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giovedì 31 dicembre 2015

G.K. Chesterton: l'obbiettivo di un Nuovo Anno è...

G.K. Chesterton (@GKCDaily)
The object of a New Year is that we should have a new soul and a new nose; new feet, a new backbone, new ears, and new eyes.




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Casa chestertoniana...

La figlia di sette anni ha scritto questo...

Dale Ahlquist e La “tregua unilaterale” con il mondo

Riproponiamo un interessante articolo di Dale Ahlquist da noi tradotto in italiano, ora confluito nel sito della Distributist Review.



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Buon Anno Distributista

Nell'augurarvi buon anno, un anno che ci trovi tutti impegnati a lavorare per l'Unico Vero Re e cioè Nostro Signore Gesù Cristo, vi invito a leggere qualcosa dalla Distributist Review. Il Distributismo è la strada.

http://distributistreview.com


Un grande abbraccio a tutti!


Marco Sermarini 



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mercoledì 30 dicembre 2015

Un aforisma al giorno (caratteri cubitali)

Gli essere umani sono felici fin tanto che mantengono la loro capacità di ricezione, e la capacità di reagire agli stimoli esterni con la sorpresa, o la gratitudine.


Gilbert Keith Chesterton, La Nonna del drago e altre serissime storie

Un aforisma al giorno

Sono convinto che quando gli uomini sono felici, cantano; non soltanto accompagnati da un pianoforte ma anche quando hanno in mano un aratro o perlomeno negli intervalli tra un'aratura e l'altra; al lavoro e nei viaggi all'estero.


Gilbert Keith Chesterton, La serietà non è una virtù

martedì 29 dicembre 2015

Un aforisma al giorno

G.K. Chesterton (@GKCDaily)
In freeing ourselves from Christianity, we have only freed ourselves from freedom.




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sabato 26 dicembre 2015

Alla sepoltura di Riccardo IIII hanno cantato l'inno di Chesterton O God of Earth and Altar

Soc Chestertoniana (@Sochest)
Alla cerimonia di sepoltura di Riccardo III hanno cantato l'inno composto da #Chesterton O God of Earth and Altar twitter.com/amchestertonso…




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mercoledì 23 dicembre 2015

Cominciamo con gli auguri di Buon Natale, cari amici...


«Quello che mi è successo è l'opposto di quello che sembra essere l'esperienza della maggior parte dei miei amici. Invece di rimpicciolire fino ad un puntino, Babbo Natale è divenuto sempre più grande nella mia vita fino a riempire la quasi totalità di essa. E' successo in questo modo. Da bambino mi trovai di fronte ad un fenomeno che richiedeva una spiegazione. Avevo appeso alla sponda del mio letto una calza vuota, che al mattino si trasformò in una calza piena. Non avevo fatto nulla per produrre le cose che la riempivano. Non avevo lavorato per loro, né le avevo fatte o aiutato a farle. Non ero nemmeno stato buono - lungi da me! 
E la spiegazione era che un certo essere che tutti chiamavano "Santa Claus" era benevolmente disposto verso di me... Ciò che credevamo era che una determinata agenzia benevola ci avesse davvero dato quei giocattoli per niente. E, come affermo, io ci credo ancora. Ho semplicemente esteso l'idea.
Allora chiedevo solo chi metteva i giocattoli nella calza, ora mi chiedo Chi mette la calza accanto al letto, e il letto nella stanza, e la stanza della casa, e la casa nel pianeta, e il grande pianeta nel vuoto.
Una volta mi limitavo a ringraziare Babbo Natale per pochi dollari e qualche biscotto. 
Ora, lo ringrazio per le stelle e le facce in strada, e il vino e il grande mare.
Una volta pensavo fosse piacevole e sorprendente trovare un regalo così grande da entrare solo per metà nella calza.
Ora sono felice e stupito ogni mattina di trovare un regalo così grande che ci vogliono due calze per tenerlo, e poi buona parte ne rimane fuori; è il grande e assurdo regalo di me stesso, perché all'origine di esso io non posso offrire alcun suggerimento tranne che Babbo Natale me l'ha dato in un particolare fantastico momento di buona volontà».

Gilbert Keith Chesterton, lettera a The Tablet of London

Nel grembo di Maria
giaceva il Bimbo
 
la sua chioma era simile a una luce
(stanco e disfatto è il mondo, ma qui tutto
proprio tutto va bene).
Sul seno di Maria
giaceva il Bimbo 

la sua chioma era simile a una stella

(sono astiosi e astuti tutti i re
ma qui sinceri i cuori).
Sul cuore di Maria
giaceva il Bimbo
 
ed era la sua chioma come il fuoco

(stanco è il mondo,
ma del mondo
 è questo il desiderio).
Stava Cristo ai ginocchi di Maria
la sua chioma pareva una corona.
E tutti i fiori a lui guardavan su
tutte le stelle giù.

Gilbert Keith Chesterton, Natale 1900

Vi giriamo con piacere questa segnalazione

Luigi Gaudio ci segnala l'avvenuto svolgimento di un bell'incontro su Chesterton a Cesano Boscone.
Qui sotto tutte le indicazioni dei file presenti in internet e in allegato la locandina della mostra del libro parrocchiale, nell'ambito della quale si è tenuto l'incontro:

  • AUDIO Incontro con Chesterton, un uomo vivo dialogo e letture a due voci sui racconti e romanzi di Chesterton con i professori Luigi Gaudio e Giancorrado Peluso, inaugurazione della Mostra "Un libro sotto l'albero", sabato 19 dicembre 2015 a Cesano Boscone, Aula San Michele della parrocchia San Giovanni Battista, disponibili anche le slide in power point e il testo della lezione

    • VIDEO Incontro con Chesterton, un uomo vivo dialogo e letture a due voci sui racconti e romanzi di Chesterton con i professori Luigi Gaudio e Giancorrado Peluso, inaugurazione della Mostra "Un libro sotto l'albero", sabato 19 dicembre 2015 a Cesano Boscone, Aula San Michele della parrocchia San Giovanni Battista, disponibili anche le slide in power point e il testo della lezione

lunedì 21 dicembre 2015

Un'altra estemporanea ed entusiastica recensione di Radio Chesterton...

Cari amici della SCI,

mi sono imbattuta per caso nella lettura del libro "Radio Chesterton" di Gilbert Keith Chesterton. La premessa è - ahimè - che non sono un'appassionata lettrice e tantomeno un'estimatrice di questo scrittore, anche se ho potuto apprezzare qualche suo aforisma davvero geniale... Quello che mi ha invogliato a leggere questo libro è che è stato tradotto da Annalisa Teggi... traduttrice doc! Beh, che dirvi? Mi ha davvero entusiasmato, tant'è che ora consiglio a tutti di leggerlo... a cominciare dai miei figli!

