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martedì 30 luglio 2013

Nati lo stesso giorno, sposati per 75 anni, morti a un dì di distanza. Una storia “rosa” e chestertoniana - Tremende Bazzecole - Annalisa Teggi su Tempi


Brown2Sposati per 75 anni. Noi liquidiamo la storia di un matrimonio così longevo come una cosa straordinaria e rara; ci consoliamo dicendo che non a tutti capita di trovare la persona giusta  con cui riuscire a trascorrere un’intera vita insieme. La verità è che nessuno è capace di stare serenamente vicino al proprio marito per tutta la vita (… o anche solo di arrivare sereni a fine giornata), ma è anche vero che c’è stato un momento in cui, innamorandoci di lui, abbiamo osato desiderare che fosse per sempre e … ecco, il matrimonio è questo: non fa altro che prendere sul serio questo unico momento di grande audacia (anziché prendere sul serio la nostra ben più abituale incostanza): «L’uomo che fa un voto, per quanto azzardato, esprime in maniera sana e naturale la grandezza di un grande momento … Per quanto possa essere stato breve l’attimo della sua risoluzione, come tutti i grandi momenti è stato un attimo di immortalità» (G.K. Chesterton, da L’imputato).

La natura umana è una cosa che persino gli uomini posso capire.
La natura umana nasce dalla sofferenza di una donna, si guadagna da vivere, desidera l’altro sesso e muore.
G. K. Chesterton, L’età vittoriana nella letteratura


Il lieto fine non va più di moda, oppure: è da molto tempo che io non trovo film o libri in cui ci sia un vero, classico lieto fine. Forse leggo poco e vado troppo poco al cinema, ma mi pare che spesso il finale sia diventato la parte più complicata della storia e sia volutamente astruso pur di risultare sorprendente. Non basta più concludere una tragedia con una morte e una commedia con un matrimonio. E se nei contesti tragici non c’è limite alle nostre capacità immaginative di rovistare nel torbido e nell’inquietante, nei contesti romantici pare che siamo diventati troppo adulti, seri e realisti per berci la storia del “e vissero tutti felici e contenti”.

