Quando mi recai al consolato americano per regolarizzare il mio passaporto, ero capace di immaginare che il consolato americano fosse americano. Le ambasciate e i consolati sono per tradizione isole fatte dello stesso suolo che rappresentano; e ho spesso constatato che la tradizione corrisponde a una verità.
Ho visto l'inconfondibile ufficiale francese vivere delle sue omelette e del suo vino e imbandire le sue sacre dissertazioni sotto le palme ai margini del deserto. In mezzo al fervore e al rumore di bisticci tra turchi ed egiziani, sono comparso all'improvviso io, come un getto d'acqua gelata nella doccia, con l'indolente cortesia del gentiluomo inglese. Gli ufficiali con cui ho parlato erano decisamente americani, soprattutto perché erano molto cortesi; al di là del tono e del significato di Martin Chuzzlewit, io ho sempre constatato che gli americani sono di gran lunga il popolo più cortese del mondo.
Mi hanno consegnato un modulo da compilare, a tutti gli effetti identico agli altri moduli che ho compilato negli uffici doganali. Ma in realtà era molto diverso da qualsiasi modulo abbia mai compilato in vita mia. Direi che era una versione un po' più libera del gioco che io e i miei amici inventammo gioventù e chiamammo «confessioni»; si trattava di un foglio con un questionario che conteneva domande del tipo: «Se vedessi un rinoceronte 🦏 in giardino, cosa faresti?».
Un mio amico, me lo ricordo bene, scrisse: «Diventerei astemio». Ma questa è un'altra storia, e implicherebbe la comparsa sulla scena del signor Pussyfoot Johnson prima del tempo. Una delle domande scritte sul modulo era: «Lei è un anarchico?»; a essa un filosofo distaccato sarebbe stato naturalmente incline a rispondere: «E cosa diavolo importa a lei? Lei è un ateo?», insieme a qualche allegro tentativo di instaurare un contraddittorio con l'ufficiale riguardo a cosa costituisca un èrxh (il greco archê).
Poi c'era la domanda: «Lei è favorevole al rovesciamento del governo degli Stati Uniti con l'uso della forza?», alla quale sarebbe stato opportuno scrivere: «Preferisco rispondere alla domanda alla fine del mio viaggio e non all'inizio». L'inquisitore, con la sua più che morbosa curiosità, aveva anche posto il quesito: «Lei è poligamo?» e la risposta in questo caso è: «Non ho tale fortuna», oppure: «Non sono così sciocco», in base all'esperienza che ciascuno di noi ha dell'altro sesso. Ma forse la risposta migliore sarebbe stata quella data a W. T. Stead quando diffuse la domanda retorica: «Dovrei uccidere il mio fratello boero?» - la risposta che girava era: «Mai interferire nelle faccende familiari».
Ma tra le molte cose che mi hanno divertito fin quasi al punto di trattare quel modulo in maniera molto irrispettosa, il più divertente era il pensiero di un incallito delinquente obbligato a trattare quel modulo in modo assolutamente rispettoso. Mi piace pensare a questo malvivente straniero, che tenta di intrufolarsi in America con tutti i documenti in regola e seguendo le procedure ufficiali, seduto a scrivere con solenne serietà: «Sono un anarchico. Vi odio tutti e voglio distruggervi», oppure: «Intendo rovesciare con la forza il governo degli Stati Uniti il prima possibile, pugnalando alla prima occasione il signor Harding 6 con il lungo coltello a serramanico che ho nella tasca sinistra dei pantaloni».
Oppure ancora: «Sì, sono indubbiamente poligamo, le mie 47 mogli mi accompagnano in questo viaggio travestite da segretarie». Sembra esserci una certa semplicità mentale dietro a queste domande; è rassicurante sapere che l'anarchico e il poligamo sono anime così candide e buone che la polizia deve solo far loro le domande ed essi risponderanno senza bugie. Ecco, questo è l'esempio tipico di una pratica straniera, fondata su problemi stranieri, di fronte a cui il primo impulso di un uomo è ovviamente quello di ridere.
E non ho nessuna intenzione di scusarmi per la mia risata. Un uomo è perfettamente autorizzato a ridere di qualcosa che gli capita di trovare incomprensibile. Quello che non ha il diritto di fare è ridere perché trova una cosa incomprensibile e poi mettersi a criticare come se l'avesse compresa. La semplice evidenza della diversità e del mistero della cosa dovrebbe spingerlo a interrogarsi sui motivi profondi che rendono quel popolo così diverso da lui, senza limitarsi a presumere con superficialità che si tratta indubbiamente di gente inferiore a lui.
Gilbert Keith Chesterton, Quello che ho visto in America 🇺🇸
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