Anna Rossi, Venezia


Su www.pumpstreet.it

Grazie alla Distributist Review - Guardate...

Distributist Review (@DistributistRev)
Yes! Our favorite image of GKC! It originally appeared in Chesterton's "G.K.'s Weekly". twitter.com/BSHistory77/st…




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Aderite tutti alla proposta di Pump Street!

Grazie, cari amici, per quello che farete!

Crowdfunding a sostegno della

Scuola Libera G.K. Chesterton


Fai ora la tua donazione (per ricevere subito un omaggio) o acquista un prodotto per sostenere le attività della Scuola Libera G.K. Chesterton di San Benedetto del Tronto







mercoledì 16 dicembre 2015

Un aforisma al giorno

Se gli Americani possono divorziare per "incompatibilità di carattere", mi chiedo come mai non abbiano tutti divorziato. Ho conosciuto molti matrimoni felici, ma ma mai nessuno "compatibile". Tutto il senso del matrimonio sta nel lottare e nell'andare oltre l'istante in cui l'incompatibilità diventa evidente. Perché un uomo e una donna, come tali, sono incompatibili.

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

Il Chesterbelloc - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)

"L'Europa tornerà alla Fede o perirà. Poiché la Fede è l'Europa e l'Europa è la Fede".

.

zzzzhlrbllc

Con questa frase riportata in corsivo Hilaire Belloc (1870-1953) chiudeva il grande saggio storico: "L'Europa e la Fededel 1920. Belloc era tanto amico di Chesterton da costituire, agli occhi di George Bernard Shaw, il granitico e cattolico sodalizio "Chesterbelloc". Belloc, che scrisse circa centocinquanta libri, soprattutto di carattere storico, aveva portato a Chesterton la bellezza della Fede (con la F maiuscola) e una precisa identità cristiana fondata sulla conoscenza dei fatti avvenuti nel tempo (egli si era diplomato a pieni voti nel prestigioso Balliol College, ma gli era stato impedito in quanto cattolico di insegnare storia). Non si può quindi conoscere il pensiero di Chesterton senza valutare il benefico apporto di Belloc. Credo che l'attualità e la grandezza di questi due grandi scrittori cattolici sia ancor più riscontrabile ai giorni nostri, nell'approssimarsi del Santo Natale e nella vergognosa debolezza di tanti uomini d'oggi nel difendere quelle sacre tradizioni (dal presepe all'identità cristiana, dalla Sacra Famiglia di Nazareth al Crocifisso).

Belloc aveva insegnato a Chesterton cosa fosse la coscienza cattolica della storia. Ecco cosa scriveva nell'introduzione al menzionato saggio del 1920: "Io dico con intenzione la "coscienza" cattolica della storia: parlo di "coscienza", cioè di conoscenza intima raggiunta attraverso l'identità…e non di un "punto di vista cattolico della storia". Questo indugiarsi su "punti di vista" è cosa moderna e perciò segno e manifestazione di decadenza…Vi può essere un punto di vista protestante come ve n'è uno ebraico, o mussulmano, o giapponese: ché tutti questi considerano l'Europa dal di fuori. Il cattolico invece guarda l'Europa dall'interno: non può esistere quindi un "punto di vista" cattolico della storia europea allo stesso modo che una persona non può avere un punto di vista su se stessa". 

zzzzfabio chesterbelloc

A distanza di quasi un secolo tutt'al più ora si sentono timidamente menzionare le "radici cristiane" dell'Europa! Questa grande consapevolezza cattolica, mutuata da faticose e precise indagini storiche, spingeva Belloc a difendere la Fede e l'Europa, quella vera, testimoniata dalle grandiosi Cattedrali gotiche, dalle Università, dalle corporazioni di arti e mestieri e dalla centralità di Dio nella vita dell'uomo e delle famiglie cristianamente ispirate. Così egli continuava: "La visione che io ho di me non è un "punto di vista", è una comprensione, così è di noi che abbiamo la Fede e della grande storia dell'Europa. Un cattolico che legge questa storia non le brancola d'attorno dal di fuori, ma l'afferra dal di dentro". Chesterton aveva quindi assimilato queste rigorose ricostruzioni storiche e questi importanti concetti dall'amico Hilaire Belloc, a cui era davvero strettamente legato.

Dinanzi al mare del relativismo in cui siamo immersi e di fronte alla minaccia islamica che stiamo sempre più sperimentando, penso che la lezione di Belloc sia ancora magistrale. Abbiamo coscienza di questa identità? Ci assumiamo conseguentemente, da cattolici,  precise e urgenti responsabilità verso Dio e gli uomini, come le indicava il grande storico franco-inglese? Ai sacerdoti e laici che già allora chiedevano tiepidamente a Belloc di attenuare la sua sana appartenenza alla "Chiesa Cattolica Romana" (come lui e Chesterton amavano coraggiosamente definirla) egli non rifiutava, anche in pubblico, di manifestare la ricchezza della Fede: "In questo momento cruciale rimane salda la verità storica che questo nostro organismo europeo, eretto sulle nobili fondamenta dell'antichità classica, fu plasmato dalla Chiesa cattolica, grazie ad essa esiste, ad essa consona, soltanto nella forma di essa persisterà". Credo che il cosiddetto "Chesterbelloc" sia stata l'avanguardia gagliarda e stimolante del pensiero cattolico e mi chiedo: "Ce ne siamo accorti? Crediamo che questi autori siano superati? Perché non  studiamo le loro opere? Perché ci affaccendiamo in sterili e talvolta equivoche questioni quando il patrimonio delle loro idee sarebbero ancora capaci di farci comprendere a quale rotta stiamo navigando?". 

Con tutti questi interrogativi e auspici auguro a tutti un fervido Santo Natale e concludo con il monito di Hilaire Belloc: "Ripeto pertanto dando nuova forma ai termini che la Chiesa è l'Europa e l'Europa è la Chiesa".



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martedì 15 dicembre 2015

Ecco Babbo Natale Gilbert! Bravo il disegnatore, eh?

Personalmente è chiaro, io credo in Babbo Natale; ma è il tempo del perdono, e perdonerò gli altri che non ci credono.

Gilbert Keith Chesterton, La Nonna del drago e altre serissime storie


E adesso provate a dire cinicamente che Babbo Natale non esiste.

Io Marco Sermarini, presidente della Società Chestertoniana Italiana, affermo con scienza e coscienza che Babbo Natale esiste. E chi dice ai bambini che non esiste commette uno dei crimini peggiori che si possano compiere.


Un aforisma al giorno

Ho fatto notare che il materialista, come il malato di mente, è chiuso in un carcere, prigioniero di un'idea.

Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia

lunedì 14 dicembre 2015

The African Who Brought Chesterton to Sierra Leone

The African Who Brought Chesterton to Sierra Leone

Il grande ritorno del nostro eroe, John Kanu! La Distributist Review parla anche di noi e del nostro progetto di aiuto! Il container sta per partire! Viva John!


