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venerdì 21 ottobre 2016

William Cobbett, così vicino alla nostra voglia di libertà.

Dall'America m'è arrivata grazie a Dale Ahlquist questa bella sorpresa, il libro di Chesterton su Cobbett, personaggio a noi italiani pressoché sconosciuto.

William Cobbett, noto anche come Peter Porcupine (1763 - 1835), era un politico, giornalista e scrittore inglese di cui, come vedete, si occupò con un certo interesse il nostro Chesterton.

Emigrò negli Stati Uniti, scrisse opere polemiche a sfondo politico, e continuò a scrivere anche dopo il suo rientro in Inghilterra nel 1800 attraverso la fondazione della rivista Weekly Political Register.
Tornò in fuga negli Stati Uniti nel 1817 e successivamente tornò in patria. La sua vita decisamente  movimentata, sia come giornalista e polemista che come politico, è legata a doppio filo al suo tempo ed alla temperie politica dei suoi giorni, in particolare alle questioni politiche più in voga come la riforma parlamentare. 

Nei suoi giornali, che vendeva a prezzi bassissimi, e nei racconti di viaggio nella sua Inghilterra, Cobbett criticò gli abusi dell'amministrazione del Regno e dell'esercito e si pose in schietta opposizione alle misure dei parlamenti e dei governi, che lo considerarono un rivoluzionario alla stregua dei giacobini francesi. Diede voce a contadini e gente della classe lavoratrice. Per loro lottò per l'ottenimento del diritto di voto generale, perché fossero alzate le tasse ai possidenti e per una riforma a favore delle classi meno abbienti. Decisamente eclettico e un po' anarchico nello stilare i suoi obiettivi, ebbe l'idea comunque che le riforme potessero migliorare la condizione del suo paese. Nel 1830, finalmente, fu eletto dopo tanti tentativi falliti alla Camera dei Comuni per il seggio di Oldham.

Scrisse tra le altre cose Storia della Reggenza e del Regno di Giorgio IV, Storia della Riforma protestante in Inghilterra ed in Irlanda e quindi Rural Rides, la originale cronaca dei suoi viaggi e delle storture sociali e politiche incontrate sulla sua strada.

Che disse di lui Chesterton?

Che i suoi contemporanei lo ammirarono per lo stile ma non ne apprezzarono le idee. Precisamente disse: «lodò un'Inghilterra stravagante e impossibile in un perfetto ed eccellente inglese» perché era impossibile far rivivere «le cose che Cobbett voleva resuscitare... come la libertà, l'Inghilterra, la famiglia, l'onore dei piccoli proprietari terrieri, e così via».

Poteva non essere affascinato Chesterton da un personaggio del genere, così originale, così controcorrente, così spigoloso per chi deteneva il potere? Un uomo che «amò il passato e da solo visse nel futuro». Era Cobbett e non Carlyle il vero radicale; Carlyle era lo scheletro alla festa capitalista, invece era lui, Cobbett, «lo scheletro nell'armadio».

Grande Chesterton che ci fa diventare simpatico anche Cobbett! Uno per cui Whigs e Tories erano la stessa razza, in fondo...

Un bel libro da tradurre.

Marco Sermarini


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