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mercoledì 30 novembre 2011

Il nostro Roberto Prisco, segugio di citazioni negate e implicite, indovinate cosa ci ha trovato...

Nell'udienza di oggi 30 novembre 2011 del papa felicemente regnante Benedetto XVI (la vitamina per la nostra fede), riportata su Avvenire.it leggiamo:

"Nell'amicizia profonda con Gesù e vivendo in Lui e con Lui la relazione filiale con il Padre, attraverso la nostra preghiera fedele e costante, possiamo aprire finestre verso il Cielo di Dio".

Forse più che di una citazione esplicita possiamo pensare ad un sorta di coincidenza per connaturalità.

Roberto Prisco

Ricordate l'articolo di Gianfranco Amato sul governo Monti..?

... ecco, questo sì che è un colpo!

Alle 15.38 del 24 Novembre 2011 Mario Monti si è dimesso dalla Trilateral, dal Bilderberg e da Goldman Sachs (vedi comunicato AGI).

L'articolo è stato inserito anche nella rassegna stampa del Governo: http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=72777960.

Giovanni Borghi trova che un tratto de Il Ritorno di Don Chisciotte sia attuale...

Carissimi,

vi segnalo questo pezzo del Ritorno di Don Chisciotte, che secondo me si adatta bene alla situazione attuale.
I mercati finanziari sono come i mulini a vento di Don Chisciotte.

Giovanni Borghi

“«Ma non avete davanti agli occhi», protesto' «cio' che possiamo imparare da tutto questo? Tutti i vostri macchinari sono diventati cosi' disumani da essere naturali, sono diventati una seconda natura, una cosa tanto remota quanto indifferente e crudele come la natura. Il Cavaliere deve cavalcare ancora una volta nella foresta. Soltanto si è perso in mezzo ad ingranaggi invece che tra gli alberi. Avete fatto diventare il vostro meccanismo inanimato così grande che ora non sapete nemmeno voi dove o come vi colpirà. Questo e' il paradosso! Quello che e' stato costruito con il calcolo è diventato incalcolabile. Avete legato l'uomo a cose cosi' gigantesche che ora non riesce più a capire da che parte lo colpiscono. Avete reso reale l'incubo di Don Chisciotte! I mulini a vento adesso sono davvero dei Giganti»".

Andrea Carbonari ci segnala l'articolo di Avvenire sul libro di Casotto

Cari amici della SCI,

vi informo che su Avvenire del 25 novembre 2011 a pagina 27 c'è un breve articolo in cui si presenta un saggio di Ubaldo Casotto su GKC ("G.K. Chesterton. L'enigma e la chiave") per la Lindau.

Saluti chestertoniani,

Andrea Carbonari

Don Massimo Vacchetti recensisce L'Uomo che ride di Edoardo Rialti

Segnaliamo la recensione pubblicata da don Massimo Vacchetti che ringraziamo sul sito http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=2937 in merito all’ultimo libro di Edoardo Rialti dal titolo “L’uomo che ride”, ed Cantagalli.

Fabio Trevisan recensice Concezione cattolica della politica di Julio Ramon Meinvielle

Nei Tratti Biografici (pag. 120) circa l'autore di questo volume viene citato da P. Ruiz Freites il nostro GKC: "Di Padre Julio Meinvielle viene nella mente quello che diceva Gilbert Keith Chesterton su San Tommaso d'Aquino: "pensava in modo battagliero... (il che) non vuole dire acidamente o dispregiativamente, senza carità, bensì combattivamente".


