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giovedì 15 maggio 2014

Di ritorno da Beaconsfield - 3

Cari Amici Chestertoniani, Dear Chestertonian Friends,

ci siamo lasciati fuori del White Hart, dopo cena, ed al risveglio di sabato 29 Marzo siamo pronti per una giornata davvero campale.

Ci svegliamo presto, padre Spencer ed io. Rimetto insieme i pezzi del mio intervento. Sì, perché Martin Thompson, il presidente di Chesterton in the Chilterns, il circolo chestertoniano delle colline tra Oxford e Beaconsfield, ha avuto la brillante idea di invitarmi per parlare di cosa succede in Italia tra noi e Chesterton, come vanno le cose, ed anche cosa pensiamo della sua “santità”.
Non sono solo io a parlare, ovviamente: ci saranno il caro Dale Ahlquist, Martine figlia di Martin, Tessa Caldecott al posto di suo padre Stratford, nostro grande amico che mi aspetta il giorno dopo ad Oxford, Dermot Quinn del G. K. Chesterton Institute for Faith and Culture, altro amico per noi italiani, e padre Spencer che ormai è uno di noi. Ci prepariamo, chiamiamo Dale ed andiamo a fare colazione prima di avviarci nella sala della parrocchia di Santa Teresa del Bambin Gesù. 
Percorrere le strade di Beaconsfield mi fa un certo effetto, come in molte altre situazioni simili. Cammino e vedo le cose che vide Gilbert, incontro gente come la poteva incontrare lui. Credo che questo sia un buon esercizio. 
Attraversiamo il paese e un giardinetto dietro la parrocchia: ci sono delle panchine in ferro e troviamo una sagoma che riproduce la famosa foto di Gilbert e della bambina che gli stende un dente-di-leone. Un bel benvenuto se ci si reca a parlare del grande zio Gilbert: vuol dire che il suo paese, che egli tanto amò, non lo ha dimenticato. Lui diceva: Londra è un sobborgo di Beaconsfield (dai, simpatico! Un bel modo di dimostrare che si vuol bene ad un posto!). Peccato che Beaconsfield oggi faccia circa dodicimila abitanti, all’epoca molti meno...
Ebbene, vicino alla panchina c’è un giovane che ci saluta: parla inglese con un accento un po’ castigliano e ci chiede se sappiamo dov’è la Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù. Io con sprezzo del pericolo nell’uso della lingua gli dico: follow us! We’re going just there! Ci guarda un po’ perplesso, gli spiego che andiamo là perché siamo quelli che devono parlare. Fa una faccia molto soddisfatta, gli dico che è capitato nel posto giusto (chi mi conosce sa che è una citazione dal film Braveheart, quando Steven l’irlandese viene preso per matto da Hamish e lui, per l’appunto, dice: allora sono capitato nel posto giusto…). Ecco. Gli chiedo da dove venga, mi spiega che viene dal Messico e che da qualche mese è in Inghilterra con la moglie che deve completare i suoi studi universitari. Mi presento dicendo che sono il presidente della Società Chestertoniana Italiana, che Dale è il mio collega americano e che Spencer è un prete americano chestertonianissimo. Juan Pablo, mi dice, io gli rispondo con rinnovato sprezzo del pericolo linguistico: viva Cristo Rey! La cosa gli piace, è proprio capitato nel posto giusto! Arriviamo alla sala e (per confermare che eravamo appunto capitati nel posto giusto) Martin e Francis ci accolgono ciascuno con un bel cappello assurdo in testa, per prendere in giro Dale e il sottoscritto che ne eravamo provvisti già dalla sera precedente. Ci facciamo una grassa risata tutti insieme mentre scaldiamo i motori prima della conference
Comincia ad arrivare gente, le prime presentazioni e l’incontro con vecchie conoscenze: Dermot, poi Martine che era venuta alcuni anni fa al nostro Chesterton Day come spettatrice, Tessa Caldecott, padre Francis parroco di Santa Teresa, il canonico John Udris che è stato incaricato da mons. Doyle di studiare l’ipotesi della causa di beatificazione di Chesterton, mons. Doyle in persona ed in ultimo William Oddie, il presidente della Società Chestertoniana Inglese, editorialista del Catholic Herald, che per altezza, mole e andazzo generale somiglia abbastanza al nostro Gilbert.