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domenica 13 dicembre 2015

Omar e il sacro vino - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)

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"Nessuno può essere veramente ilare, se non l'uomo serio. Il vino allieta il cuore dell'uomo, ma solo dell'uomo che ha un cuore".

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Chesterton è stato spesso accusato di essere uno scrittore "divertente". A questi detrattori infelici egli aveva risposto nel saggio"Ereticidel 1905: "Il contrario di "divertente" non è serio, ma "non divertente"! Egli cercava di mostrare come alla presunta "serietà" potesse accompagnarsi la gioia dell'essere cristiani: ilarità e serietà non si contrapponevano ma, un po' paradossalmente, cooperavano al fine di annientare la superbia umana. L'uomo, in quanto peccatore, non poteva prendersi eccessivamente sul serio; non poteva, come nell'epoca moderna, credere troppo in se stesso.

Nel settimo capitolo di Eretici"Omar e il sacro vino", egli prendeva le distanze dalla filosofia del matematico e poeta persiano del XII secolo, Omar Khayam, che nelle Rubayat (le quartine poetiche) aveva apparentemente esaltato la potenza del vino: "Le libagioni di vino di Omar sono riprovevoli, non in quanto libagioni di vino ma in quanto libagioni terapeutiche". Chesterton aggiungeva: "Sono le libagioni di un uomo che beve perché non è felice". Qual era il rimprovero del grande scrittore londinese ? Perché era ritenuto così importante da dedicarci un intero capitolo, tralasciando ora il riferimento palese al romanzo L'osteria volante ?

Anche ai giorni nostri si sente sovente dire: "Si beve per dimenticare". Ecco, per Chesterton era l'esatto contrario: il cristiano beveva per ricordare e per affermare la dignità dell'uomo. Ciò che Omar non poteva concepire era la sacralità del vino. Il mondo musulmano, che annienta l'uomo, distrugge anche il vino: "Il vino di Omar esclude l'universo, non lo rivela…Il più alto cristianesimo dissente con questo scetticismo, non certo perché nega l'esistenza di Dio, ma perché nega l'esistenza dell'uomo". Il vino, sin dalla Sacra Scrittura, era stato considerato un alleato dell'uomo, però dell'uomo che aveva un cuore e che non disprezzava la regalità divina e l'umanità. C'era un'eterna gaiezza nella natura delle cose (create da Dio) che non doveva essere disprezzata: "Un uomo non può rallegrarsi di nulla, se non della natura delle cose; un uomo non può godere di nulla, se non della religione". 

Agli improvvidi fautori del tavolo del dialogo con chicchessia andrebbe ricordato che se fosse servito a quel tavolo il sacro vino (In vino veritas dicevano i Romani), tutte le questioni sollevate da Chesterton si sarebbero potuto rivelare ancora tutt'altro che superficiali. Chesterton rammentava a Omar ed agli scettici del carpe dieml'altezza del cattolicesimo: "Sull'eccelso altare del cristianesimo si leva un'altra figura, nella cui mano è un'altra coppa di vino: "Bevete"dice "perché l'intero mondo è rosso come questo vino, per il vermiglio dell'amore e della collera divina. Bevete, perché le trombe chiamano alla battaglia e questo è il bicchiere della staffa".

La filosofia del vino di Omar era l'esatto opposto di quella cristiana, come affermava Chesterton: "Omar si dà al piacere perché la vita non è gioiosa; gozzoviglia perché non è lieto…beve perché non c'è nulla degno di fiducia, nulla degno di lotta". Il calice di vino alzato da Omar contraddiceva palesemente il calice di vino alzato dal sacerdote cattolico.

Non era più lo stesso vino: stordente e inebriante come una trottola nella religione di Omar, divenuto invece sangue sacro di Cristo versato per tutti noi sulla Croce della redenzione: "Bevete, per questo mio sangue del nuovo testamento che è sparso per voi. Bevete, perché io so donde venite e perché. Bevete, perché io so quando ve ne andrete e dove".

sabato 12 dicembre 2015

Tweet di Pump Street su Twitter

Pump Street (@pump_street)
"Cosa c'è di sbagliato nel mondo" è ufficialmente in viaggio verso di noi!
#natale è arrivato!
#distributism pic.twitter.com/hzliZtgSNx


domenica 6 dicembre 2015

Un aforisma al giorno

Quando un uomo comincia a pensare che di notte l'erba non cresce se lui non sta lì a sorvegliarla, in genere finisce o in manicomio o su un trono imperiale.

G. K. Chesterton, Robert Browning, traduzione in corso d'opera di Umberta Mesina

mercoledì 2 dicembre 2015

Una segnalazione di Maria Grazia Gotti - Non perdiamo lo spirito del Natale di Chesterton

Ciao Marco, segnalo a te e a tutti gli amici della SCI che sulla rassegna stampa di Tracce di oggi 2 dicembre è segnalato un pezzo inedito sul Natale dal titolo Non perdiamo lo spirito del Natale, pubblicato il 26 dicembre 1925 sulla Illustrated London News.
La traduzione, di Andrea Colombo, è uscita su "I Luoghi dell'infinito". 

Si trova qui
http://www.tracce.it/detail.asp?c=1&p=1&id=51292

-- 
Maria Grazia Gotti

domenica 29 novembre 2015

Frances Blogg e Firenze


"... E ancora non sono i tesori d'arte ed architettura che mi attraggono di più, ma la vita della città - la leggerezza dell'Atmosfera, i colori e il movimento nelle strade, le voci della gente, i gruppi dei chiacchieroni agli angoli delle strade. La piena rivelazione di un atteggiamento verso la vita a cui siamo abbastanza estranei. Sono un popolo spensierato, questi italiani, ma sono totalmente spaventata dalla miseria e povertà che si incontra ad ogni svolta...".

Frances Blogg, lettera ad Isabel Sieveking da Firenze, primi mesi del 1901; citata in Nancy Carpentier Brown, The Woman Who was Chesterton, ACS Books - TAN Books, Charlotte NC 2015, pag. 46-47.


sabato 28 novembre 2015

Esce "Elisabetta, Regina delle circostanze" di Hilaire Belloc

Dall'Avvenire di ieri.

Esce per Fede & Cultura.

Pump Street lo vende. Approfittate.

venerdì 27 novembre 2015

Pump Street offre a un prezzo super Chesterton per Natale!

Soc Chestertoniana (@Sochest)
Ad ognuno la sua scelta di #Chesterton per Natale! Gilbert a casa vostra ad un prezzo conveniente! Approfittate! twitter.com/pump_street/st…

Un aforisma (bellissimo) al giorno

Ciò che intende ricordarci questo susseguirsi di settimane, date, domeniche e sabati e antiche ricorrenze rituali è proprio l'enorme importanza della vita quotidiana, per come ogni individuo la vive; per il fatto che riguarda la morte e il giorno e tutta la misteriosa truppa che è l'umanità.

