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domenica 23 maggio 2021

Chesterton in altre parole - Italo Alighiero Chiusano - "Una frase che per me vale tutta la Critica della ragione pura di Kant"... (grazie, Umberta Mesina)

Italo Alighiero Chiusano - Wikipedia


Da Note di un contemporaneo, di Italo Alighiero Chiusano, Edizioni Paoline, Alba 1985.


Pascal corrisponde molto alla mia natura. Spesso ha ragione, ma è troppo cupo, pessimista. Anche Chesterton corrisponde molto alla mia natura. Spesso ha ragione, ma è troppo sereno, ottimista. Una fusione tra i due? Un Pascal-Chesterton? Che fior di maestro sarebbe! Ma forse qualcosa di simile c’è già: il San Francesco degli ultimi due anni, dopo la Verna e le stigmate. (pag. 215 C) 


Pasqua 

(pagg. 46-49) 


“Buona Pasqua!”, “uova di Pasqua”, “auguri pasquali”, “contento come una Pasqua”, “vacanze pasquali”, “il ponte di Pasqua”, “Pasqua con chi vuoi”, “un regalo di Pasqua”. C’è, in queste e in infinite altre frasi a sfondo pasquale, uno squillare di campanelli d’argento, un effluvio di aria finalmente non più invernale ma tepidamente primaverile, un cielo azzurro con bianchi cirri e rondini, come nei libri di lettura della nostra infanzia, un fremito di vita che si ridesta, di ali e di elitre che si distendono al volo, di polmoni che si dilatano,di gioia vogliosa – nello spirito e nel corpo – che ripiglia vigore dopo un lungo letargo. 

Ma in buona parte questa bella roba è come soffocata da un pesante coltrone: quello di un’abitudine secolare, un tempo almeno vivificata da un pizzico di fede, mentre oggi è un cliché laico e consumistico di cui beneficia soltanto chi, per la Pasqua, ha qualcosa di acconcio da vendere, anzi da rifilarti. Tra quelli che ne godono veramente, oltre a poche anime pie, ci sono soltanto i bambini; anzi, alcune fasce di bambini molto piccoli e privilegiati. Insomma, è come il Natale, che si festeggia anche a Tokyo o in Russia, ma come scadenza festiva stagionale, senza pensare a implicazioni più profonde. 

Non facciamo il solito paragone pessimistico tra ciò che la Pasqua (o il Natale) significa e vuol significare, e la realtà che quotidianamente ci troviamo intorno; tra tanta gioia e vita e amore e serenità da un lato, e tanto dolore e morte e odio e disperazione dall’altro. Più o meno il mondo della realtà è sempre stato amaro, se mai gli ultimi anni hanno più amarezza ancora; ma è anche vero che di cose bellissime, di persone incantevoli, di segni gonfi di speranza il mondo è pieno, anzi traboccante anche adesso, e il nostro peggior guaio è proprio questo, di non volerlo o saperlo vedere. 

Ecco, se dovessi fare a me stesso o ad altri un regalo di Pasqua eccezionalmente valido, sarebbe appunto una rinnovata freschezza di sentimenti e di attenzione di fronte alla meravigliosa scena della vita. Abbiamo gli occhi velati dal sonno, la mente ottenebrata dall’ubriachezza, e barcolliamo in questo giardino di fiaba come se fosse un noiosissimo, polveroso museo di fossili. Mi succede, a volte, di fronte , non dico a un fiore, a una bella donna, a un paesaggio di montagna e di neve, ma fissando l’occhio su una semplice matita, di sentirmi prendere da una specie di vertigine e di caldana, che mi fa letteralmente arrossire. “Ma come”, dice in me una voce, “non ti vergogni? Esiste una realtà miracolosa come questa matita gialla, esagonale, con scritta dorata, la vernice un po’ scrostata, il legno della punta odoroso di segheria, la mina grigio-nera con riflessi argentei; esiste – o idiota che non sei altro! – questo oblungo, palpabile miracolo che basterebbe a incantare la tua vista e i tuoi polpastrelli per mille anni, degno di essere eternato dal pennello di un Vermeer o di un Caravaggio; esiste questo agglomerato di atomi, cioè miliardi e miliardi di fabbriche Fiat superpotenziate che funzionano alla perfezione per costituire questo piccolo oggetto, non solo molto utile ma anche incredibilmente bello... e tu scuoti la testa, balordo, sullanoia e la disorganizzazione che regnano nell’universo, sul male che vince il bene, sulla natura matrigna o il Dio patrigno, che ti tiene qui, su questo pianeta, a soffrire e a sbadigliare? Non ti rendi conto che se c’è da piangere su qualcosa è solo sulla misura inconcepibile della tua cecità e insipienza?”.

Sì, è una lezione che bisogna accettare. Il Grande Peccato (più invecchio, più ne sono convinto) è la nostra disattenzione a ciò che il mondo ha da offrire, la nostra pervicace costruzione – ecco la vera torre di babele – d’una muraglia invalicabile e impermeabile tra noi e la realtà vivente, di cui ormai non avveriamo più nulla, se non minuscoli e distorti frammenti. Ci siamo mai stupiti, come dovremmo, non tanto di avere un corpo e una mente, ma anche solo di avere un’unghia sul dito mignolo della mano sinistra? Per il vecchio, pur laido e criminale papà Karamazov, non esistevano donne brutte. Aveva perfettamente ragione: e questa sua idea ne faceva un santo, oltre che un poeta e un filosofo superiore a tanti autori di volumi e costruttori di sistemi. E quel meraviglioso giullare di Chesterton sosteneva che il vero miracolo non era che uno storpio cominciasse a camminare, ma che ogni mattina noi trovassimo un paio di gambe da infilare nelle nostre calze. Una frase che per me vale tutta la Critica della ragione pura di Kant. Ma poi penso al miracolo che è la mente di Kant, e mi metterei a ballare di gioia come per le “gambe” di Chesterton. 

E se questa Pasqua fosse di resurrezione, per noi, in questo senso? Nonostante il terrorismo e la crisi, l’Afghanistan e il Salvador, i governi di carta velina e i sabotaggi d’acciaio, il terremoto con le sue conseguenze e il malcostume con le sue persistenze, il referendum sull’aborto e l’“aborto” di tante iniziative promettenti, dire un entusiastico sì a questo prodigio della vita, a questo prodigio che è il fatto che siamo vivi e, se Dio vuole, nemmeno poi tanto rincitrulliti da non rendercene conto? E proporci di non dormire più nel sudario dell’indifferenza, nella tomba oscura del broncio e del rifiuto, ma aprir gli occhi alla bellezza, rotolar via la pietra dell’oppressione e venir fuori, come Gesù, in una splendida mattinata di primavera (e se piove non importa, è un miracolo anche quello) e poi camminare in un giardino umido di rugiada, tra allodole che frullano e merli che fischiano, verso gli amici e i parenti e le donne e i bambini che ci aspettano con amore e con impazienza (e se ci aspettano per litigare non importa, è un miracolo anche quello). 

Il giorno di Pasqua voglio andarmene all’aperto, in un bosco o in un prato, e rileggermi, tra sole e ombra, i vangeli in cui la Resurrezione per eccellenza è raccontata come si racconta la cosa più ovvia.

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