CONCEZIONE CATTOLICA DELLA POLITICA
Si deve alla meritoria revisione e cura di P. Arturo A. Ruiz Freites dell’Istituto del Verbo Incarnato (I.V.E.) se è stata pubblicata (Edizione Settecolori) questa poderosa opera di P. Julio Ramon Meinvielle (1905-1973): “Concezione cattolica della politica”. Scritta nel 1932 dal grande filosofo e teologo argentino, il cui pensiero si formò alle fonti sempre vive del Magistero della Chiesa e di San Tommaso d’Aquino, rimane ancora ai nostri giorni un’opera fresca ed estremamente utile per la chiarezza e lucidità delle intuizioni e delle riflessioni esposte. Appena ordinato sacerdote (dicembre 1930), P. Meinvielle intraprese con tenacia e passione, umiltà e rispetto, la lettura e l’analisi approfondita degli scritti del Dottore Angelico, anche in forza, come ha ben rilevato P. Ruiz, della fedeltà al Magistero della Chiesa che, da Leone XIII con la Aeterni Patris (1879) a S. Pio X col Motu Proprio Doctoris angelis (1914), fino al Codice di Diritto Canonico del 1917 insistevano e stimolavano che “gli studi della filosofia razionale e della teologia fossero trattati secondo il metodo, la dottrina ed i principi del Dottore Angelico”. All’osservanza del Magistero della Chiesa ed alle opere di San Tommaso d’Aquino, P. Julio Meinvielle si è sempre attenuto, contrapponendo la dottrina sociale della Chiesa, da esse scaturita, alle ideologie ed alle filosofie e teologie erronee della modernità o post-modernità (dal liberalismo al collettivismo, dall’individualismo allo statalismo). Attraverso uno stile chiaro e semplice, pur nella difficoltà delle argomentazioni trattate, P. Meinvielle ha saputo ammaestrare generazioni di giovani (argentini e non) al riconoscimento dei diritti di Dio anche nella politica, nella prospettiva non utopica di una Cristianità, ovvero di una comunità politica posta sotto il regno di Dio. La mente acuta e lucida di P. Meinvielle ha illustrato in un modo pedagogico l’ordine dell’uomo nella società, rispettoso del preminente ruolo di Dio nella storia e della legge naturale quale specchio della lex divina, contro il disordine provocato dall’eresia rivoluzionaria anti-cristiana ed anti-umana. Riprendendo il concetto ribadito da Pio XII in merito ad un mondo da rifare dalle sue fondamenta: da selvaggio, farlo umano; da umano, farlo divino, secondo il cuore di Dio, P. Julio denuncerà la falsità del mito del Progresso (anteponendolo al vero progresso cristiano) e dell’apostasia del mondo moderno: «Respingendo la necessità di lavorare all’edificazione di un ordine sociale cristiano, i progressisti sono costretti ad accettare la civiltà laicista, liberale, socialista o comunista, della modernità. Qui è radicato il vero errore e la deviazione del progressismo cristiano, che consiste nel cercare l’alleanza della Chiesa con il mondo moderno». P. Meinvielle si è preoccupato di definire, onde evitare fraintendimenti, il carattere, la natura della società moderna: «La società moderna è una società che tende a rifiutare Dio e a fare dell’uomo un dio». Essendo il Meinvielle, come ha giustamente argomentato P. Ruiz, un uomo di Dio, egli ha voluto preservare con cura la sovranità e la trascendenza di Dio contro il proposito riduzionista ed immanentista che caratterizza il pensiero moderno. Per più di quarant’anni spesi con saggezza e rigore a favore della filosofia perenne, ha così potuto scrivere una ventina di preziosi volumi, alla scuola di S. Tommaso e del suo motto: “Proprio del saggio è il giudicare, non solo il discernere”. Pur mantenendo uno sguardo prudente e caritatevole, P. Meinvielle ha saputo osservare e giudicare i fatti e gli avvenimenti soprattutto alla luce delle vere cause: Dio, la Sua Provvidenza, l’opera di redenzione di Gesù Cristo e della Sua Chiesa. Con uno sguardo incarnato e soprannaturale, P. Meinvielle ha saputo delineare con profonda chiarezza l’essenza dell’uomo: un essere con necessità materiali, perché ha un corpo, ma soprattutto con necessità intellettuali, morali e spirituali, perché ha un’anima immortale. Non solo, l’assunto di P. Meinvielle, debitore alla filosofia aristotelica-tomista della nozione di sinolo (unità sostanziale tra anima e corpo), si sviluppa nella concezione dell’uomo soprannaturale, o uomo cattolico, quale uomo di autentica vita nuova, nell’accezione paolina (S. Paolo, Rm 6,4). La sua Concezione cattolica della politica presuppone questo importante significato antropologico, alla luce di Dio, con le parole stesse dell’Autore: «L’uomo cattolico non è uomo e, inoltre, cattolico, come se il fatto di essere cattolico fosse qualcosa di separato dalla sua qualità di uomo o di padre di famiglia. L’uomo cattolico è un’unità». Conseguentemente, tanto la scienza politica come la prudenza politica si devono adattare alla vita soprannaturale. Ciò non significa, senza alcun dubbio, che i fatti concreti e reali siano allontanati in questa prospettiva trascendente, ma che piuttosto, ancora con l’espressione felice di P. Julio: «I fatti trovano la loro spiegazione alla luce dei principi ontologici; i fatti politici alla luce dei principi ontologici dell’essere umano». La scienza che studia l’essere in quanto essere, la vituperata e tralasciata metafisica, costituisce, al contrario, la chiave di volta per comprendere anche l’azione politica in quanto la metafisica non esclude l’osservazione empirica, anzi l’esige; ma l’esige sostentata in se stessa. Quando diciamo metafisica, non diciamo qualcosa di inestricabile, irraggiungibile per l’uomo comune; ci riferiamo semplicemente alla saggezza che considera i principi dell’essere. Per Meinvielle, lungi dal considerare la metafisica come qualcosa di nebuloso o astratto, questa argomentazione delucida l’intento irrazionale ed anti-metafisico del mondo moderno: «Il segno più tipico e grave della decomposizione del mondo moderno è, precisamente, questa guerra alla saggezza che contempla i principi dell’essere». P. Julio Meinvielle testimoniò fino alla morte il suo amore e la sua dedizione a tutti gli ambiti della vita umana (economica, sociale, storica, politica) ordinandoli e trattandoli alla luce del Vangelo e della Dottrina sociale naturale e cristiana della Chiesa e denunciò senza tregua il grande problema del mondo moderno, “che muore da laicista e da ateo ed ha le sue radici nel fatto che cerca in primo luogo la realtà temporale, e così rimane senza la realtà eterna e finisce addirittura per perdere la realtà temporale”. In questo straordinario saggio (Concezione cattolica della politica), P. Julio Meinvielle, dopo aver esaurientemente definito l’essenza dell’uomo, spiega come la politica debba essere autenticamente al servizio dell’uomo e di Dio. Nell’annunciare queste verità antropologiche e teologiche, P. Meinvielle denuncia la corruzione della Rivoluzione che, prima di corrompere la politica ed anche l’economia, ha corrotto l’uomo.
Urgente costituisce il richiamo affinché il cattolico conosca la dottrina cattolica sulla politica … la pura erudizione delle teorie e dei fatti politici, quello che si chiama attualità politica è nociva se non si è in possesso dell’autentica filosofia della politica. Per l’Autore la natura morale della politica si attiene alla legge naturale: «Se l’uomo conforma il suo operato alla legge naturale opera virtuosamente, se non lo fa, opera viziosamente … nell’uomo la ragione è come una luce, tramite la quale discerne ciò che è buono o cattivo». Il pensiero lungimirante ed acuto di P. Julio Meinvielle può addirittura essere accostato al Magistero di Benedetto XVI, pur a distanza di ottant’anni. Nella Concezione cattolica della politica si possono leggere passaggi che ricordano la recente Caritas in veritate: «Si potrebbe persino dimostrare che se la politica mirasse solo a procurare i beni economici, a detrimento di quelli morali, si corromperebbe a tal punto che sarebbe incapace si procurare quegli stessi beni economici». Nel ribadire che la società politica è essenzialmente morale, P. Meinvielle la fa dipendere intrinsecamente dall’ordine teologico, individuando quattro cause (derivate dall’impianto aristotelico-tomista) nella costituzione essenziale della società politica: efficiente, materiale, formale e finale. L’originalità e l’ortodossia del pensiero cattolico di P. Julio Meinvielle si articola nell’elaborazione di queste quattro cause: « Le famiglie e le altre associazioni naturali e libere che si congregano nell’unità sociale sono la causa materiale … il regime sociale per cui tutte le famiglie vivono congregate nell’aspirazione al bene comune costituisce la causa formale. Il bene comune temporale, di cui si procura la realizzazione, è la causa finale prossima della società, e gli uomini, spinti dalla legge naturale ad entrare nella società politica, sono la causa efficiente di questa». La centralità della famiglia quale cellula fondamentale della società è posta sostanzialmente quale primario corpo intermedio, secondo le indicazioni continue del Magistero della Chiesa. Molti altri aspetti (il problema della sovranità, la strutturazione sociale-statuale della vita politica, le funzioni dell’autorità) sono approfonditi nel pensiero del grande filosofo e teologo argentino e meritano tutti estrema attenzione. Un saggio di sicuro interesse e da leggersi con attenzione, scritto da un uomo che amava profondamente la Verità su Dio e sull’uomo, come si può evincere da quest’ultima citazione: «Il problema primo dell’uomo è il destino eterno dell’uomo. Il problema primo dell’uomo è la situazione dell’uomo verso Dio. E’ un problema interiore, un problema che si trova entro l’anima, che non si risolve dandogli da mangiare, ma si risolve dandogli Dio».
FABIO TREVISAN

