padre Brocard Sewell |
Ci siamo occupati più volte del G. K.'s Weekly, il settimanale che Chesterton diresse e firmò per oltre dieci anni e che seguì al New Witness, fondato dal fratello Cecil. Ora lo facciamo grazie a Luca Fumagalli che ha accettato di approfondire l'argomento secondo la prospettiva che ci giunge dagli scritti di padre Brocard Sewell, singolare religioso che in gioventù partecipò all'avventura chestertoniana e distributista. Il saggio è corredato dall'interessante apparato iconografico che presentiamo, altro motivo di gratitudine verso Luca, perché così si capiscono meglio tante cose.
Ringrazio caldamente Luca per il contributo che spero aumenti l'interesse e l'attenzione per l'esperienza giornalistica del Nostro, fondamentale per capirne tutta la sua peculiarità.
Marco Sermarini
Sei mesi immerso negli archivi di Top Meadow, Beaconsfield, a casa Chesterton, ospite del reverendo Henry Reed e della Converts' Aid Society. Un memorandum preparato da Rex Mawby sulla Distributist League, un pacco di lettere dell'americano Gregory Macdonald, ex membro della redazione del «G. K.'s Weekly», e qualche colloquio con Bryan Keating.
Gli studiosi hanno mostrato da sempre un atteggiamento ambivalente nei confronti dell'impresa giornalistica di Chesterton. Molti critici, infatti, hanno messo in discussione il valore del «G. K.'s Weekly», giudicandolo uno spreco di tempo e denaro o, peggio ancora, una distrazione che allontanò lo scrittore inglese dai suoi libri, di gran lunga più interessanti. Gregory Macdonald, e altri con lui, hanno ampiamente smentito tale assunto; del resto lo stesso Chesterton era orgoglioso di essere un giornalista e volentieri si accodò a quella schiera di intellettuali britannici – Defoe, Johnson, Cobbett, William Morris … – che pubblicarono un periodico per promuovere le proprie idee (questa volontà è testimoniata da numerose lettere di Gilbert, comprese quelle scritte a Hilaire Belloc e Maurice Baring).
Un altro falso mito da sfatare, condiviso da Maisie Ward e da diversi biografi chestertoniani successivi, è che Chesterton non abbia mai voluto dare il via a un giornale, ma l'abbia fatto esclusivamente per onorare la memoria del fratello Cecil, morto al fronte nel 1918. Quest'ultimo era stato infatti il combattivo direttore del «The New Witness», successore del «The Eye-Witness» di Belloc. Anche Frances e Dorothy Collins, rispettivamente moglie e segretaria di Chesterton, nutrivano seri dubbi sulla bontà del progetto. Pur contribuendo al «G. K.'s Weekly», entrambe erano preoccupate per lo stress e la tensione che esso causava all'amato Gilbert, costantemente assillato da malumori redazionali e da problemi economici.
Il senso di dovere nei confronti del fratello fu certamente una componente importante che condizionò la scelta di Chesterton, ma non fu l'unica. Avere uno spazio autogestito poteva fornire a quello che si definiva iperbolicamente «il peggiore direttore del mondo» – e di sicuro Gilbert mancava, in questo ruolo, delle qualità di Cecil – una libertà di cui mai avrebbe potuto godere sulle colonne degli altri giornali per cui scriveva.
Fu così che nel 1924 venne fondata la G.K.'s Weekly Limited con un capitale di 20.000 sterline. Tra i membri della società, oltre a Chesterton, figuravano Maurice Baring (defilatosi quasi subito), Lord Howard de Walden, Alderman Cedric Chivers e Maurice Bennington Reckitt. Nel 1929, a seguito della morte di Chivers, l'eccentrico editore Cecil Palmer occupò il posto vacante.
Nel novembre del 1924 venne stampato un numero di prova del «G. K.'s Weekly», e in un articolo, significativamente intitolato Apologia, Chesterton allineò il periodico alle posizioni distrbutiste. Bernard Shaw aveva suggerito di chiamare il foglio «Chesterton's», ma Gilbert non avrebbe mai tollerato una simile manifestazione d'egocentrismo.
A causa della difficoltà a racimolare i fondi necessari, il primo numero ufficiale vide la luce solamente diversi mesi dopo, il 21 marzo 1925. Fu un peccato ritardarne così tanto l'uscita: l'edizione di prova aveva infatti suscitato grande entusiasmo; si persero così potenziali scrittori e abbonati. Dal punto di vista finanziario, poi, la partenza fu davvero pessima. Il «G. K.'s Weekly» non poté essere pubblicizzato adeguatamente e tale situazione – tamponata solo parzialmente da donazioni, lasciti e dal contributo volontario dei redattori – non migliorò nemmeno in seguito.
