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venerdì 26 agosto 2022

A Soho tanti anni fa un bimbo incontrò Chesterton.


Da bambino, uno scrittore era agli occhi miei una specie di dio; qualsiasi scrittore, per quanto oscuro, o addirittura insulso, potesse essere. Paragonare uno scrittore a qualche soldato o amministratore o scienziato o politico o attore famoso era, a mio avviso, del tutto ridicolo. Non c'era alcuna base di paragone, come non c'è tra, ad esempio, Francesco d'Assisi e il dottor Spock. Forse più consapevole di questa passione di quanto non mi rendessi conto, quando ero ancora uno scolaro mio padre [il politico laburista HT Muggeridge] mi portò a una cena in un ristorante di Soho in cui si intratteneva G. K. Chesterton. Ricordo che il proprietario del ristorante mi regalò una scatola di frutta candita che si rivelò cattiva. Per quanto mi riguarda, fu un'occasione di gloria inimmaginabile. Osservai con fascino l'enorme mole dell'ospite d'onore, il suo grande stomaco e le sue mani paffute; come i suoi pince-nez su un nastro nero quasi si perdessero nell'immensa distesa del suo viso, e come, quando pronunciava quella che considerava una buona osservazione, avesse modo di soffiare nei baffi con un suono simile a quello di un palloncino che si dissolve. Il suo discorso, se ne fece uno, mi sfuggì, ma ricordo vividamente come convinsi mio padre ad aspettare fuori dal ristorante per guardare il grande uomo che si dirigeva verso la strada con un mantello nero svolazzante e un cappello bohémien vecchio stile a tesa larga.

Malcolm Muggeridge, Chronicles of Wasted Time: An Autobiography
(nostra traduzione).

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