Da Pietro Bellantoni - Attualità, GKC e Serietà

Buongiorno,
leggo oggi sui giornali la notizia che sta facendo il giro del mondo. 
Due ragazzi che si fanno fotografare sorridenti mentre impiccano un cane.


Mi è venuto in mente un passo di Chesterton preso da "La serietà non è una virtù", che potrebbe anche essere l'aforisma del giorno visto che il Nostro non smette mai di essere attuale. 
Dice: 

"I due eccessi presenti alle estremità dell’attuale società esasperata e isolata sono la crudeltà e la venerazione verso gli animali. Derivano entrambi dall’esagerata considerazione nei loro confronti: i crudeli li odiano; gli stravaganti li adorano e forse li temono. Nessuno sa amarli".
Saluti

Piero Bellantoni

Grazie a Pietro. Questo è un invito intelligente a leggere la realtà alla luce degli occhi sani di Chesterton e a leggere un bellissimo libro appena uscito...

I lettori collaborano alacremente ed intelligentemente per la buona realizzazione del blog.

Il bello della storia del nostro blog è che sta sempre più diventando il riferimento dei chestertoniani d'Italia e anche di fuori Italia (abbiamo lettori assidui che ci seguono dalla Spagna, dalla Catalogna, dall'Irlanda, dagli Stati Uniti...).

I lettori si sentono talmente a casa che ci fanno tante segnalazioni che noi puntualmente, o quasi, vi giriamo.

Quelle che seguono sono solo alcune di quelle pervenuteci nell'ultima settimana e scusate se non sono tempestivissime (lavoriamo come possiamo e quando possiamo sul blog).

Il GRAZIE è chestertonianamente grandissimo e sempre più affettuoso ed amichevole, cari amici.

martedì 29 novembre 2011

Conoscere Chesterton per capire Darwin, di Enzo Pennetta

Vi proponiamo questo contributo su Chesterton e Darwin a firma di Enzo Pennetta, che ringraziamo.

Enzo Pennetta è l'autore di un volume che abbiamo già segnalato qualche tempo fa dal titolo Inchiesta sul darwinismo - Come si costruisce una teoria - Scienza e potere dall'imperialismo britannico alle politiche ONU, uscito per i tipi di Cantagalli (Siena).

E' interessante sapere che Enzo Pennetta conosce Chesterton e attribuisce un grande valore al suo pensiero e alla sua opera proprio a riguardo della questione darwiniana.

Torniamo sull'argomento, che paradossalmente è più caldo che mai nonostante Charles Darwin sia morto da molto tempo, proprio per l'interesse che gli dedicò Chesterton e per il rango che il darwinismo ha assunto oggi nella mente di molti, pari quasi a quello di una religione rivelata.
Gilbert Keith Chesterton nacque nel 1874, otto anni prima della morte di Darwin, nella sua vita poté quindi respirare l’aria della rivoluzione darwiniana e verificare quali conseguenze ebbe sulla società il pensiero di quel suo grande connazionale le cui opere si erano così diffuse in tutto il mondo. 
Le implicazioni sociali e antropologiche dell’evoluzione per selezione naturale erano all’epoca al centro di intensi dibattiti e confronti in tutta Europa, ma era solo nella società inglese che l’opera di Darwin poteva essere pienamente compresa nelle sue profonde radici e implicazioni, e fu proprio in Inghilterra che il dibattito uscì dall’ambito scientifico e filosofico per approdare a quello letterario. 
E quando questo avvenne si trattò di un confronto tra giganti.
Nei primi anni del ‘900 Chesterton prese posizione contro la teoria del superuomo nietzschiano che allora era sostenuta da Bernard Shaw, alle sue opere egli rispose con Eretici, in cui negava che per l’uomo potesse valere il principio della competizione. Ma era proprio nella teoria darwiniana che pochi decenni prima la competizione era stata eletta a legge di natura e affermata con il nome di selezione naturale. 
Per Chesterton ciò che è prezioso nell’uomo non è nella sua capacità di perfezionarsi, ma quello che in un’ottica evoluzionista sarebbe eliminato come “difetto”, come leggiamo proprio in Eretici (1905):


Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d'amore ai nostri occhi è l'uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fondate sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite.
Sempre in Eretici, Chesterton si rivolgeva anche a H.G. Wells nei cui scritti la tensione verso il superuomo si realizzava con l’eugenetica (fondata dal cugino di Darwin, Francis Galton) e nell’utopia di un governo mondiale. 
Ma il confronto nella letteratura tra darwinismo e antropologia cristiana avrebbe coinvolto in seguito anche lo scrittore Aldous Huxley che fu fortemente criticato da Chesterton in un articolo apparso su The Illustrated London News il 17 luglio 1920. Successivamente anche C.S. Lewis si unì alle posizioni di Chesterton accusando A. Huxley e H.G. Wells di scientismo.
A. Huxley nel 1932 avrebbe poi scritto il romanzo Brave New World, nel quale si prefigurava una società governata dai principi dell’eugenetica.
Ma l’opposizione ad un’antropologia darwiniana, basata su una natura “con i denti e gli artigli insanguinati” per usare un’espressione di Tennyson, si intreccia in Chesterton con la storia britannica, come emerge nel saggio Una breve storia dell’Inghilterra, dove egli si rivolge ancora a H.G. Wells e a G.B. Shaw indicando nella loro ideologia qualcosa di simile all’utopia di Thomas More, ma più ingenua e al tempo stesso più irriverente, soffermandosi in particolare sugli aspetti di quest’ultima che potevano rimandare all’eugenetica.
Ed è così che giungiamo ad un’affermazione che potrebbe apparire incomprensibile per chi si è formato sui manuali scolastici: se per conoscere la teoria dell’evoluzione bisogna studiare gli scritti di Darwin, per avere la giusta comprensione di quel complesso fenomeno, che non è solo scientifico, e che va sotto il nome di “darwinismo”, bisogna invece passare attraverso la lettura di Chesterton.

Chesterton in altre parole - padre Ferdinando Castelli

"In Inghilterra, tra i convertiti più noti, incontriamo Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) la cui opera è un inno alla bellezza della fede cattolica, cioè alla verità, alla gioia, al sapore della vita, alla certezza del perdono. Maurice Baring (1874-1945) a proposito della sua conversione scriveva: «L'unica cosa della mia vita di cui non mi sono mai pentito»".

Da Ferdinando Castelli, La Chiesa e gli intellettuali - tra il buio e le schiarite

http://www.stpauls.it/letture03/0304let/0304le08.htm

Per la cronaca, Maurice Baring è uno dei più cari ed intimi amici di GKC, scrittore ed ufficiale della RAF, anche lui convertito. A lui abbiamo fatto qualche cenno sul blog.

Un aforisma al giorno - Turisti o uomini, nella vita?

«L'uomo sulla nave da crociera ha visto tutte le razze umane e pensa alle cose che dividono gli uomini: alimentazione, abbigliamento, decoro, anelli al naso come in Africa o alle orecchie come in Europa. L'uomo nel campo di cavoli non ha visto nulla, ma pensa alle cose che uniscono gli uomini: la fame, i figli, la bellezza delle donne, la promessa o la minaccia del cielo».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

Un aforisma al giorno (che intelligenza!)

«La verità è che è un grave errore supporre che l'assenza di precise convinzioni renda la mente libera e agile».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

Un aforisma al giorno

«Un uomo deve mangiare perché ha un buon appetito da soddisfare e certo non perché ha un corpo da nutrire. Un uomo deve fare esercizio non perché è troppo grasso, ma perché ama il fioretto, i cavalli o l'alta montagna, e li ama in sé e per sé».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

Un aforisma al giorno

«L'uomo può essere definito come un animale che crea dogmi. Gli alberi non hanno dogmi. Le rape sono sorprendentemente tolleranti».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

Carlo Bo parla di Chesterton con Giovanni Piccioni


Di seguito trovate un brano dell'intervista di Giovanni Piccioni a Carlo Bo in cui si parla di Chesterton.
Forse l'abbiamo già proposta, ma vale comunque la pena di riproporre il brano. Vi si accenna all'amore di Chesterton per l'Italia, tra l'altro.
Qui sotto il collegamento, più in basso il brano.

http://www.liberalfondazione.it/backup_sito_vecchio/archivio/fl/numero08/scriverenelnomedelpadre.htm

L'opera narrativa di Chesterton, per il suo bonario moralismo e la critica del materialismo della società industriale, può essere inscritta nella letteratura cristiana di questo secolo?
Anche Chesterton ha avuto un suo momento di fortuna prima del '40. Intanto c'è un lungo saggio di Emilio Cecchi, e poi amava l'Italia e per molto tempo ha abitato a Firenze. Ricordo di averlo visto e conosciuto grazie a Nicola Lisi, che non so più per quale ragione era in contatto con lo scrittore inglese. La forza di Chesterton consiste nella sua capacità di usare il paradosso, di rovesciare le situazioni. Quindi c'è tutta una parte della sua opera che in un certo senso appartiene al giallo, alla letteratura degli inganni e delle sorprese. E questo sistema lo ha adoperato anche per le opere di carattere più strettamente religioso, basta ricordare uno dei suoi libri fondamentali intitolato Ortodossia. Si può spiegare la presenza di Chesterton in un Paese non cattolico appunto per questo contributo indiretto che ha dato alla letteratura di indirizzo cristiano.