Apriamo con il saluto del padrone di casa, padre Francis, e Martin, che sarà il chairman della giornata, dà subito fuoco alle polveri chiamando al tavolo Dale. I motori si surriscaldano immediatamente perché il suo intervento mette tutti in allegria. Dale è simpaticissimo e brillantissimo, inutile dirlo. Quindi tocca a Spencer, di poi alla graziosa Martine e quindi a me. Perché sorvolo sul contenuto degli interventi dei miei amici? Non per spocchia o per disinteresse, anzi; è che la mia comprensione dell’inglese è andata scemando via via che si avvicinava il mio turno per toccare indi il fondo al termine dell’intervento di Martine Thompson, per cui ricordo solo la vaga sensazione che essi suscitavano in me, sempre positiva. Tutto ciò perché ho l’ansia! 
Marco Sermarini durante la performance dello szùù...
Mi ero preparato come potevo, cioè come faccio sempre: tempo prima cerco di scrivere delle cose da bravo ragazzo, mi sembra che non funzionino minimamente, ci rimetto le mani nel pochissimo tempo libero che ho, non finisco mai l’intervento perché - mi dico - “quando andrò là avrò tempo sull’aereo, in albergo, eccetera…”. Per fortuna avevo con me superSpencer, che è diventato davvero il mio supereroe e che ha fatto salire vertiginosamente la mia stima verso gli americani. 
Sull’aereo avevamo preparato quello che mancava e pure ipotizzato qualche piccola performance di carattere cabarettistico: mentre aggiungevamo cose che avrei dovuto dire, correggevamo l’inglese, addrizzavamo il tutto, me ne esco con qualcosa in italiano (forse "Società Chestertoniana Italiana"). Allora Spencer mi fa (col suo spettacolare accento del Minnesota): aspeta, non dire questo in inglese, dillo in italiano… Io faccio: sei sicuro? Perché? E lui: mmh… la gente quando viene a la conference (così, alla lettera, ndr) è come se va a zoo (nota bene: non allo "zzzzooo", con quattro zeta davanti e una doppia o tripla "o" quasi cantata, come diremmo noi, ma: "a szùù!", più ululato...): vuole sentire le voci deli animali! Al che faccio: ma qui l’animale sono io! E lui: certo! Faccio: vabbè… Dico tra me: non solo in inglese ma devo fare pure lo szùù! Però la cosa mi attizza... 
Memore di tutto ciò raggiungo il piccolo “pulpito” con il microfono davanti e mi ritrovo una platea anglofona che aspetta lo szùù italiano e la salivazione mi si azzera automaticamente. Sempre con sprezzo del pericolo (anche se Dale mi confiderà che questo gesto di parlare in inglese è stato molto apprezzato dal pubblico) ringrazio Martin per l’invito precisando che non sa cosa ha fatto, e lì - come nelle migliori sitcom anglofone - non ci crederete, scatta la risata! E’ vero, allora, volevano lo zoo e l’avranno, dico tra me! Mi sciolgo e comincio il mio intervento dicendo che sono davvero contento di stare lì e di portare la voce dei chestertoniani nella bella armoniosa musicale lingua di Dante Alighieri (il corsivo è in italiano anche nel discorso: è una citazione dell'altro mio amico del cuore, Pier Giorgio Frassati). Spiego la gag dello zoo (anzi dello szùù) e loro vanno fuori di testa. Spencer vede che mi lancio (ah, dimenticavo: avevo detto a Spencer che se non fosse stato in prima fila ad assistermi come un medico del 118 per tutta la durata del mio intervento non avrei spiccicato una parola) ma ha la stessa faccia di uno che ha acceso un trattore e non ne ha precisamente il controllo. In effetti lo capisco, povero ragazzo: questo imprevisto che aveva inserito nel programma (dire ad un italiano, precisamente a me che avrei bisogno di freni e non di stimoli, di inserire gratuitamente dei versi italici, nel senso di versi animali, nel contesto di un discorso in inglese ha un effetto dirompente, perché lo sprezzo del pericolo di parlare inglese in me già c’era, tu americano mi dici pure di fare lo spiritoso, c’è oggettivamente il rischio che la faccenda si concluda come minimo con qualche incidente diplomatico) secondo me non lo aveva calcolato bene. 