Gilbert Keith Chesterton, Radio Chesterton, "Fatica settimanale"


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giovedì 26 novembre 2015

Un aforisma al giorno

G.K. Chesterton (@GKCDaily)
The whole object of real religion is to prevent people from losing the humility & gratitude which are thankful for daylight and daily bread.


Il Distributismo possibile c'è già - Marco Sermarini sulla Distributist Review

Il nostro presidente ha iniziato con questo articolo una collaborazione stabile con la Distributist Review, nella speranza che il distributismo italiano possa dire la sua e lavorare con tutti gli altri, come peraltro sta già facendo.

http://distributistreview.com/il-distributismo-possibile/



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Un aforisma al giorno (a proposito di Thanksgiving...)

In America celebrano l'arrivo dei puritani. Noi celebriamo la loro partenza.

Gilbert Keith Chesterton

martedì 24 novembre 2015

Un aforisma al giorno

GK Chesterton (@GKChestertonian)
"One can tell the divine origin of common sense by this simple test; that it is always crucified." #Chesterton {March 16, 1907, Daily News}


Tweet di Distributist Review su Twitter

Distributist Review (@DistributistRev)
Men always work harder and more readily when they work on that which belongs to them. #leoxiii #rerumnovarum #distributism #distributist


lunedì 23 novembre 2015

Grande ritorno della Distributist Review oggi

Distributist Review (@DistributistRev)
Kicking off our first article Daniel Schwindt explores the promise of #Distributism in our time.tinyurl.com/qjpedl3 #Catholic #Christian




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Un aforisma al giorno

G.K. Chesterton (@GKCDaily)
We as Christians, should always believe that this is a white world with black spots, not a black world with white spots.


Distributismo in atto - Ecco il container pronto per partire per la Sierra Leone!

I chestertoniani di San Benedetto del Tronto, Porto Mantovano, Canneto sull'Oglio, Gavardo hanno appena terminato di caricare il container che porterà gli attrezzi ed altre cose utili al Sierra Leone Chesterton Center di John Kanu, il nostro eroe distributista. Presto il container partirà per la Sierra Leone e così avremo aiutato a costruire un pezzo di mondo buono durevole. Grazie a tutti i chestertoniani che in qualche modo hanno contribuito! Adesso ci sarebbero da affrontare le spese per la spedizione del container che si aggirano attorno ad € 3000,00. Qualcuno vuole contribuire? Chiedere alla Società Chestertoniana Italiana.

venerdì 20 novembre 2015

Gardner e Chesterton

Martin Gardner era un noto divulgatore scientifico morto alcuni anni fa.

Come ho più volte avuto modo di raccontare, egli inserì Chesterton - al fianco di scienziati tout court di gran nome - in questa piccola antologia di scritti di carattere scientifico per mostrare quale fosse il modo migliore di fare scienza.

Di Chesterton inserì una buona parte del capitolo "L'etica del paese delle fate" (The Ethics of Elfland) di Ortodossia. Lo ribattezzò "The Logic of Elfland". E diede ragione di questa singolarissima scelta in una paginetta che ho modo di condividere con voi qui di seguito. Inutile dire che per noi cattolici il buon uso della ragione è frutto anzi primizia del cristianesimo e Chesterton ne è un fautore ed esponente di prima grandezza. Non si legge mai abbastanza Ortodossia né mai abbastanza quello splendido capitolo citato da Gardner.

La copia da cui l'ho tratta è quella appartenuta ad un grande religioso e scienziato benedettino, padre Stanley Jaki, i cui volumi chestertoniani sono stati donati alla SCI dal benemerito Francis Manion, esecutore testamentario di padre Jaki (una storia nella storia).

Marco Sermarini

Ultimo giorno per prenotare Cosa c'è di sbagliato nel mondo!

Cari Amici,

oggi è l'ultimo giorno per prenotare in anteprima ad un prezzo speciale un libro splendido!

Fatevi avanti, è un'ottima occasione per leggere un'opera che di sicuro vi piacerà, vi allargherà gli orizzonti e DI CERTO vi cambierà la vita!

Non esitate ad acquistarlo: la traduzione della Teggi è ottima, i disegnini davvero bellissimi, copertina traballante e spettacolare, il Patriota Cosmico che sta sul pezzo eccezionale e la mia prefazione del tutto inutile ma inedita!

Fidatevi di me: compratelo! Sarà bellissimo averlo sul comodino e ci seguirete a balzi e lancia in resta nella conquista del mondo!

Marco Sermarini


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giovedì 19 novembre 2015

E' in uscita la riedizione de L'uomo che sapeva troppo...

… edizioni Lindau, traduzione di Annalisa Teggi.

E' una singolarissima raccolta di racconti del 1922 di Chesterton, che vede protagonista Horne Fisher, e che è uscito in Italia (il primo della riscossa chestertoniana!) nell'Ottobre 2006 per i Gialli Mondadori, quelli che escono in edicola e poi non si trovano più.

Bene!

martedì 17 novembre 2015

Cosa c'è di sbagliato nel mondo, modalità di acquisto!

Cari amici chestertoniani, 

Come negli anni passati con Eretici, Ortodossia, La Nonna del Drago e Il Club dei Mestieri Stravaganti e La Sorpresa, rilanciamo l'idea di regalare a Natale a tutti gli amici un libro di Chesterton offerto in edizione economicissima.

Lo scopo è quello di dilettare e di dare a tutti la possibilità di fare un dono intelligente e piacevole, senza sostituirci al prezioso lavoro che altri gli editori stanno facendo e bene.
Insieme alla Casa Editrice Rubbettino e al Centro Missionario Francescano delle Marche, stiamo per dare alle stampe «Cosa c'è di sbagliato nel mondo» tradotto da Annalisa Teggi.
Il costo del pacco dono?
1 copia: € 18,00 spedizione compresa
2 copie: € 25,00 spedizione compresa
3 copie: € 36,00 spedizione compresa
5 copie: € 45,00 spedizione compresa
10 copie: € 70,00 spedizione compresa
20 copie: € 120,00 spedizione compresa
Sopra i 40 libri: € 4,50 a copia, spedizione compresa!

Precisiamo che fra qualche mese il volume sarà nelle librerie al costo di € 18,00 a copia.
Il guadagno dell'iniziativa andrà a favore delle Missioni Francescane di Zambia e Cuba.
Prenotate entro il 20 novembre ESCLUSIVAMENTE a questo indirizzo: laperlapreziosa@libero.it
(assolutamente non usate altri canali... l'esaurimento è già tanto!):
Per il pagamento l'intestazione è: 
Centro Missionario Onlus Ofmconv Marche - Buona stampa
alle poste: ccp: 3130793
in banca: IBAN: IT22 Y076 0102 6000 0000 3130 793
CIN: Y ABI: 07601 CAB: 02600 N° Conto: 000003130793
oppure con Postepay N° 4023600644387302 intestata a Roberto Brunelli
I libri vi arriveranno tramite corriere espresso SDA entro il 18 Dicembre.
Spargete la voce a tutti i Chestertoniani di vostra conoscenza!!