Uomini e tristezza - A che punto può arrivare la tristezza di un uomo?

http://www.corriere.it/cronache/11_novembre_29/magri-suicidio-assistito_a6f690f8-1a59-11e1-a0da-00d265bd2fc6.shtml

Quello che dispiace ed intristisce, oltre alla morte tristemente voluta da quest'uomo (ci dispiace che sia morto così!), è l'insipienza dei commenti, la loro stretta osservanza dell'ideologia mortifera dominante nei giornali e nella cultura, il mettere avanti sempre "la scelta" in un uomo che non poteva e non doveva scegliere.

Abbiamo messo questa notizia nella nostra nota rubrica con la quale di solito stigmatizziamo le posizioni meno condivisibili della cultura, della politica e dell'economia, quelle che infondono tristezza nel mondo attorno a noi; questa la includiamo nella rubrica per la non condivisibilità assoluta della scelta di Magri, e ci viene da pensare quanto potesse sentirsi solo e quanto abbia influito lo stolido parlare a ruota libera su tv e giornali di tanti, che debbono sentirsi corresponsabili di una morte del genere come pure di una aria di morte ammorba l'aria del nostro bellissimo mondo.

Eutanasia, la parola e ciò che essa indica sono già una truffa.

Qui si cita Chesterton

Parte proprio da uno degli ultimi episodi di "Don Matteo", in cui il prete investigatore consiglia ad un giovane carcerato di leggere un libro della saga di Padre Brown (episodio da noi segnalato praticamente in diretta).

È interessante quando Eugenio Dal Pane richiama un vecchio e buon uso dei preti dimuna volta, quello di consigliare libri buoni.

Noi ci siamo fatti piccolo pulpito da cui consigliamo certi e allegri questi buonissimi libri del nostro Gilbert.

http://www.nuovodiario.com/cultura.cfm?wid=9182

lunedì 28 novembre 2011

Alison Milbank recensisce The romance of Orthodoxy

Qui trovate la recensione da parte di Alison Milbank (autrice di uno degli interventi su Chesterton lo scorso agosto al Meeting di Rimini) del libro di William Oddie su GKC da titolo The romance of Orthodoxy - The making of GKC.

Proviene sempre dallo stesso sito dell'articolo di padre Gallagher. E' il sito dei gesuiti britannici, per la cronaca.

Sul libro di William Oddie ci soffermammo in passato sempre qui sul blog.

Padre Gallagher parla di...un attacco di meraviglia

Qui, segnalatoci dall'amico Andrea Monda, trovate un articolo o forse è meglio dire saggio breve a firma di padre Michael Paul Gallagher, gesuita irlandese che insegna all'Università Gregoriana a Roma.

Il titolo è "An attack of wonder", indovinate di chi parla...?

E' tratto dal sito www.thinkingfaith.org

sabato 26 novembre 2011

venerdì 25 novembre 2011

The backbone of a healty society, dice giustamente qualcuno...

Leggete questo articolo del Times of Malta a firma di Klaus Vella Bardon dal titolo "Predatory capitalism".

Ad un certo punto l'articolo dice:

When asked, in August 1910, what was wrong with the world, G. K. Chesterton gave a very short answer: “The devil”. A hundred years later, few will deny that the devil is having a field day.

E più avanti:

The backbone of a healthy society is the family and private property. Private property is not just having a home, a car and money in the bank. Above all, it implies empowerment by giving people the means to earn a living.



These ideas have been championed for years and we neglect them at our peril and that of future generations. As early as the last century, Chesterton and his friend Hilaire Belloc urged the restoration of private property as the foundation for a sane economic order insisting that private property should be distributed as widely as possible.


Incessantemente i nomi di Gilbert e Hilaire escono in questo periodo di crisi da chi ha conservato saggezza, conoscenza della storia, della dottrina cattolica (che ci pare non abbia mai sposato né capitalismo né socialismo ma abbia avuto in mente ben altri idee di sviluppo del benessere e della società) e vero realismo, ossia attaccamento alla realtà e non accomodamento alla "realtà" imposta da altri.

L'Uomo Vivo si rende perfettamente conto che a dire che è possibile un altro stile di vita, un'altra organizzazione della società, altri obiettivi, altri sistemi per vivere dignitosamente si passa per matti, ma questo non è un motivo sufficiente per non affermare la Verità. Tanto più che il Papa stesso è il primo ad accendere una luce sui sistemi economici ed a chiederne un cambiamento.

E' ora di cominciare a costruire le nostre cose (la famiglia, la sua serenità economica, i rapporti sociali ed economici, il risparmio, i nessi di solidarietà tra famiglie, la scuola, le nostre attività di produzione e tanto altro...) secondo l'idea che la Chiesa Cattolica ci ha insegnato per secoli. C'è già chi lo fa, si tratta solo di non dire che non è possibile. E' come creare spazio vitale in luoghi dove spazio vitale non esiste ma potrebbe. C'è da lavorarci e da soffrire e travagliare, ma è possibile. 