Dopo la risata e il senso di compiaciuto stupore del pubblico inglese di fronte alla lingua di Dante, specifico che quello che avevano appena sentito era il verso dell’elefante, e lì viene giù la sala. Proseguo e spiego, illustro chi siamo, cosa facciamo, quanto siamo grati a Gilbert and so on, racconto della nostra attività, dei Chesterton Day, della nostra amicizia con la Chesterton Academy e la Società Americana, il Chesterton Institute, con Stratford Caldecott, con John Kanu e con i monaci di Norcia, chestertoniani e distributisti, racconto dei tentativi distributisti messi in opera e per coronare il tutto racconto anzi leggo il messaggio che mi aveva mandato su Whats’app la mia amica Daniela il giorno prima e cioè che lei aveva accompagnato tutta la gravidanza di sua figlia Elena pregando Chesterton e che lui le aveva fatto compagnia.
La cosa piace, devo dire che è piaciuta anche a me che non la sapevo: ma questo è un po’ il carisma di Gilbert, quello di essere un buon amico, di creare amicizie, di fare buona e discreta compagnia ai suoi amici, è questo il senso di tutto. Aggiungo qualcosa che adesso non ricordo minimamente e tutti mi applaudono. Io sono molto contento di aver finito la mia sudata e che tutto sommato forse mi hanno capito, anche perché grazie a Dio è ora di mangiare e gli hobbit avevano preparato tante buone cose con tanto amore e tanto impegno.
La moglie di Martin e alcune sue amiche, coordinate tutte da Francis Thompson che somiglia sempre più al sergente dei film inglesi sempre allegro e operativo, avevano fatto il diavolo a quattro e in pochi secondi avevano trasformato la sala dell’incontro in una accogliente sala da pranzo con tutto quello che serve. Conosco un altro figlio di Martin e sua moglie, sono giovanissimi e mi rallegro con loro che siano già sposati. Mi viene a fare i complimenti (soprattutto perché sono italiano, credo!) una anziana ma frizzantissima signora un po’ polacca e un po’ irlandese (che bella miscela!), poi alcuni mi vengono a chiedere delucidazioni su John Kanu, che forse - pur assente - è la vera star della giornata (ho detto poche cose ma si vede che hanno funzionato).
Facciamo pranzo con mons. Doyle, il vescovo diocesano, e padre John Udris, il sacerdote incaricato di accendere una luce sull’ipotesi di beatificare Gilbert. E’ una bella tavolata con Dale, Dermot, Martin, Spencer. Mons. Doyle è una persona simpatica e affabile, sorridente, che ci ascolta e fa domande. Padre Udris è un tipo molto vivace, e nel pomeriggio ci intratterrà con una riflessione sulle virtù di Chesterton e con alcuni accostamenti con i santi che Gilbert amava di più (San Francesco d’Assisi, San Tommaso d’Aquino, San Tommaso Moro ed i Martiri Inglesi…). Sarà poi la volta di Tessa Caldecott, che pronuncerà un bel discorso al posto di suo padre Stratford, molto malato, per il quale ognuno di noi ha molto pregato proprio Gilbert. Anche Dermot Quinn del Chesterton Institute for Faith and Culture pronuncerà un brillantissimo intervento molto applaudito.
Marco Sermarini ed il suo supereroe, padre Spencer Howe
Alla fine ci chiedono anche di rispondere alle domande, per cui tutti si avvicinano al tavolo dei relatori, tranne me che speravo di essere dimenticato (contavo sulla mia italianità e sul senso di pietà dei partecipanti…) e che invece vengo chiamato voce magna da un simpatico astante che aveva passato buona parte della sua vita nell’isola di Malta e che vuole a tutti costi saperne di più dei monaci di Norcia, della loro vita e pure della loro birra. Tutti vengono bersagliati da questa platea vivace ed interessata, scopro che c’è anche un giovane polacco molto amante di Chesterton e del suo distributismo che non mi molla e vuole sapere cosa facciamo noi a proposito. 