La Segreteria Volante

Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo

"La verità è che per l'uomo moderatamente povero la casa è l'unico luogo libero. Anzi, è l'unico luogo anarchico. È l'unico ritaglio di terra dove un uomo può cambiare gli accordi all'improvviso, fare esperimenti e concedersi dei capricci. In qualunque altro luogo egli vada deve accettare le regole del negozio, dell'albergo, del club, del museo in cui gli capita di entrare. A casa sua può mangiare sul pavimento, se vuole. Io lo faccio spesso, mi dà la sensazione simpatica, infantile e poetica del picnic. Sarebbe assolutamente problematico se provassi a farlo in una sala da the. In casa sua un uomo può indossare vestaglia e pantofole, ma sono sicuro che questo non sarebbe permesso al Savoy, anche se fino a ora non ci ho provato".

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

La perdita dell’umorismo cristiano - di Fabio Trevisan (da Riscossa Cristiana)

"Quando vengono i giorni bui, io e te, i puri folli, i cultori dell'umorismo, diventiamo indispensabili".

zzzzil-napoleone-di-notting-hilNel suo primo romanzo: "Il Napoleone di Notting Hill" del 1904, il cui vero titolo sarebbe stato, e come ho tradotto nel mio adattamento teatrale: "Il pazzo e il re", Gilbert Keith Chesterton immaginava di far governare l'Inghilterra da un Re umorista, Auberon Quin, che incontrava e favoriva la causa di un giovane e fervente patriota, Adam Wayne (il Napoleone di Notting Hill). Questi due elementi, l'umorismo e il patriottismo, condensati nelle due figure eroiche del romanzo, rappresentavano per il trentenne Chesterton gli antidoti indispensabili per proteggersi dal delirio mondano, dall'affanno di sentirsi al passo coi tempi: "E' delle novità che gli uomini si stancano, delle mode e delle proposte e delle migliorie e dei cambiamenti. Sono le vecchie cose a sbalordirci, a inebriarci, perché sono le cose vecchie a esser giovani". 

Queste affermazioni, solo apparentemente paradossali, costituivano in profondità il nucleo del racconto, che voleva essere l'elogio del sano umorismo cristiano e lazzzzlbrfb salvaguardia della ragione e del senso comune (come successivamente sarà maestro anche Giovannino Guareschi, tratteggiato con precisione e competenza da Alessandro Gnocchi). La chiamata alla battaglia per la difesa delle proprie tradizioni e della terra dei padri è mostrata dallo scrittore londinese in esilaranti e incisivi confronti che Adam Wayne, il patriota di Notting Hill, ha con i suoi concittadini. Egli va dai più umili e dai più umani personaggi del romanzo (dal rigattiere al barbiere, dal venditore di giocattoli al droghiere) perché egli sa che il vero patriottismo può germogliare laddove si sono conservate le radici storiche e la memoria delle cose belle. A quell'affascinante custode dell'antichità, a quel nobile rigattiere Wayne pone un'osservazione molto acuta, che ha a che fare strettamente con il nostro presente: "Terribilmente fermo: due semplici parole racchiudono lo spirito di questa nostra epoca, quale l'ho percepito sin dalla culla. Spesso mi sono domandato quante fossero le persone che al pari di me avvertivano l'oppressione di questo connubio tra la quiete e il terrore". 

Cosa intendeva  Chesterton con questa suggestiva riflessione? Perché era di estrema rilevanza questa constatazione? Le successive e sbalorditive frasi di Adam Wayne chiarivano il bersaglio polemico: "Nella nostra civiltà moderna la libertà di parola sta a significare, in pratica, che siamo tenuti a parlare di cose irrilevanti". 

E' doveroso quindi chiederci: "Come possiamo noi, al pari di Chesterton, avvertire questo triste connubio tra un'apparente quiete e un concreto terrore? Perché nei giornali, nelle televisioni, in internet, ecc. si ravvisa questa mancanza di coraggio, questo continuo parlare di cose irrilevanti e inutili? Perché tutto è così terribilmente fermo?". Chesterton faceva entrare in azione i cultori dell'umorismo e del patriottismo per frenare questa insipiente deriva umana, che portava all'oblio di Dio e della legge naturale: "Bisogna che qualcuno sopravvenga a infrangere questa curiosa indifferenza, questo strano egoismo, questa strana solitudine che investe milioni di individui". Ecco così il pazzo e il re: ""Quando vengono i giorni bui, io e te, i puri folli, i cultori dell'umorismo, diventiamo indispensabili".

Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo

"Lo scopo complessivo del matrimonio è combattere e sopravvivere fino al momento in cui l'incompatibilità è fuori discussione. Perché uomo e donna, in quanto tali, sono incompatibili".

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo

"Quando rinunciamo (in modo netto) a sventolare la bandiera rossa e a far fuoco in mezzo alle barricate come, invece, facevano i nostri nonni, lo stiamo davvero facendo per rispetto ai sociologi – o ai soldati? Abbiamo davvero superato il guerriero e abbiamo sorpassato il santo asceta? Temo che abbiamo superato il guerriero solo nel senso che probabilmente scapperemmo via di fronte a lui. E se abbiamo sorpassato il santo, temo che l'abbiamo fatto senza inchinarci".

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo

"L'esito dell'atteggiamento moderno è dunque questo: che gli uomini inventano nuovi ideali perché non osano cimentarsi con i vecchi ideali".

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo

"Finché non ci sarà una dottrina sull'uomo divino, tutti gli abusi saranno concessi, dal momento che l'evoluzione li potrà tramutare in usi."

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

lunedì 16 novembre 2015

Un aforisma al giorno (arguto e simpatico)

G.K. Chesterton (@GKCDaily)
Just as real religion concerns everyone born with a heart, so real philosophy concerns everyone born with a head.