San Benedetto da Norcia -ad esempio- non cercò di puntellare un sistema in chiara decadenza e che non gli apparteneva, si mise a costruire rapporti diversi che crebbero e lasciarono un segno evidente ed indelebile nella nostra civiltà, la sua stessa nervatura.

La Società Chestertoniana Italiana si mette a disposizione di chi vuole costruire questi rapporti diversi, per suo conto li sta già costruendo (basti vedere la Scuola di San Benedetto del Tronto).

John Medaille sulla crisi economica e sul distributismo

Qui (grazie alla segnalazione di Angelo Bottone) c'è una non recentissima (Novembre 2010) intervista da John Medaille all'agenzia Zenit sulla crisi economica. Non recente ma comunque attuale.

John Medaille è uno statunitense neodistributista, uno di quelli che ha preso sul serio la possibilità che il distributismo possa dire la sua in questo momento storico. E' l'estensore del manifesto "Towards a truly free marketA Distributist Perspective on the Role of Government, Taxes, Health Care, Deficits, and More” (ISI).

La trovate sul sito della interessantissima Distributist Review.


Strenna natalizia a cura del Centro Missionario Francescano (sotto la protezione di fra Roberto Brunelli o Brownelli o Patriota Cosmico)

Carissimi amici chestertoniani,
anche quest'anno vi proponiamo una fantasmagorica idea regalo, dopo la passata edizione speciale di Ortodossia e la calda raccolta de “La Nonna del Drago”.

Il libro prodotto questo Natale per aiutare il Centro Missionario Francescano è “Una preghiera al giorno toglie il diavolo di torno” (384 pagine formato 12x16).
Il volumetto, dal titolo giocondo ma sincero, contiene ciò che promette, cioè 365 preghiere, una per ogni giorno dell'anno. Ogni pagina, insieme a una bellissima preghiera, composta da un santo famoso o da una casalinga sconosciuta, contiene anche un aforisma fulminante, anch'esso di un santo o di qualche autore famoso (inutile dite che lo scrittore più citato è GKC). La copertina del testo (realizzata dalla famosa Suor Maria Rosa Guerrini) e tutto il suo interno sono sfogliabili qui:http://issuu.com/chesterton/docs/unapreghieraalgiornoperweb



Il costo del pacco dono?
10 libri: 60 € spedizione compresa
20 libri: 110 € spedizione compresa
50 libri: 200 € spedizione compresa

I libri sono quasi pronti e fra Roberto Brunelli (Brownelli o Patriota Cosmico) fra pochi giorni potrà già spedirveli. 

Per ordini, contatti e pagamenti fate riferimento direttamente a lui: laperlapreziosa@libero.it – 333 4165150.

Punjab, attivista cattolico assassinato da mafiosi musulmani


di Jibran Khan


Akram Masih, sposato e padre di quattro bambini, è stato ucciso ieri sera da un commando armato vicino ai latifondisti musulmani. Da anni l’uomo era oggetto di minacce, per la sua strenua battaglia a difesa dei diritti delle minoranze. Sacerdote locale: i proprietari terrieri musulmani “rubano” le proprietà cristiane con l’avallo delle autorità. 



Islamabad (AsiaNews) – Un gruppo di uomini legato alla mafia delle terre, guidati da Nadeem Ashraf, ha assassinato Akram Masih, attivista pakistano, sposato e padre di quattro bambini, residente a Renala Khurd, distretto di Okara, nella provincia del Punjab. Secondo le prime ricostruzioni il delitto è avvenuto verso le 10.30 di ieri sera. Fonti della chiesa locale riferiscono che l’uomo era un cattolico devoto, impegnato nei problemi sociali, che combatteva con dedizione e passione per i diritti delle minoranze religiose della zona. Tra le molte battaglie intraprese, negli ultimi tempi Akram Masih aveva lanciato una campagna contro i ricchi proprietari terrieri che confiscano in modo arbitrario i terreni ai contadini cristiani.

Solo lo scorso anno egli, insieme ad alcuni esponenti della Chiesa cattolica, aveva “salvato” due scuole cristiane sul punto di essere sequestrate da proprietari terrieri con l’avallo delle autorità locali. Da quel momento Masih ha continuato a ricevere costanti minacce di morte, che si sono concretizzate nell’assassinio avvenuto nella serata di ieri. P. Joseph John, sacerdote a Renala Khurd, conferma che “da mesi” i latifondisti musulmani cercano di rubare terre ai cristiani, con il sostegno delle autorità”. Il prete aggiunge che Akram Masih “si è sempre opposto con coraggio” e non ha mai permesso loro di “realizzare i loro piani malvagi”. La zona compresa nel distretto di Okara è rinomata per la fertilità dei terreni, in cui si coltivano fra gli altri patate, pomodori, riso. Tre settimane fa Masih aveva acquistato un piccolo appezzamento di terreno, che la mafia locale ha subito cercato di espropriargli. Sono ricominciate le minacce personali e a nulla è valsa la denuncia alla polizia, visto che gli agenti non hanno nemmeno avviato l’indagine di rito.

Interpellato da AsiaNews p. Shahbaz Aziz, del distretto di Okara, racconta che ieri sera “verso le 10.30 si sono sentiti diversi colpi di pistola” e “alle 11 è stato ritrovato il cadavere di Akram Masih” nei dintorni del luogo in cui viveva con la famiglia. Il sacerdote aggiunge che “Nadeem Ashraf è l’uomo forte della zona” e “guida della mafia locale dei terreni”; insieme ai fratelli egli “ha più volte minacciato Masih”, poi è scattato l’assalto che ha portato alla morte dell’attivista cristiano. P. Aziza precisa che “il corpo presenta segni di torture”, ma la polizia – seppur costretta ad aprire un fascicolo – non mostra particolare attenzione e impegno nella ricerca degli assassini.