Padre John Udris "l'investigatore"
La conference volge al termine: siamo tutti pronti per andare alla Messa che verrà celebrata da padre Spencer nella chiesa parrocchiale. Tra la fine del convegno e la Santa Messa c’è tempo per visitare la chiesa e faccio tante belle scoperte: sapevo della vetrata su San Francesco d’Assisi, in memoria dei Chesterton (ne avevo messa una foto sul blog, e il caro Spencer mi aveva fatto dono del suo ricordino dell’ordinazione che la riproduceva), della statuetta della Madonnina che campeggia in cornu epistulae (Spencer mi ha raccontato la sua storia: ci vuole un post… appost!), c’è la lapide che ricorda che questa chiesa fu costruita “as a memorial to Gilbert Keith Chesterton” con il contributo di tanti suoi estimatori nel mondo, c’è una vetrata all’ingresso che riporta e illustra una sua poesia, ma la scoperta più bella è la cappella dei Martiri Inglesi. E' a sinistra, appena entrati,  non è grandissima ed è strutturata in modo che ricordi una cella della Torre di Londra, dove molti di essi furono prigionieri prima di rendere testimonianza al Vero Re versando per Lui il sangue, con gli anelli appesi al muro per le catene, un bell’altare coram Deo ed un polittico che ritrae alcuni dei primi che furono beatificati, ed ai lati due belle statue di legno policromo di San Tommaso Moro e di San Giovanni Fisher, vestiti come all’epoca. Ho capito quanto fossero importanti per Gilbert, anche perché avrebbe voluto che la parrocchia fosse loro intitolata. In effetti la parrocchia lo fu ma solo in un tempo successivo: la prima intitolazione è a Santa Teresina del Bambin Gesù, ed in seguito vi furono aggiunti San Tommaso Moro e San Giovanni Fisher.
Dale Ahlquist, mons. Peter Doyle e Marco Sermarini
Padre Spencer celebra la santa messa in una chiesa piena di gente: dico tra me che il popolo cattolico c’è, a Beaconsfield, ha una sua certa varietà ma prevalgono gli inglesi, tutti composti e partecipi con devozione. Tutto ciò mi rallegra. I saluti e gli abbracci, i ringraziamenti per questa giornata speciale, lo scambio di indirizzi e poi mi avvio con Spencer, Dale e Juan Pablo, il giovanotto messicano che avevamo incontrato la mattina. Juan Pablo mi parla di sé, della sua famiglia, delle sue origini in parte italiane, parliamo un po’ italiano, un po’ inglese e un po’ spagnolo, molti gesti, molte risate. Io sapevo che stavamo andando verso la casa di Gilbert, e mi ricordavo del proposito di Dale: stasera busseremo a casa Chesterton.
Pawel dalla Polonia
San Tommaso Moro nella cappella dei Martiri Inglesi
La navata centrale della Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù a Beaconsfield
Ora, dovete sapere che Gilbert abitò due case a Beaconsfield, la prima fu Overroads, che prese affitto appena arrivato nel 1909. Come e perché arrivò lo trovate sulla sua Autobiografia, ma è proprio "alla Chesterton" (prese il primo treno che partiva dalla stazione vicino casa sua a Battersea, chiedendo "un biglietto per il treno": quale? chiese perplesso il bigliettaio… il primo che parte, fece Gilbert... Arrivarono, lui e sua moglie, a Slough e da lì a Beaconsfield. Si trovarono bene e promisero di tornarci per sempre). I coniugi occuparono questa casa sino al 1922, l’anno della conversione di Gilbert, poi decisero di trasferirsi proprio di fronte, attraversata la strada che oggi si chiama Grove Road, che in quel punto si inserisce come un imbuto nella strada principale. Già di fronte avevano costruito anni prima lo studio di Gilbert, perché Overroads era troppo piccola per il Gigante. Allo studio si unì poi l’altra casa, Top Meadows, che occuparono dal 1922 sino alla morte. Gilbert amò sempre di più Overroads.
Juan Pablo e Spencer

