Anche oggi il miglior scritto su G. K. Chesterton rimane quello di André Chevrillon: Une apologie du christianisme (in: Nouvelles Etudes Anglaises: ed. Hachette, Paris), impostato principalmente sulle due opere magnifiche e fondamentali: Heretics e Orthodoxy del grande umorista inglese. Ma si può leggere con profitto anche il G. K. C. di Julius West (Ed. Secker, London: 1915); e infine questo G. K. Chesterton; Ses idées et son caractère, pubblicato recentemente da Joseph de Tonquédec, per i tipi della «Nouvelle Librairie Nationale» (Paris), sebbene non gli sieno mancate critiche acerbe. Il Vitetti, che lo recensì minutamente, lo definì «un infortunio capitato a G. K. C.». E un critico francese, mentre ammetteva la legittimità di paragonare Chesterton, se proprio uno ci tiene, a una testuggine o a un rinoceronte, trovava in verità un poco strano che il de Tonquédec avesse preferito paragonarlo a «una farfalla ebbra di sole». È proprio vero che l’entusiasmo fa dei brutti scherzi.
Il de Tonquédec non nasconde d’ignorare parte dell’opera di Chesterton; e probabilmente quella parte, non esigua, che non è stata ancora tradotta in francese. Non ha avuto cura di inquadrare il suo autore in un disegno storico, tanto più necessario in quanto, più che altro, egli ha insistito sull’aspetto teoretico e confessionale dell’opera di Chesterton, anche a scapito di quanto in essa va considerato come arte.
Ma agli effetti della nessuna conoscenza che di questo scrittore si ha, generalmente, in Italia, il volumetto può esser utile. E non conviene giudicarlo con severità eccessiva. Ora per la prima volta Chesterton vien tradotto in italiano; e tutta la prima parte del suo Manalive, sotto il titolo: Le avventure di un uomo vivo, è apparsa, dal numero I di quest’anno, al numero IX, uscito in questi giorni, nella romana «Ronda». Non vogliamo insinuare che sia necessaria una interpretazione ermetica, o per lo meno allegorica. In ogni modo il Tonquédec potrebbe essere, al lettore italiano, un non ozioso compagno, in quella selva di bizzarrie, paradossi e capricci dell’ingegnoso scrittore, i quali spesso cuoprono magari un po’ disordinatamente, significati organici, nuovi e, non di rado, profondi.
Emilio Cecchi, La Tribuna, 25 novembre 1921.
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