Nel 2003, sempre nella zona, è stato ucciso in circostanze analoghe p. George Abraham, anch’egli attivista per i diritti delle minoranze e strenuo difensore delle loro proprietà, minacciate di confisca dai ricchi latifondisti musulmani. “I cristiani in questa regione – conclude p. Shahbaz Aziz – sono umiliati, i casi di persecuzioni sono molto frequenti. Quante vite verranno ancora spezzate, prima che il governo del Punjab intervenga?”. E quanto sangue, si chiede, “dovrà ancora scorrere?”. 

Un aforisma al giorno (ce lo ricorda padre Roberto "Brownelli")

"Da noi, la classe di governo si dice di conti­nuo: «Quali leggi faremo». In uno stato autenticamente de­mocratico, si direbbe sempre: «A quali leggi possiamo obbe­dire?». Forse, uno stato autenticamente democratico non è mai esistito. Ma perfino le epoche feudali, nella pratica, era­no così democratiche, che ogni governante feudale sapeva che, qualunque legge avesse emanato, con ogni probabilità si sarebbe ritorta contro di lui. Poteva capitargli che gli ta­gliassero le piume per un’infrazione a una legge suntuaria. O che gli tagliassero la testa per alto tradimento. Ma le leggi moderne sono sempre fatte per incidere sulla classe dei governati, mai sulla classe che governa. Abbiamo leggi che re­golano le licenze per gli spacci di alcolici, ma non leggi sun­tuarie. Vale a dire, abbiamo leggi contro i festeggiamenti e l’ospitalità dei poveri, ma non leggi contro i festeggiamenti e l’ospitalità dei ricchi. Abbiamo leggi contro la bestemmia, cioè, contro un modo di parlare grossolano e offensivo a cui, probabilmente, non indulgerebbe nessuno, se non un uomo rozzo e di umili condizioni. Ma non abbiamo alcuna legge contro l’eresia, ovvero, contro l’avvelenamento intellettuale dell’intero popolo, in cui solo un uomo facoltoso e impor­tante avrebbe probabilità di successo. Il male dell’aristocra­zia non è che inevitabilmente conduca a imposizioni crudeli o a dolorosi patimenti; il male dell’aristocrazia è che essa af­fida tutto nelle mani di una classe di persone che possono imporre ciò che possono non patire mai. Buone o cattive che siano, nell’intenzione, le loro imposizioni, quelle persone diventeranno egualmente frivole. Noi non accusiamola clas­se di governo nella moderna Inghilterra di essere egoista; se vi piace, potete definire gli oligarchi inglesi troppo fantasti­camente altruisti. Noi li accusiamo semplicemente perché, quando legiferano, omettono sempre se stessi".

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

Belle notizie chestertoniane da un caro amico che vive a Roma

Caro Presidente,

(...)

ti scrivo però per una cosa lieta e simpatica: oggi un intero spazio della libreria s.paolo in via dlela conciliazione è dedicato ai libri del nostro e sul nostro,
 
mi sono commosso, ricordando quando li cercavo invano nella analoga libreria di Bari, negli ormai remoti anni Novanta.

(...)
 
m. s.

mercoledì 23 novembre 2011

Il pensiero di Gianfranco Amato sulla designazione del neopremier prof. Mario Monti

Da www.culturacattolica.it, che ringraziamo assieme all'amico Gianfranco Amato.

http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=28990

Il Card. Gianfranco Ravasi cita GKC

Cari amici della SCI,
vi segnalo che sabato 19 novembre 2011 sulla prima pagina di Avvenire (nella sua rubrica "Mattutino") il Cardinal Gianfranco Ravasi cita GKC.

Cordiali saluti,

Andrea Carbonari.

martedì 22 novembre 2011

Un aforisma al giorno (per finire la giornata in bellezza)

"Per quanto io riesca a capire, si reputa straordinario il fatto che un uomo sia normale, ordinario. Io sono ordinario nel senso più comune del termine, il che significa accettare un ordine, un Creatore e la creazione, e provare un senso di gratitudine per essa, ritenere la vita e l’amore quali doni costantemente buoni, il matrimonio e la galanteria quali leggi che giustamente li controllano e approvare le altre normali traduzioni comuni al nostro popolo e alla nostra religione".

Gilbert Keith Chesterton, La mia fede

Un aforisma al giorno (attualissimo! Aveva visto tutto!) - Chesterton è attuale - Più di così si muore!

Cari Amici,

se ci fosse ancora qualcuno portato a pensare ad un certo sradicamento di Chesterton dalla realtà e ad una sua non attualità, lo preghiamo di pentirsi dopo la lettura del brano che segue, tratto da What I saw in America, che è stato pubblicato con il titolo Quello che ho visto in America da Lindau e tradotto dalla nostra carissima e bravissima Annalisa Teggi.

Tutte le persone in buona fede e debitamente informate su Chesterton sanno che egli non amava il capitalismo allo stesso modo in cui non amava il socialismo (et - et). Sull'America ebbe molto a che dire, pur avendo simpatia per chi gli accordava un grande e sincero affetto.

Chesterton in questo brano si riferisce al Presidente americano Andrew Jackson che nel 1828 pose il veto alla legge che rinnovava lo statuto della Banca centrale americana. Dovremmo prendere esempio da GKC e non applaudire alla cieca e per partito preso. Chesterton ha moltissimo da dire su come stiano andando la politica e l'economia e non è detto che si debba morire comunisti o capitalisti.

