L'aggiustare è basato sull'idea che la natura originale di una cosa è buona; il terminare è basato sull'idea che la natura originale di una cosa è cattiva o che perlomeno ha perduto ogni capacità di essere buona.
Se io "aggiusto" una poltrona è perché voglio una poltrona. Aggiusto la poltrona perché desidero ricondurla in uno stato di più compiuta poltronità. La mia obiezione alla poltrona nel suo stato non-aggiustato è che i suoi difetti le impediscono proprio di essere una poltrona nel senso più vero. Se (per dire) lo schienale s'è staccato e tre zampe sono scomparse, io mi accorgo, guardandola, non semplicemente che colpisce lo sguardo per un'aria di generale irregolarità; mi accorgo che sotto questo e quest'altro aspetto essa decisamente non è all'altezza della Divina e Archetipica Poltrona, la quale, avrebbe fatto notare Platone, esiste in cielo...
Se avete intenzione di terminare un locandiere, si può farlo facilmente con un'accetta. Ma se avete intenzione di aggiustare un locandiere, dovete farlo con tenerezza, dovete farlo con rispetto. Dovete attaccare una gamba o un braccio extra alla sua persona, tenendo sempre presente l'immagine platonica del locandiere perfetto, alla cui forma voi cercate di ricondurre il vostro.
G. K. Chesterton, Dell'aggiustare e terminare le cose, in La Divina Poltrona e altre comodità, Leardini 2017
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