Clara Lanzani è una chestertoniana che in primis ci ha fatto dono della sua tesi di laurea in lingue e letterature straniere, discussa nel 1972 presso l'Università Cattolica di Milano dal titolo: "Il sodalizio Chesterton - Belloc", il cui relatore fu il prof. Sergio Rossi. Ci ha fatto pure dono di un copioso "cilindro" di estratti dalle riviste su cui scrisse Chesterton che la signora Clara selezionò in un soggiorno a Londra visitando la British Library per preparare la sua tesi.
È nata una corrispondenza grata ed incuriosita per quel che mi riguarda: eravamo in pieno declino dell'interesse verso Chesterton e invece la (bella) tesi della giovane Clara testimoniava una resistenza solida contro questo processo. Mi sono permesso di farle qualche domanda e di insistere, ed ecco, ho ottenuto qualche risposta che ritengo utile condividere con voi, cari amici.
Sono cose che non succedono spesso: trovare persone sinceramente interessate a Chesterton, vedere che non sono principianti e che da questo incontro con Gilbert nascono cambiamenti.
Marco Sermarini
Lei signor Sermarini, o tu collega Sermarini di passioni letterarie, mi avete provocato e io mi sono lasciata andare. Questa mia memoria è forse troppo lunga, ma spero almeno minimamente interessante. Non so se ho accontentato la richiesta fattami, ma ormai il dado è tratto. Buona lettura.
Avevo circa 15 anni (sono nata nel 1944) quando cominciai ad andare alle lezioni che allora Don Giussani teneva la domenica mattina dopo la messa . In uno di quegli incontri propose la lettura di un libro di Charles Moeller, teologo molto in voga allora, “Saggezza greca e paradosso cristiano”. Non ci pensavo neanche lontanamente a leggere un libro che aveva tutta l’aria di essere concettuoso e difficile, ma fui colpita dalla parola paradosso, sembra strano ma fu come una specie di folgorazione. Ecco che cosa mi attirava: il paradosso, cioè qualcosa che va controcorrente, che contraddice la logica dominante, e, riferita al mio piccolo ambito familiare, qualcosa che disturbava lo schema piccolo borghese della vita della mia famiglia, soprattutto il modo di pensare di mia madre il cui confine era una bella casa, la sicurezza del domani, due figlie brave, buone, studiose, beneducate e che forse si sarebbero laureate (massima ambizione per lei).
Mio padre non si esprimeva mai, era del tutto indifferente circa questo modo di concepire la vita, ma senz’altro gli andava bene così. Ma devo precisare che il paradosso non voleva dire per me ribellione a tutto questo, ma ampliamento, un orizzonte più vasto che mi desse una ragione di più per crescere.
Questo fu il cristianesimo che ci propose Don Giussani. Io, nel mio piccolo, pensavo: i greci credevano nei valori di onestà, conoscenza, sapienza, equilibrio, proporzioni, vita misurata, ricerca della felicità che sta nell’ indagare tutta la realtà? Arriva Gesù che sconvolge tutto, o meglio supera tutto questo, l’amore è smisurato, non ci si scandalizza del male, l’uomo tende all’infinito, non può conoscere tutto perché c’è un mistero grande, e soprattutto c’è la resurrezione, la più grande contraddizione in assoluto. La logica umana è fregata, così come il nostro piccolo sentire borghese.
Non ho mai saputo se quel famoso libro parlasse di tutto questo, ma io ero sicura di sì. Certo, tutto questo non fu chiaro subito, arrivò ad essere chiaro e un pò più sistematico con gli anni, con la frequentazione assidua del Gius, e con lo studio dei classici.
Intanto il Gius ci presentò Chesterton; che grande scoperta e che entusiasmo di tutti noi trovare uno scrittore che incarnava appieno questo nuovo sentire ribaltando e ampliando il nostro modo di pensare e quello degli adulti e della scuola; per giunta spesso in modo divertente. Per esempio un aforisma di Ch. (trovato per caso e con mia grande rabbia non più ritrovato): ”sperare è sperare nell’insperabile, altrimenti non è virtù”. Per me è grandioso. Oppure: “qual è la meta del tuo viaggio? Casa tua. Puoi fare il giro del mondo ma lo scopo è di riscoprire il valore del tuo lavoro, di casa tua, della tua famiglia, delle tue cose, ricche o misere che siano”.
Nel fare ricerche per la tesi sono arrivata a capire che questa novità di pensiero e modo di vivere deve essere stato ancora più dirompente per la società britannica di allora. Tu forse saprai meglio di me come i britannici avessero la puzza sotto al naso riguardo ai cattolici, considerati gentucola, pecoroni, i cosidetti “papisti”.
Il Cardinale Newman contribuì grandemente a sfatare questo pregiudizio ma a tutt’oggi molti lo mantengono . Non per niente Ch. creò la figura di Padre Brown, nome che più comune di così non si può, un sacerdote insulso che anche se papista pensa con la sua testa, anzi ha un cervello più fino di quello della polizia inglese. Secondo me, la recente serie televisiva sui racconti di Padre Brown è stata interpretata da un attore che ha proprio l’aria da tonto, per far risaltare di più il contrasto. Questi racconti ebbero un grande successo allora, anche se io sono convinta che non siano la sua opera migliore, ma si sa, attirano di più il pubblico storie che contengono un mistero da risolvere o, meglio ancora, un assassino da smascherare.
Con l’età e l’educazione di Don Giussani ho provato a vivere in seno alla comunità di CL secondo la visione più matura e profonda del cristianesimo e non solo sull’onda di quell’attrazione istintiva che ebbi da ragazzina, ma come penso che tu sappia bene, il cammino è sempre lungo. Sono passati tanti anni da quando ho letto i romanzi di Ch., non ricordo molto, mi è rimasta in mente solo l’impressione generale che le sue storie sono esplicative di quanto detto sopra, non lessi neanche i suoi saggi, ma sto rimediando affrontando in questi giorni il saggio su San Tommaso d’Aquino .
Certamente la mia indole è più umanistica e la poesia in genere la sento più congeniale che altre forme espressive o altre discipline. La mia tesi ha certo dei limiti per quanto riguarda la descrizione dell’impegno giornalistico , sociale e politico dei due autori (cap. 1 e 2). Avrei potuto indagare di più e andare nel profondo dei problemi di cui si occupavano e delle ingiustizie che combattevano, ma ero una giovane studentessa ancora molto inesperta di tutto. Già dalle fotocopie che vi mando potete constatare di persona. Del distributismo parlo in generale perché sinceramente non avevo e non ho tuttora le capacità di indagare e quindi di addentrarmi in un discorso tra il sociale e il finanziario. So che avete fatto degli approfondimenti su questa questione, per me complicati da capire.
La parte migliore della mia tesi secondo me è il capitolo 3 in cui commento l’opera poetica dei due. Questa mia analisi mi ha fatto scoprire delle poesie veramente eccezionali, che val la pena di fare conoscere, come THE DONKEY, TO THE BABE UNBORN o A NOVELTY. Tutte e tre accennano a un concetto ricorrente in Ch.: il mistero della creazione è troppo grande per essere capito dalla mente umana, inutile crearci su filosofie astruse, ma nel contempo è così semplice enunciarlo e accettarlo, così semplice come riconoscere che l’erba è verde, ma l’uomo colto spesso lo rifiuta.
Clara Lanzani
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