Nell'agosto del 1926 si raggiunse un punto di crisi. Si pensò quindi di organizzare una qualche sorta di associazione per promuovere sia il periodico che, più in generale, il distributismo. Su iniziativa del capitano Harry Stuart Devereux Went, un conservatore anglo-cattolico, nacque la Distributist League (ad aiutarlo l'amico Bill Titterton). Il nuovo progetto venne presentato in occasione di due conferenze, a settembre e ottobre. Da quel momento in avanti il «G. K.'s Weekly» divenne l'organo ufficiale della Lega e George Heseltine prese il posto di membro nell'omonima compagnia.
Negli anni seguenti sorsero nuove difficoltà che mai permisero al periodico di decollare oltre le poche migliaia di copie vendute.
Il comitato redazionale ebbe tuttavia vita relativamente breve, estinguendosi dopo quattro anni: quando Arthur Currie propose di fondare un vero e proprio partito politico di stampo distributista, si scontò con Edward Macdonald, contrario all'ipotesi. Quest'ultimo prese in carico la gestione del periodico, aiutato dal fratello, inaugurando la terza e la più longeva fase del «G. K.'s Weekly»: l'era Macdonald.
Nel 1936, alla morte di Chesterton, la testata cambiò proprietà e direttore. Mutò anche il nome che diventò «The Weekly Review». Da quel momento in avanti di essa si occuparono Reginald Jebb – genero dei Belloc – e Hilary Pepler. Ma questa, come si suol dire, è un'altra storia.
Il «G. K.'s Weekly» aveva dalla sua diversi punti di forza, a partire dai collaboratori – occasionali e non –, letterati e studiosi di grande caratura intellettuale. Tra i più noti: Ezra Pound, Eric Blair (alias George Orwell), Walter de la Mare, padre Vincent McNabb, K. L. Kenrick, Eric Gill, Hilaire Belloc, J. C. Squire, A. J. Penty, Conal O'Riordan, John Heron Lepper, Louis Golding, Emile Cammaerts, Mrs Henry Dudeney, Featherstone Hammond, R. McNair Wilson, Bernard Gilbert, il reverendo H. E. G. Rope, Freda Derrick e W. H. Ogston.
Fino alla fine del 1935 Mrs Cecil Chesterton, celata sotto lo pseudonimo di J. K. Prothero, tenne una rubrica dedicata al teatro, mentre quella politica, "The Scrapbook", per quanto vivace, contò pochi contributi davvero interessanti. "The Cockpit", la pagina della corrispondenza, era invece un luogo di scoppiettante dibattito, anche se col tempo degenerò in un'arena dove si affrontarono più che altro le posizioni interne al distributismo (e molti lettori si lamentarono per questo).
Inoltre del «G. K.'s Weekly» divennero presto famose le vignette umoristiche disegnate da Will Owen, "Esquire", Powys Evans, Thomas Derrick, Denis Tegetmeier e dall'australiano Will Dyson.
L'ultimo numero del «G. K.'s Weekly» che uscì sotto la sua direzione fu quello del 18 giugno 1936 (Chesterton era morto qualche giorno prima, il 14 giugno). Vi comparvero messaggi di tributo da parte del cardinale Hinsley, arcivescovo di Westminster, di Robert Lynd ed E. C. Bentley. All'interno, numerosi articoli a lui dedicati da parte di amici ed estimatori, ne elogiavano lo spirito arguto, la vis polemica e le indubbie qualità giornalistiche.
Nonostante fosse un periodico piccolo, portato avanti con un capitale esiguo, il «G. K.'s Weekly» ebbe comunque una sua nicchia d'influenza. Da quella minuscola redazione di Little Essex Street – una stanza di medie dimensioni in un edificio del XVIII secolo, arredata con pochi mobili – si tentò di condurre un romantico quanto folle attacco al cuore del corrotto sistema politico ed economico britannico. Solo un novello Don Chisciotte come G. K. Chesterton poteva guidare un'armata Brancaleone destinata inesorabilmente alla sconfitta.
Eppure se ancora oggi il nome della testata da lui diretta non è dimenticato, è perché il «G. K.'s Weekly», al netto dei limiti, ha segnato a suo modo un'epoca, quella della speranza che un nuovo Davide potesse sorgere per sconfiggere una volta per tutte il Golia della modernità.
Luca Fumagalli
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