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Un aforisma al giorno - da Cosa c'è di sbagliato nel mondo

"Versare a piene mani questa solida semplicità dentro la vita è l'unico vero scopo dell'educazione; e più la donna sta stretta al suo bambino – lei capisce. Dire cosa lei capisca è al di là di me; solo questo intuisco, che non è una cosa solenne. Si tratta piuttosto di un'imponente leggerezza, uno strepitoso dilettantismo universale, come quella che sentivamo da piccoli, quando ci piaceva cantare tanto quanto lavorare in giardino, dipingere tanto quanto correre. Balbettare le lingue degli uomini e degli angeli, dilettarsi di scienze spaventose, giocherellare con colonne e piramidi e lanciare per aria pianeti come fossero palline, questa è la recondita audacia e incoscienza che l'anima umana, come il giocoliere che lancia le arance, deve conservare per sempre. Questa è l'insana frivolezza che chiamo sanità. E l'elegante nobildonna, che si chinava con i suoi boccoli sugli acquerelli, lo sapeva e faceva di conseguenza. Si destreggiava tra i fuochi e le fiamme del sole. Manteneva il netto equilibrio degli umili che è la più misteriosa tra le cose sublimi, e forse la più irraggiungibile. Affermava la prima verità della donna, della madre universale: tutto ciò che vale la pena fare, vale davvero la pena farlo alla meno peggio".

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo


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Un aforisma al giorno

"Il signor Belloc una volta disse che non si sarebbe separato dall'idea di proprietà tanto quanto non avrebbe rinunciato ai suoi denti, invece per il signor Bernard Shaw la proprietà non è tanto un dente, quanto un mal di denti".

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo


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Un aforisma al giorno (è la nostra strenna natalizia!)

«Questa è la gigantesca eresia moderna: modificare l'anima umana per adattarla alle condizioni, invece di modificare le condizioni per adattarle all'anima umana»

Gilbert Keith Chesterton, Cosa c'è di sbagliato nel mondo

Presto tornerà la Distributist Review!

Dopo un paio d'anni di silenzio, tornerà on line molto presto (attorno al 23 Novembre 2015) la Distributist Review, rivista on line internazionale di distributismo.

Ci saranno anche dei contributi in lingua italiana, ma lasciamo un po' di suspence…

Quindi molto presto ritroverete il buon sostegno della rivista del distributismo.

domenica 15 novembre 2015

Un primo spunto di riflessione sul libro su Frances Blogg Chesterton

Sto leggendo il libro ed è molto bello e documentato.

Ma la prima cosa su cui vi suggerisco di riflettere è il titolo, che in italiano suona: La donna che fu Chesterton.

In fondo è verissimo. Frances accettò di "essere Chesterton" cioè, da vera moglie sana, accetto di aiutare e sostenere, di contribuire a mantenere la propria identità a quest'uomo così prezioso per noi e per il mondo intero. È questo il motivo per cui dovremmo ringraziare Frances.

sabato 14 novembre 2015

Il discorso di Papa Benedetto XVI a Regensburg (Ratisbona) - In questo momento di grande sofferenza una parola di luce dal Magistero

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI 
A MÜNCHEN, ALTÖTTING E REGENSBURG 
(9-14 SETTEMBRE 2006)

INCONTRO CON I RAPPRESENTANTI DELLA SCIENZA 
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Aula Magna dell'Università di Regensburg
Martedì, 12 settembre 2006

Fede, ragione e università.
Ricordi e riflessioni.

Eminenze, Magnificenze, Eccellenze,
Illustri Signori, gentili Signore!

