E se una coalizione non sta più piedi, si scelgano altre formule, alla luce del sole. “Di mezzo” a queste opzioni non c’è altro.


I compagni e l'Hotel Lux - Voi lo pensate, noi lo diciamo

Fresco fresco, un pezzo sanamente polemico dei nostri amici Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, da Il Giornale di questa mattina, 7 Marzo 2007.
Dalle mie parti una volta c'era una radio che aveva come slogan: "Voi lo pensate, noi lo diciamo", che mi pare si attagli bene anche ai nostri due amici.
Neretti con finalità didascalico-educative di proprietà chestertoniana.

La sterzata radical dei comunisti

Sarà che il cachemire logora chi ce l'ha, sarà che il toscano adesso si fuma nei salotti, fatto sta che il compagno Presidente della Camera Fausto Bertinotti ha sterzato decisamente sul versante «radical». Visto che «chic» lo era già, come resistere alla tentazione di mettere insieme le due cose? E infatti non ha resistito.
Al diavolo le volgari rivendicazioni salariali, al diavolo le nuove povertà e al diavolo anche le vecchie. È arrivato il momento di radicaleggiare. E così, ecco che la Terza Carica dello Stato alza il tiro perché serve «una grande battaglia politica e culturale in Parlamento e nel Paese sui Dico e sui diritti civili. Come ai tempi del divorzio». E per farlo bisogna mettere insieme «sinistra radicale e riformista, laici e liberali».
Non sfuggirà che la Terza Carica dello Stato, fiore all'occhiello di un partito che si chiama Rifondazione comunista, non parla di «comunisti» ma di sinistra radicale riferendosi al suo schieramento. Tale terminologia manderà magari in fibrillazione il direttore di Radio Radicale, che ogni volta spiega che i veri radicali sono, scusate il gioco di parole, i radicali e non la sinistra radicale. Però spiega un fenomeno del quale bisogna prendere atto: quel che resta del vecchio Pci, nei diversi tronconi che vanno da Fassino a Bertinotti e Diliberto, si è trasformato in una sorta di partito radicale di massa: più agguerrito, più numeroso e persino, se mai fosse possibile, più cinico del plotoncino pannelliano.
Basta fare un prova. Prendete un operaio comunista sui sessant'anni, bendategli gli occhi e calatelo in una manifestazione per i cosiddetti diritti civili. Poi toglietegli la benda: tempo dieci secondi e se ne uscirebbe con una gragnuola di enormità così politicamente scorrette che lo prenderebbero per un provocatore fascio-clerico-leghista. Invece, il poveretto è solo rimasto al Pci che faceva il Pci. Al partito che, come ricorda Massimo Caprara che ne fu il braccio destro, ebbe in Palmiro Togliatti un deciso avversario dell'aborto. Al partito che, con l'inserimento della norma sui corpi sociali nella Costituzione, non pensava certo di dare il via libera al matrimonio degli omosessuali. Al partito che espulse per indegnità morale Pier Paolo Pasolini.
Se tornassero in servizio oggi, Marx ed Engels dovrebbero cambiare una parola del celebre incipit del loro Manifesto. Là dove scrivevano «Uno spettro s'aggira per l'Europa - lo spettro del comunismo» dovrebbero sostituire «comunismo» con «laicismo». E non dovrebbero fare neanche tanta fatica, perché il laicismo non è altro che il cadavere putrescente del comunismo. La promessa radiosa del «tutto qui e subito» si è rovesciata nel «nulla ora e per sempre». Dall'utopia totalitaria si è passati a quella nichilista attraverso il semplice cambiamento d'uso delle medesime parole d'ordine: alienazione, coscienza, progresso, liberazione, uguaglianza, diritti civili e via delirando.
Con ciò, non si vuole rimpiangere Togliatti e il suo Pci. Ma solo mettere in guardia i gonzi che pensano di poter trattare impunemente con gli eredi di quella storia e di quei metodi. La piazza evocata da Bertinotti non è altro che un immenso Hotel Lux, l'albergo al civico 10 di via Gorkij a Mosca in cui ai tempi del Komintern dimoravano gli alti funzionari del Partito e i capi dei partiti comunisti stranieri. Ruth Fischer von Mayenburg, lo ricorda così: «Qui si discuteva, si cospirava e a volte si taceva in preda a un'angoscia di morte. Qui c'erano lacrime, sogni, tragedie».
Attenzione a quella piazza. E al compagno Bertinotti, subcomandante della sinistra ton sur ton, che la guarderà dall'alto. Magari in vestaglia come il Berlinguer della famosa vignetta di Forattini.

martedì 6 marzo 2007

Immagini da Beaconsfield.

Cliccando il titolo verrete riportati al sito www.youtube.com., dove troverete un breve video di un ignoto chestertoniano che mostra la tomba del nostro caro Gilbert e di sua moglie Frances nel piccolo cimitero cattolico di Beaconsfield, dietro alla chiesa della Parrocchia di Santa Teresa del Bambin Gesù, che ha anche un bel sito internet, più volte segnalato sul nostro bollettino (www.littleflower.co.uk).

E' bello vedere questo luogo dove è sepolto un caro amico!

lunedì 5 marzo 2007

Ottoemezzo e il rischio eugenetico

Puntata di venerdì 2 Marzo 2007 di OTTOeMEZZO, interessantissima trasmissione di La7 condotta dal chestertoniano in pectore Giuliano Ferrara. Molto interessante.

Il discorso del Pontefice sugli attacchi al diritto alla vita e i nuovi allarmi di "rischio eugenetico" dopo la proposta inglese di manipolazione degli embrioni, portano ancora in primo piano il tema dei confini della scienza su vita e salute.

Se ne parla con monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che in un'intervista alla Stampa del 19 febbraio, commenta la vendita degli ovuli autorizzata in Inghilterra dicendo: "Siamo di fronte alla commercializzazione di parti del corpo umano che contrasta l'etica, in generale si potrebbe dare il via ad una serie di sperimentazioni selvagge".

Demetrio Neri, docente di bioetica, nel 2003 quando il Comitato nazionale di bioetica di cui fa parte ha detto no alla clonazione riproduttiva umana, ha espresso la sua condanna con argomentazioni diverse da quelle morali.

Eugenia Roccella, giornalista e scrittrice, ha scritto su Avvenire a proposito della "vendita" degli ovuli: "Per la prima volta si svende qualcosa di umano".

Presente anche Claudia Mancina, docente di Etica dei diritti, che sul Foglio del 9 febbraio - a proposito dell'uso generalizzato della diagnosi prenatale in Francia, denunciata da Sicard (presidente comitato bioetica francese) - scrive un'analisi del titolo: "Società di sani? No, società con meno malati. Non è un'aspirazione malvagia".

Cliccando il titolo si viene rimandati alla pagina con il video della puntata.