Ma chissà che cosa intendevano esattamente dirci le favole con questa espressione? Credo che il senso di quelle parole non fosse banalmente sdolcinato, perché anche se spesso erano attribuite a un principe e a una principessa non penso che narratori del calibro dei Grimm (bravi com’erano) volessero semplicemente suggerirci un futuro fatto di soli castelli, banchetti, sorrisi e baci. In ogni caso, è ben raro oggi imbattersi in un qualche genere di finzione narrativa o cinematografica che imbastisca una trama solida e forte al punto da reggere l’audacia in cui un finale da “felici e contenti” sia pienamente coinvolgente e non miseramente smielato. Ma per fortuna ci pensa la realtà, che è ancora in grado di scrivere copioni così tradizionali da risultare straordinari.
E così in questi giorni ci si può imbattere nella storia di Les e Helen Brown. È una storia d’amore e non c’è lettura migliore da fare negli afosi mesi estivi. I romanzi rosa e le riviste di gossip la fanno da padroni sotto l’ombrellone. Con buona pace di tutte le serissime discussioni politiche che popolano i titoloni di prima pagina, molti lettori – pardon lettrici – spesso scorrono velocemente il giornale, saltando a piè pari anche tutta la sezione dedicata all’economia, per arrivare a scovare quel trafiletto nella sezione «Spettacoli» che c’informa su come procede la gravidanza di Michelle Hunziker e la sua storia con il rampollo di casa Trussardi. Dal signor Chesterton ho imparato a non interpretare questa inclinazione a farsi gli affari sentimentali altrui come un indizio della volgarità o superficialità della gente, ma come un buon segno sulla prevalente sanità mentale dei più: ne L’imputato, testo in cui si prefiggeva di difendere “ciò che c’è di bello nel brutto del mondo”, Chesterton giustificò le clamorose vendite di certi romanzetti rosa da due soldi, rispetto a certi saggi sociologici imbottiti di rigorose statistiche, dicendo che forse nel mondo sono più numerosi gli innamorati degli intellettuali.
Appartenendo anch’io alla schiera dei più, non potevano non cadermi gli occhi su quel trafiletto di second’ordine di cui ho visto protagonisti i coniugi americani Brown. Ecco la trama che si riesce a ricostruire mettendo insieme gli indizi raccolti sui diversi giornali.
Les e Helen Brown sono nati lo stesso giorno e nello stesso anno, peraltro un giorno già particolare di suo: il 31 dicembre 1918. Cominciare la vita alla fine dell’anno (e dell’anno in cui si è conclusa la Prima Guerra Mondiale) è già un bell’inizio. Si sono conosciuti presto, innamorati e sposati altrettanto presto, a 18 anni. Le loro rispettive famiglie non vedevano di buon occhio la loro unione sia per l’età di entrambi, ritenuta prematura, sia per questioni economiche: lui era di famiglia benestante, lei no e quindi nessuno credeva che un matrimonio del genere potesse durare a lungo (… erano gli anni ’30!). Dunque i due scappano e si sposano; la loro scelta precipitosa non si dimostra però avventata, visto che poi hanno passato tutta la vita insieme.
Sullo sfondo della bellissima California, il teatro a cielo aperto di ogni serie televisiva che si rispetti, Les e Helen hanno vissuto insieme per 75 anni: lui fotografo, lei agente immobiliare; due figli e sette nipoti. Niente di così eccezionale da guadagnarsi una copertina, anche perché oggi un matrimonio si conquista titoli e prime serate solo nei casi in cui assume le tinte di un dramma aberrante (omicidi, suicidi e violenze tra coniugi).
Quando Chesterton si occupò di omicidi scelse di guardarli attraverso gli occhi di un prete, Padre Brown (proprio perché, in casi eccezionali del genere, oltre ai codici penali e alla criminologia qualche emendamento pronunciato dalla voce della misericordia è benedetto). Immagino però che gli sarebbero piaciuti anche i coniugi Brown e sarebbero stati per lui un paio d’occhi altrettanto interessante per raccontare storie di tipo diverso, quelle del quotidiano; perché questo è di pertinenza del matrimonio: custodire e accogliere il sorgere imprevisto di ogni giorno. E in questa prospettiva il “felici e contenti” suona come un impegno, più che come uno zuccherino. Tutti i conoscenti dicono di Les e Helen che sono sempre stati felici e contenti, ma m’immagino che la loro vita insieme non sia stata tutta rose e fiori, sorrisi e baci. Credo che, come tutti, abbiano incontrato contraddizioni, dolori o anche semplicemente noia.
Il loro lieto fine è stato quello di essere usciti dalla scena delle vita terrena ancora una volta insieme; sono morti a un giorno di distanza, pochi giorni fa. Forse è azzardato dire lieto, perché lei è morta per un tumore allo stomaco e lui a causa del morbo di Parkinson. Forse non lo è, se uno si trova a ringraziare di aver conosciuto gli straordinari eventi della nascita, dell’amore e della morte insieme al proprio amato.
Questa compagnia tra due persone che è divenuta persino armonia di vita e morte – in fondo – non ci porta solo a dire: «Coincidenze» oppure «Talvolta il caso è davvero bizzarro». Forse quel che sentiamo è un’eco lontano che ci portiamo addosso nel DNA … l’ipotesi di una sintonia profonda al di là di ogni nostro genere di ripetuto tradimento. O forse è solo l’eco di un vecchio ritornello. Dalla culla alla tomba … from the cradle to the grave … quante volte l’ho ripetuto cantando All I want is you degli U2! Ma quello di Les e Helen è decisamente troppo perfetto come finale per riscuotere successo.
Allora buttiamola sull’ironico. Les e Helen appartenevano ai Testimoni di Geova e questo può essere lo spunto per un’ultima inquadratura. M’immagino la scena: in un futuro prossimo, un gruppo di nuove sentinelle della domenica (non preoccupate della fine del mondo, ma di scovare storie reali che sono la fine del mondo) s’aggirerà nei nostri quartieri e citofonando ai campanelli si metterà a chiedere all’assonnato inquilino di turno: «Sa, noi abbiamo letto nella cronaca la storia di un uomo e una donna che sono nati da una sofferta gravidanza naturale, si sono sposati e hanno vissuto insieme per 75 anni e sono morti insieme di dolorosa morte naturale. Lei cosa ne pensa?».

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