Non appena ho letto che giungeva in Roma in questi giorni il Cardinal Primate di Polonia, mi son tornati in mente quei giorni, quegli uomini, e tutte le avemarie (quante, Madonna mia, quante: ce ne ubriacavamo) che si recitavano spesso insieme alla Madonna di Czestochowa. E mi son tornati in mente inoltre (oh che brutta malattia è la letteratura) uno scrittore e la ballata che egli scrisse e dedicò alla Madonna di Czestochowa. Che dico dedicò? Belloc, perché si tratta di lui, si recò in persona nel 1928 in Polonia. Non fu un viaggio, il suo; e lui ne aveva farti tanti, di viaggi, tutti descritti in divertentissimi libri. Fu un pellegrinaggio vero e proprio, come quelli di Péguy a Chartres. Péguy pativa, e portava le sue poesie come un ex-voto per i figli malati alla Madonna; Belloc portò una sua ballata, un po' alla brava, spavaldamente. Era una ballata all'antica. Era venuto qui, nella città eterna, a piedi, dal cuore della Francia; e il suo In via per Roma (The Path to Rome). lo diedi tradotto nell'Illustrazione Vaticana del 1935. Non io dovevo tradurlo, avrebbe dovuto tradurlo uno come Cecchi a quel modo che tradusse Manalive di Chesterton: amico dell'uno e dell'altro, e amico degnissimo di loro, a loro egli ha consacrato pagine parecchio belle.
Narra il biografo di Belloc*:
[Nel 1928] Belloc si recò in pellegrinaggio in Polonia; questo pellegrinaggio, per importanza, vien secondo a quello che aveva fatto a Roma, Sua mèta, il santuario della Madonna di Czestochowa; recava con sé la ballata che porta il nome di Lei. Ascoltata la messa nella grande chiesa del monastero, la quale domina tutta la regione intorno per la sua situazione, e domina tutta la Polonia per la sua leggenda, Belloc portò la ballata, montata in una cornice nera, nella cappella dove la faccia dolorosa della Madre di Dio guarda sulla folla che le prega davanti. L'appende alla parete a fianco dell'altare, a destra, in mezzo a spade, medaglie, vascelli d'oro, braccia e gambe, testimonianze della intercessione della Madonna, Dopo, ne fece una traduzione strana in un latino maccheronico, e la depositò negli archivi del monastero. Se oggi un pellegrino polacco guarda un po' da vicino queste sante mura, vedrà che un poeta inglese fu il primo tra gli amici della sua nazione.
Qual è questa ballata? Eccola, nella traduzione di Augusto Guidi:
Donna, e Regina, e multiplo Mistero,
E Reggitrice dello sgombro cielo,
Madonna che Sant'Ilda vide in sogno,
E una silvestre musica ascoltava;
'attenderai nell'ora vespertina,
Che le nubi sono alte e rientra il gregge.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Scoscesi sono i flutti, irosi, freddi,
Terribili a tentarsi nei marosi;
Tu mi restituirai, fedele amica
Alla vendetta e alle glorie dei forti.
Questa è la fede che ho nutrito e nutro,
E questa è quella in cui morire voglio.
Licenza, Principe d'onta che ti compri e vendi,
Scritti nella tua tana rovinante,
Questi versi proclaman la mia fede,
Proclamano che in lei voglio morire.
Oh no, non è una gran poesia, forse nemmeno è una poesia. Sarà preghiera? Ne dubito, la preghiera e la poesia essendo cose estremamente più sfuggenti, segrete. A Belloc, più di una volta, come al suo amico Chesterton, piacevano troppo scrivendo i fuochi artificiali. Come piaceva il vino. Si sarebbero vergognati di dare per soggetto alla poesia, persino alla prosa, la cronaca nera oggi d'uso alla quale preferirono sempre le storielle allegre. Incontrarono, tuttavia, la preghiera e la grazia, tutti e due, e più d'una volta. A loro stessa insaputa, ma le incontrarono; e un giorno qualcuno lo dirà, io spero.
Don Giuseppe De Luca, Bailamme. Ovverosia pensieri del sabato sera.
* Robert Speaight, The Life of Hilaire Belloc, London, 1957.
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