È per me un momento emozionante trovarmi ancora una volta nell'università e una volta ancora poter tenere una lezione. I miei pensieri, contemporaneamente, ritornano a quegli anni in cui, dopo un bel periodo presso l'Istituto superiore di Freising, iniziai la mia attività di insegnante accademico all'università di Bonn. Era – nel 1959 – ancora il tempo della vecchia università dei professori ordinari. Per le singole cattedre non esistevano né assistenti né dattilografi, ma in compenso c'era un contatto molto diretto con gli studenti e soprattutto anche tra i professori. Ci si incontrava prima e dopo la lezione nelle stanze dei docenti. I contatti con gli storici, i filosofi, i filologi e naturalmente anche tra le due facoltà teologiche erano molto stretti. Una volta in ogni semestre c'era un cosiddetto dies academicus, in cui professori di tutte le facoltà si presentavano davanti agli studenti dell'intera università, rendendo così possibile un'esperienza di universitas – una cosa a cui anche Lei, Magnifico Rettore, ha accennato poco fa – l'esperienza,cioè del fatto che noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell'unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione – questo fatto diventava esperienza viva. L'università, senza dubbio, era fiera anche delle sue due facoltà teologiche. Era chiaro che anch'esse, interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del "tutto" dell'universitas scientiarum, anche se non tutti potevano condividere la fede, per la cui correlazione con la ragione comune si impegnano i teologi. Questa coesione interiore nel cosmo della ragione non venne disturbata neanche quando una volta trapelò la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c'era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio. Che anche di fronte ad uno scetticismo così radicale resti necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione e ciò debba essere fatto nel contesto della tradizione della fede cristiana: questo, nell'insieme dell'università, era una convinzione indiscussa.
Tutto ciò mi tornò in mente, quando recentemente lessi la parte edita dal professore Theodore Khoury (Münster) del dialogo che il dotto imperatore bizantino Manuele II Paleologo, forse durante i quartieri d'inverno del 1391 presso Ankara, ebbe con un persiano colto su cristianesimo e islam e sulla verità di ambedue.[1] Fu poi presumibilmente l'imperatore stesso ad annotare, durante l'assedio di Costantinopoli tra il 1394 e il 1402, questo dialogo; si spiega così perché i suoi ragionamenti siano riportati in modo molto più dettagliato che non quelli del suo interlocutore persiano.[2] Il dialogo si estende su tutto l'ambito delle strutture della fede contenute nella Bibbia e nel Corano e si sofferma soprattutto sull'immagine di Dio e dell'uomo, ma necessariamente anche sempre di nuovo sulla relazione tra le – come si diceva – tre "Leggi" o tre "ordini di vita": Antico Testamento – Nuovo Testamento – Corano.  Di ciò non intendo parlare ora in questa lezione; vorrei toccare solo un argomento – piuttosto marginale nella struttura dell'intero dialogo – che, nel contesto del tema "fede e ragione", mi ha affascinato e che mi servirà come punto di partenza per le mie riflessioni su questo tema.
Nel settimo colloquio (διάλεξις – controversia) edito dal prof. Khoury, l'imperatore tocca il tema della jihād, della guerra santa. Sicuramente l'imperatore sapeva che nella sura 2, 256 si legge: "Nessuna costrizione nelle cose di fede". È probabilmente una delle sure del periodo iniziale, dice una parte degli esperti, in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato. Ma, naturalmente, l'imperatore conosceva anche le disposizioni, sviluppate successivamente e fissate nel Corano, circa la guerra santa. Senza soffermarsi sui particolari, come la differenza di trattamento tra coloro che possiedono il "Libro" e gli "increduli", egli, in modo sorprendentemente brusco, brusco al punto da essere per noi inaccettabile, si rivolge al suo interlocutore semplicemente con la domanda centrale sul rapporto tra religione e violenza in genere, dicendo: "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava".[3] L'imperatore, dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω", è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…"[4]
L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio.[5] L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza.[6] In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.[7]
A questo puntosi apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto. La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso? Io penso che in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia. Modificando il primo versetto del Libro della Genesi, il primo versetto dell'intera Sacra Scrittura, Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: "In principio era il λόγος". È questa proprio la stessa parola che usa l'imperatore: Dio agisce „σὺν λόγω", con logosLogos significa insieme ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione. Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi. In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l'evangelista. L'incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso. La visione di san Paolo, davanti al quale si erano chiuse le vie dell'Asia e che, in sogno, vide un Macedone e sentì la sua supplica: "Passa in Macedonia e aiutaci!" (cfr At 16,6-10) – questa visione può essere interpretata come una "condensazione" della necessità intrinseca di un avvicinamento tra la fede biblica e l'interrogarsi greco.
In realtà, questo avvicinamento ormai era avviato da molto tempo. Già il nome misterioso di Dio dal roveto ardente, che distacca questo Dio dall'insieme delle divinità con molteplici nomi affermando soltanto il suo "Io sono", il suo essere, è, nei confronti del mito, una contestazione con la quale sta in intima analogia il tentativo di Socrate di vincere e superare il mito stesso.[8] Il processo iniziato presso il roveto raggiunge, all'interno dell'Antico Testamento, una nuova maturità durante l'esilio, dove il Dio d'Israele, ora privo della Terra e del culto, si annuncia come il Dio del cielo e della terra, presentandosi con una semplice formula che prolunga la parola del roveto: "Io sono". Con questa nuova conoscenza di Dio va di pari passo una specie di illuminismo, che si esprime in modo drastico nella derisione delle divinità che sarebbero soltanto opera delle mani dell'uomo (cfr Sal 115). Così, nonostante tutta la durezza del disaccordo con i sovrani ellenistici, che volevano ottenere con la forza l'adeguamento allo stile di vita greco e al loro culto idolatrico, la fede biblica, durante l'epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco, fino ad un contatto vicendevole che si è poi realizzato specialmente nella tarda letteratura sapienziale. Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell'Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la "Settanta" –, è più di una semplice (da valutare forse in modo addirittura poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a se stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo.[9] Nel profondo, vi si tratta dell'incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Partendo veramente dall'intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire "con il logos" è contrario alla natura di Dio.
Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 –certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l'amore, come dice Paolo, "sorpassa" la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Ef 3,19), tuttavia esso rimane l'amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo „λογικη λατρεία" – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1).[10]
Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l'interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell'Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa. Possiamo esprimerlo anche inversamente: questo incontro, al quale si aggiunge successivamente ancora il patrimonio di Roma, ha creato l'Europa e rimane il fondamento di ciò che, con ragione, si può chiamare Europa.
Alla tesi che il patrimonio greco, criticamente  purificato, sia una parte integrante della fede cristiana, si oppone la richiesta della deellenizzazione del cristianesimo – una richiesta che dall'inizio dell'età moderna domina in modo crescente la ricerca teologica. Visto più da vicino, si possono osservare tre onde nel programma della deellenizzazione: pur collegate tra di loro, esse tuttavia nelle loro motivazioni e nei loro obiettivi sono chiaramente distinte l'una dall'altra.[11]
La deellenizzazione emerge dapprima in connessione con i postulati della Riforma del XVI secolo. Considerando la tradizione delle scuole teologiche, i riformatori si vedevano di fronte ad una sistematizzazione della fede condizionata totalmente dalla filosofia, di fronte cioè ad una determinazione della fede dall'esterno in forza di un modo di pensare che non derivava da essa. Così la fede non appariva più come vivente parola storica, ma come elemento inserito nella struttura di un sistema filosofico. Il sola Scriptura invece cerca la pura forma primordiale della fede, come essa è presente originariamente nella Parola biblica. La metafisica appare come un presupposto derivante da altra fonte, da cui occorre liberare la fede per farla tornare ad essere totalmente se stessa. Con la sua affermazione di aver dovuto accantonare il pensare per far spazio alla fede, Kant ha agito in base a questo programma con una radicalità imprevedibile per i riformatori. Con ciò egli ha ancorato la fede esclusivamente alla ragione pratica, negandole l'accesso al tutto della realtà.
La teologia liberale del XIX e del XX secolo apportò una seconda onda nel programma della deellenizzazione: di essa rappresentante eminente è Adolf von Harnack. Durante il tempo dei miei studi, come nei primi anni della mia attività accademica, questo programma era fortemente operante anche nella teologia cattolica. Come punto di partenza era utilizzata la distinzione di Pascal tra il Dio dei filosofi ed il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Nella mia prolusione a Bonn, nel 1959, ho cercato di affrontare questo argomento[12] e non intendo riprendere qui tutto il discorso. Vorrei però tentare di mettere in luce almeno brevemente la novità che caratterizzava questa seconda onda di deellenizzazione rispetto alla prima. Come pensiero centrale appare, in Harnack, il ritorno al semplice uomo Gesù e al suo messaggio semplice, che verrebbe prima di tutte le teologizzazioni e, appunto, anche prima delle ellenizzazioni: sarebbe questo messaggio semplice che costituirebbe il vero culmine dello sviluppo religioso dell'umanità. Gesù avrebbe dato un addio al culto in favore della morale. In definitiva, Egli viene rappresentato come padre di un messaggio morale umanitario. Lo scopo di Harnack è in fondo di riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio. In questo senso, l'esegesi storico-critica del Nuovo Testamento, nella sua visione, sistema nuovamente la teologia nel cosmo dell'università: teologia, per Harnack, è qualcosa di essenzialmente storico e quindi di strettamente scientifico. Ciò che essa indaga su Gesù mediante la critica è, per così dire, espressione della ragione pratica e di conseguenza anche sostenibile nell'insieme dell'università. Nel sottofondo c'è l'autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico nelle "critiche" di Kant, nel frattempo però ulteriormente radicalizzata dal pensiero delle scienze naturali. Questo concetto moderno della ragione si basa, per dirla in breve, su una sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato. Da una parte si presuppone la struttura matematica della materia, la sua per così dire razionalità intrinseca, che rende possibile comprenderla ed usarla nella sua efficacia operativa: questo presupposto di fondo è, per così dire, l'elemento platonico nel concetto moderno della natura. Dall'altra parte, si tratta della utilizzabilità funzionale della natura per i nostri scopi, dove solo la possibilità di controllare verità o falsità mediante l'esperimento fornisce la certezza decisiva. Il peso tra i due poli può, a seconda delle circostanze, stare più dall'una o più dall'altra parte. Un pensatore così strettamente positivista come J. Monod si è dichiarato convinto platonico.
Questo comporta due orientamenti fondamentali decisivi per la nostra questione. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione.
Tornerò ancora su questo argomento. Per il momento basta tener presente che, in un tentativo alla luce di questa prospettiva di conservare alla teologia il carattere di disciplina "scientifica", del cristianesimo resterebbe solo un misero frammento. Ma dobbiamo dire di più: se la scienza nel suo insieme è soltanto questo, allora è l'uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del "da dove" e del "verso dove", gli interrogativi della religione e dell'ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla "scienza" intesa in questo modo e devono essere spostati nell'ambito del soggettivo. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente.
 Prima di giungere alle conclusioni alle quali mira tutto questo ragionamento, devo accennare ancora brevemente alla terza onda della deellenizzazione che si diffonde attualmente. In considerazione dell'incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l'ellenismo, compiutasi nella Chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento ed inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, e stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell'Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.
Con ciò giungo alla conclusione. Questo tentativo, fatto solo a grandi linee, di critica della ragione moderna dal suo interno, non include assolutamente l'opinione che ora si debba ritornare indietro, a prima dell'illuminismo, rigettando le convinzioni dell'età moderna. Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido viene riconosciuto senza riserve: tutti siamo grati per le grandiose possibilità che esso ha aperto all'uomo e per i progressi nel campo umano che ci sono stati donati. L'ethos della scientificità, del resto, è – Lei l'ha accennato, Magnifico Rettore – volontà di obbedienza alla verità e quindi espressione di un atteggiamento che fa parte delle decisioni essenziali dello spirito cristiano. Non ritiro, non critica negativa è dunque l'intenzione; si tratta invece di un allargamento del nostro concetto di ragione e dell'uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza. In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze.
Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l'opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall'universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell'ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture. E tuttavia, la moderna ragione propria delle scienze naturali, con l'intrinseco suo elemento platonico, porta in sé, come ho cercato di dimostrare, un interrogativo che la trascende insieme con le sue possibilità metodiche. Essa stessa deve semplicemente accettare la struttura razionale della materia e la corrispondenza tra il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura come un dato di fatto, sul quale si basa il suo percorso metodico. Ma la domanda sul perché di questo dato di fatto esiste e deve essere affidata dalle scienze naturali ad altri livelli e modi del pensare – alla filosofia e alla teologia. Per la filosofia e, in modo diverso, per la teologia, l'ascoltare le grandi esperienze e convinzioni delle tradizioni religiose dell'umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituisce una fonte di conoscenza; rifiutarsi ad essa significherebbe una riduzione inaccettabile del nostro ascoltare e rispondere. Qui mi viene in mente una parola di Socrate a Fedone. Nei colloqui precedenti si erano toccate molte opinioni filosofiche sbagliate, e allora Socrate dice: "Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell'irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull'essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell'essere e subirebbe un grande danno".[13] L'occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all'ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente. "Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio", ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all'interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell'università.