La vetrata dedicata a San Francesco d'Assisi,
voluta dai Chesterton (Gilbert assunse
il nome del santo assisano in occasione della Cresima)









La statua della Madonnina acquistata personalmente da Gilbert
La lapide alla memoria di Chesterton


Il bel polittico dedicato ai Martiri Inglesi


La targa che ricorda che Gilbert visse
dal 1909 al 1922 a Overroads
I simpaticissimi proprietari di Overroads;
alle spalle Gilbert approva




L'incursione a Overroads
La denuncia al Census del contratto di affitto di Overroads
in basso a destra la firma di Gilbert
La pianta originaria di Overroads
Un soddisfattissimo Juan Pablo a Overroads
(quando ti ricapita...?)
Le due case mi fanno tornare alla mente decine di episodi della sua vita (Emilio Cecchi gli fece visita proprio a Overroads nel 1919 e una signora gli indicò la casa come per dire che era sì un genio ma che matto che era... ricordo il cane Winkle e l'asino Trotskij, gli amici che lo andavano a trovare lì, lui che usciva dalla vasca da bagno e vi rientrava perché si era scordato che aveva già fatto il bagno, le feste con il teatrino delle marionette di suo padre ed i bambini del paese, le bambine Nicholls, gli amici del paese... un po' mi commuovo e penso che è tutto vero, Gilbert non era un letterato di cui si parla con sussiego, era uno di noi), e mentre mi avvicino non penso a Juan Pablo che è ignaro del tutto della nostra meta. Allora gli dico, proprio di fronte a Top Meadows: Mira, hermano… Top Meadows, la casa de Gilbert… Juan Pablo si interrompe, fa una pausa, prende fiato ed esclama: No creo… No creo! Allora io: tranquilo, es la casa de Gilbert, el nuestro Gilbert! E lui, in trance: no creo… no creo… (non credo). Cerco di sdrammatizzare (ma poi capisco che faccio peggio): mira, una otra casa de Gilbert…! e gli indico Overroads. A momenti me lo gioco. Continuava a dire: no creo… no creo… Lo lascio un attimo in prenda al coma e punto Dale dicendogli: Dai, Dale, bussiamo. Non c’è voluta molta insistenza. Dovete sapere che Dale le ha praticamente girate tutte, le case di Gilbert (e vedrete in una prossima puntata che ci ha attaccato il virus), e gli mancava giusto Overroads (a Top Meadows era già stato anni fa). Ora sono tutte occupate da altra gente, come è ovvio. Allora gli do l’ultima spintarella, lui cerca il campanello nel buio, suoniamo… 
Eccolo!
Ci apre una signora dai capelli castani corti e gli occhiali che ci guarda in silenzio: eravamo proprio una strana brigata, ora che ci penso. Dale ed io, i due più anziani e che quindi avrebbero dovuto avere più creanza e responsabilità, ci siamo presentati davanti a tutti con in testa il cappello, io con baffi e borsa a tracolla, Dale con il suo immancabile biglietto da visita ed il sorriso oceanico; poco più dietro di me Spencer, con il clergyman e lo zainetto, e dietro a tutti Juan Pablo fibrillato e con lo zainetto. La signora ci guarda ancora e trattiene il fiato. Dale: Good evening, lady! I’m Dale Ahlquist and I’m the president of American Chesterton Society! col suo sorriso oceanico. Io dietro lo imito col sorriso ma taccio e non risulto meno inquietante. La signora dopo il nome Chesterton tira il fiato come davanti ad un pericolo scampato ed esclama: Oh, I thought you were mormons! (pensavo foste mormoni). Al che mi lancio e dico: No, we’re only catholics! (siamo solo cattolici). Sbottiamo tutti a ridere e la signora gentilissima ci fa entrare, ci mostra l’ingresso e la placca (invisibile da fuori) posta sullo spiovente del tetto che dice che qui visse Gilbert dal 1909 al 1922. Ci dice che conosce ben poco di Chesterton e che all’interno hanno dovuto modificare la divisione della casa che però all’esterno è esattamente com’era. La cosa non la disturba, almeno non più di tanto, infatti chiama il marito che scende le scale e ci saluta educatamente e ci sorride, capisce subito come siamo messi, secondo me (penso che la regola di assecondare i matti sia accettata come regola di senso comune anche in Inghilterra)… Ci mostrano anche la pianta originale della casa, la denuncia al Census del contratto di affitto con i nomi di tutti gli occupanti (i Chesterton all’epoca ospitavano anche due persone amiche) e la firma vera di Gilbert! Una bella cosa, anche perché prima di andarcene i coniugi accettano di fotografarsi davanti al contratto di affitto appeso al muro e si tengono pure per mano. Mi hanno fatto tenerezza, ho pensato che in qualche modo Chesterton abbia favorito questo incontro strano e divertente. Salutiamo e ringraziamo e ci avviamo, con Juan Pablo ancora incredulo, verso il White Hart noi e verso la stazione Juan Pablo, che riapparirà dopo un po’ per aver perso il treno; allora a quel punto lo invitiamo a cena con noi e con Martin e Francis.
Overroads oggi
Riscaldamento dei motori: Spencer, Martin e Dale

Una serata che corona una giornata gloriosa, tra veri amici e veri chestertoniani (e non finisce qui, carissimi).

Grazie, Gesù! Grazie, Gilbert! Troppa grazia!

Marco Sermarini



William Oddie

Spencer Howe al keynote

Martine Thompson
Tessa Caldecott

Top Meadows oggi, lo studio di Gilbert
Marco, Juan Pablo e Spencer

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