"Il Cristo del Vangelo esprime realmente, in parole di una bellezza che spezza il cuore, la sua pietà per i nostri cuori spezzati".
In quel poderoso saggio del 1925: "L'uomo eterno", Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) riprendeva nella seconda parte, intitolata L'uomo chiamato Cristo, gli enigmi del Vangelo visti da un "pagano immaginario" alle prese per la prima volta con la lettura del Vangelo. Chesterton intendeva così confutare, da brillante apologeta qual era, le bizzarre tesi razionaliste, operando quel genere di cui era maestro: la reductio ad absurdum. Il che significava dimostrare che le tesi razionaliste erano irrazionali, ridicole e insostenibili.
Egli intendeva far rilevare che dinanzi a quell'ipotetico "lettore immaginario", ovvero ad una lettura imparziale, l'esito sarebbe stato quello… di condurlo alla fede! La questione sollevata da Chesterton è ancor più adesso di stretta attualità, in quanto spesso la verità è stata capovolta: "Abbiamo sentito dire più volte che il Gesù del Nuovo Testamento ha in realtà un più pietoso e umano amore dell'umanità, ma che la Chiesa ha nascosto questo suo carattere umano in dogmi repellenti e circondato di ecclesiastici terrori finché ne è venuto fuori un carattere inumano". Ancora oggi le tesi del grande scrittore londinese ci possono aiutare, nel momento in cui si abusa spesso del "Gesù misericordioso", contrapponendolo al presunto "Gesù della Chiesa gerarchica", che lo vorrebbe imbalsamato e reso inerme in dottrine, dogmi e precetti vari.
Pur partendo dal fatto oggettivo che l'immagine di Cristo nelle chiese, come sottolineava Chesterton, è quasi interamente mite e caritatevole, l'immagine di Cristo nei Vangeli era anche questo, ma molte altre cose ancora: "C'è qualche cosa di pauroso, qualche cosa che agghiaccia il sangue nelle vene, nell'idea di una statua di Cristo irato…uno che prendesse le parole per quello che valgono si formerebbe un'altra impressione, piena di mistero, ma certo non soltanto un'impressione di dolcezza". Sia ben chiaro che Chesterton non avversava la rappresentazione popolare che corrispondeva ad una perfetta e sana tradizione, in cui l'immaginazione spingeva fino all'eccesso il sentimento del "Buon Gesù, mite e dolce". La Chiesa stessa, quella vituperata Chiesa autoritaria e gerarchica, in realtà preservava il culto popolare e devozionale del "Gesù misericordioso".
La contrapposizione quindi tra i fautori di un "Gesù misericordioso dei Vangeli" e di un "Gesù pietrificato dalla Chiesa gerarchica" è fuorviante ed erronea: "Cristo piangeva di pietà e di amore sopra Gerusalemme che doveva trucidarlo. Noi non sappiamo quale strana atmosfera lo condusse a sprofondare Betsaida nell'abisso, più giù di Sodoma". Chesterton ammoniva che non si poteva leggere il Nuovo Testamento senza alcun riferimento all'ortodossia e alla dottrina ed invitava a "leggere" la Persona umana e divina di Cristo nella sua completezza, nella sua misericordia assieme alla sua inflessibilità a denunciare il peccato: "C'è il Pietro al quale Cristo diceva perdonando: "Pasci i miei agnelli" e c'è il Pietro a cui Cristo si volge, come fosse il diavolo in persona, gridando nell'oscura collera:"Allontanati da me, Satana". Non si trattava di stare da una parte o dall'altra, ma di stare, permanere nella Verità di Cristo senza false contrapposizioni: "Se c'è un aspetto in cui si può dire che Gesù appare soprattutto una persona pratica, è quando si presenta in veste di esorcista. Qui nulla è mite e dolce nel tono della voce che grida: "Taci ed esci fuori da lui".
A nulla serve separare la dolcezza dall'autorità, la bontà dalla verità, la misericordia dall'intransigenza al peccato. Questo anche in virtù dell'approssimarsi del Sinodo sulla famiglia e sulle preoccupanti derive che potrebbero dilagare.
Serva da monito quest'ultima frase chestertoniana: "Non possiamo pretendere di abbandonare la morale del passato per un'altra più adatta al presente. La verità è che non è la morale di un'altra epoca, ma piuttosto di un altro mondo". Ed aggiungeva, onde evitare pericolosi fraintendimenti: "Cristo, a proposito del matrimonio, non si riferisce alle condizioni e agli usi della Palestina del primo secolo…Ebrei e romani e greci non credevano che l'uomo e la donna potessero misticamente diventare una sola sostanza sacramentale. E' assolutamente falso che le idee di Gesù fossero conformi al suo tempo. Quanto fossero conformi al suo tempo si può forse capirlo dal modo in cui la storia finì".
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