 


[1] Dei complessivamente 26 colloqui (διάλεξις– Khoury traduce: controversia) del dialogo („Entretien"), Th. Khoury ha pubblicato la 7 ma „controversia" con delle note e un'ampia introduzione sull'origine del testo, sulla tradizione manoscritta e sulla struttura del dialogo, insieme con brevi riassunti delle „controversie" non edite; al testo greco è unita una traduzione francese: Manuel II Paléologue, Entretiens avec un Musulman. 7 e Controverse. Sources chrétiennes n. 115, Parigi 1966. Nel frattempo, Karl Förstel ha pubblicato nel Corpus Islamico-Christianum (Series Graeca. Redazione A. Th. Khoury – R. Glei) un'edizione commentata greco-tedesca del testo: Manuel II. Palaiologus, Dialoge mit einem Muslim, 3 volumi, Würzburg – Altenberge 1993 – 1996. Già nel 1966, E. Trapp aveva pubblicato il testo greco con una introduzione come vol. II dei „Wiener byzantinische Studien". Citerò in seguito secondo Khoury.
[2] Sull'origine e sulla redazione del dialogo cfr Khoury pp. 22-29; ampi commenti a questo riguardo anche nelle edizioni di Förstel e Trapp.  
[3] Controversia VII 2c: Khoury, pp. 142-143; Förstel, vol. I, VII. Dialog 1.5, pp. 240-241. Questa citazione, nel mondo musulmano, è stata presa purtroppo come espressione  della mia posizione personale, suscitando così una comprensibile indignazione. Spero che il lettore del mio testo possa capire immediatamente che questa frase non esprime la mia valutazione personale di fronte al Corano, verso il quale ho il rispetto che è dovuto al libro sacro di una grande religione. Citando il testo dell'imperatore Manuele II intendevo unicamente evidenziare il rapporto essenziale tra fede e ragione. In questo punto sono d'accordo con Manuele II, senza però far mia la sua polemica.  
[4] Controversia VII 3b – c: Khoury, pp. 144-145; Förstel Bd. I, VII. Dialog 1.6  pp. 240-243.
[5] Solamente per questa affermazione ho citato il dialogo tra Manuele e il suo interlocutore persiano. È in quest'affermazione che emerge il tema delle mie successive riflessioni.  
[6]Cfr Khoury, op. cit.,  p. 144, nota 1.
[7]R. Arnaldez, Grammaire et théologie chez Ibn Hazm de Cordoue. Parigi 1956 p. 13; cfr Khoury p. 144. Il fatto che nella teologia del tardo Medioevo esistano posizioni paragonabili apparirà nell'ulteriore sviluppo del mio discorso.
[8] Per l'interpretazione ampiamente discussa dell'episodio del roveto ardente vorrei rimandare al mio libro "Einführung in das Christentum" (Monaco 1968), pp. 84-102. Penso che le mie affermazioni in quel libro, nonostante l'ulteriore sviluppo della discussione, restino tuttora valide. 
[9]Cfr. A. Schenker, L'Écriture sainte subsiste en plusieurs formes canoniques simultanées, in: L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa. Atti del Simposio promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Città del Vaticano 2001, p. 178-186.
[10] Su questo argomento mi sono espresso più dettagliatamente nel mio libro "Der Geist der Liturgie. Eine Einführung", Friburgo 2000, pp. 38-42.
[11] Della vasta letteratura sul tema della deellenizzazione vorrei menzionare innanzitutto: A Grillmeier, Hellenisierung – Judaisierung des Christentums als Deuteprinzipien der Geschichte des kirchlichen Dogmas, in: Id., Mit ihm und in ihm. Christologische Forschungen und Perspektiven. Freiburg 1975 pp. 423-488.
[12] Nuovamente pubblicata e commentata da Heino Sonnemanns: Joseph Ratzinger – Benedikt XVI., Der Gott des Glaubens und der Gott der Philosophen. Ein Beitrag zum Problem der theologia naturalis. Johannes-Verlag Leutesdorf, 2. ergänzte Auflage 2005.
[13] 90 c-d. Per questo testo cfr anche R. Guardini, Der Tod des Sokrates. Mainz-Paderborn 1987 5, pp. 218-221.

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