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domenica 2 aprile 2017

La buona battaglia - di Fabio Trevisan - da Riscossa Cristiana

"Amare qualcosa senza desiderare di combattere per averla non è amore, ma lussuria"

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Questa frase, rinvenibile nel saggio "Appreciations and Criticism of the Works of Charles Dickens" del 1911, edito in lingua italiana (Marietti 1820) con il titolo "Una gioia antica e nuova. Scritti su Charles Dickens e la letteratura", condensa in modo efficace il pensiero di Chesterton sulla "buona battaglia". In un'epoca, come la nostra, caratterizzata dall'incapacità di mantenere l'obbligo di fedeltà dato e quindi di amare fino in fondo e desiderare conseguentemente di combattere per quella causa e per quel voto assunto da principio, ecco il drammatico epilogo prospettato dal grande scrittore londinese: al posto delle virtù della fedeltà e della magnanimità subentrano i vizi corruttori della lussuria e della meschinità.

Come aveva intuito Chesterton, si innesta nel mondo una nuova specie di miserabili traditori, piccoli uomini senza slanci generosi, preoccupati solamente di compiacersi ambiguamente: "Quando la natura umana è umana, incontaminata da sofismi particolari, esiste un naturale legame di parentela tra guerra e corteggiamento…". Da rilevare quanto insistesse Chesterton sulla "natura umana" e quanto questa natura sia stata erosa, dimenticata, tradita. Per non parlare poi di quel legame di parentela tra guerra e corteggiamento, così malinteso e così vituperato oggi, in un clima ideologico impregnato di pacifismo e sessismo adulterato. L'essenza del vero romanticismo e dell'autentico eroico amore umano era sintetizzato, dal saggista di Beaconsfield, in questa splendida frase: "In un romanzo vero ci sono tre personaggi che vivono e agiscono: Possiamo chiamarli San Giorgio, il Drago e la Principessa. Ogni romanzo deve conoscere il duplice tema dell'amore e della battaglia. Deve esserci una Principessa, l'oggetto da amare; deve esserci il Drago, l'oggetto da combattere, e deve esserci San Giorgio, che è il personaggio che ama e combatte". 

Per Chesterton non era possibile separare il sano amore dalla buona battaglia e per questo inveiva contro la società moderna che stava tralasciando questo indissolubile legame: "La nostra civiltà moderna mostra molti sintomi di cinismo e decadenza, ma di tutti i segnali della fragilità moderna e della mancanza di principi morali, non c'è nessuno così superficiale o pericoloso come questo: che i filosofi di oggi abbiano cominciato a dividere l'amore dalla guerra, e a collocarli in campi opposti". Chesterton alludeva al nodo inestricabile amore-guerra, pensate un po', persino nell'amata Chiesa Cattolica Romana: "Una cosa implica l'altra. Una cosa implicava l'altra nel vecchio romanzo e nella vecchia religione, che erano le due cose permanenti dell'umanità. Non si può amare qualcosa senza voler combattere per essa". Queste frasi mi fanno rabbrividire per l'intensità, la profondità e la stupefacente attualità. Sembra che Chesterton stia parlando adesso a soggetti talmente svirilizzati da non concepirsi quasi più come persone; incapaci di amare e donarsi fino in fondo. Gente così inerme, incapace di lottare e di comprendere il reale significato della vita. Chesterton sapeva invece che amare il mondo equivaleva innanzitutto a combatterlo: "Nello stesso istante in cui si è offerto di amare tutte le persone, egli si è anche offerto di colpirle". Chesterton ammoniva e rilevava, da sano cattolico che si spendeva per la buona battaglia, dell'importanza della salvezza dell'anima: "Niente è più importante del destino dell'anima…tutti i buoni scrittori esprimono lo stato della loro anima". 

Nell'amato Dickens, a cui aveva dedicato anche altri scritti, Chesterton intravedeva la bellezza della sua anima: "La prima cosa da capire di Dickens è proprio questa condizione fondamentale dell'uomo dietro le sue creazioni". A certe condizioni era possibile "dialogare" con Dickens: amandone l'anima, lo spirito delle sue creature e desiderare combattere con lui l'iniquità del male e del peccato. Chesterton promuoveva quindi un ardente combattimento spirituale contro ogni modernismo o progressismo, facendoci assaporare una gioia antica e nuova: "Certamente la parola "progresso" oggi è insignificante, perché il progresso dà per scontata una direzione già definita. Ed è proprio su questa direzione che ci troviamo in disaccordo". 

Egli era perfettamente consapevole che, oltre al connubio amore-guerra, era indispensabile tornare alla salvaguardia del dogma e dell'ortodossia: "Il dogma è l'unica cosa che rende possibile una discussione, o un ragionamento".

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