Scusate i caratteri cubitali, ma ci volevano.
"Ma nel caso di Andrew Jackson c'era un motivo per cui avvertii uno speciale senso di isolamento individuale; perché credo che siano davvero pochi gli inglesi, ancor meno degli americani, che si rendono conto che l'energia di quel grande uomo fu principalmente indirizzata a preservarci dal vero male che oggigiorno distrugge le nazioni. Egli s'impegnò a tagliare la testa, come impugnando la spada della semplicità, al nuovo gigante senza nome della finanza; e deve aver compreso, come in un bagliore improvviso, che il popolo era con lui, perché tutti i politici erano contro di lui. La fine della battaglia non è ancora arrivata; ma se la banca è più forte della spada o dello scettro della sovranità popolare, la fine sarà la fine della democrazia. Essa dovrà scegliere se accettare un dittatore riconosciuto o accettare dettami che non osa riconoscere. Il processo sarà cominciato dando potere alla gente e rifiutando di dar loro i loro titoli; e finirà dando potere a quella gente che si rifiuta di dirci il suo nome".

Esce la traduzione di Lepanto, epica poesia di Gilbert Keith Chesterton

Cari Amici,
sul n° 37 di Nova Historica, Ed. Pagine, la bella rivista di storia diretta dal prof. Roberto De Mattei, è stata pubblicata la traduzione in versi (la prima in Italiano) del nostro caro amico Rodolfo Caroselli (abbiamo qualche suo contributo qui sul blog ed anche nella nostra pagina Facebook) di Lepanto di Gilbert K. Chesterton, preceduta da una sua ampia introduzione sulla figura e l'opera di GKC, sul poemetto in questione e sulla battaglia di Lepanto.

Rodolfo tiene sempre a sottolineare che le sue traduzioni hanno la caratteristiche di essere in rima.

Lo ringraziamo per la gentilezza che ci fa nel concederci di pubblicare parte della sua produzione e ricordiamo a tutti quella che è molto più di una leggenda e cioè che i soldati inglesi cantavano nelle trincee della I Guerra Mondiale proprio questo poema...

Chesterton e la poesia
La poesia accompagnò per tutta la vita Gilbert K. Chesterton, ma si può dire che l’anno 1911, con la pubblicazione del poema “Il cavallo bianco” e del poemetto “Lepanto”, segni l’acme in questa attività. Si tratta di poesia eroica e cristiana con i due protagonisti, rispettivamente re Alfredo il Grande e Don Giovanni d’Austria ritratti nel salvare il proprio mondo cristiano dall’invasione pagana. Molte altre sono, comunque, le opere in versi di GKC che in stili e toni diversi trattano vari temi, non dimenticando alcune potenti liriche che ci aprono squarci interessanti sulla personalità dell’autore, probabilmente più tormentata di quanto comunemente si pensi.

 Lepanto, di G. K. Chesterton.


Tempo: 7 ottobre 1911. Luogo: Beaconsfield. Gilbert Keith Chesterton sta scrivendo gli ultimi versi di “Lepanto” pressato dalle sollecitazioni del postino il quale attende, alla porta della sua villetta, che gli sia finalmente consegnato il plico contenente il poemetto da portare al treno in partenza per la capitale. L’opera sarà pubblicata cinque giorni dopo sul giornale “The Eye-Witness” di Hilaire Belloc.
E la ricerca estetica e formale? E il lavoro di lima? Cosa possono mai pensare di un’opera di questo genere i sussiegosi teorici della letteratura del ‘900? Molto male, o meglio… nulla. E nell’oblio, infatti, è stata relegata questa come altre opere di questo gigante del pensiero europeo. Secondo Belloc, Lepanto “è il risultato più alto nella poesia non solo di Chesterton ma di tutta la nostra generazione”. Come è possibile che questo capolavoro e anche, in parte, il suo autore siano stati dimenticati?   
Uomo coltissimo ma “anti-intellettuale” per eccellenza, che la critica politicamente e “intellettualmente” corretta  del ‘900 non poteva che ostracizzare, Chesterton scriveva per tutto il popolo e non per le consorterie, scriveva non perché ambisse alla fama ma esclusivamente spinto da un’esigenza morale. E così, mentre nei salotti londinesi cominciavano a circolare i versi di T.S. Eliot (pregevolissimi, e anche, di lì a poco, sentitamente cristiani ma, irrimediabilmente ermetici) quelli solari di G.K. Chesterton erano cantati in coro dai fanti britannici nelle fangose trincee della I Guerra Mondiale.
Nell’entusiasmante avventura letteraria di questo originalissimo moralista/umorista il vero e il giusto si coniugano naturalmente con il bello grazie a un inimitabile genio. Così è nel caso di “Lepanto” il poemetto che, mentre attraverso la potenza del ritmo e delle immagini ci fa rivivere con orgoglio una fondamentale pagina della storia d’Europa, sa esprimere profonde verità filosofiche e politiche sulla nostra fede cristiana e sulla nostra identità di europei e di occidentali.
Tornando, dunque, alla fortuna di Lepanto va detto che se la prima emarginazione di questa meravigliosa “ballad” fu intellettuale, dovuta cioè al fatto che la poesia rispettosa di metro e di rima e, soprattutto,  la poesia “comunicativa”, che esprimeva, cioè, senza mascherature i propri contenuti, apparivano superate, la seconda emarginazione, ben più ferrea, fu politico/culturale. Oltre che l’anti-intellettuale, Gilbert K. Chesterton è, infatti, anche e soprattutto l’anti-relativista per eccellenza! A partire dal secondo dopoguerra, un autore che rivendicasse a testa alta la libertà come precipua conquista della civiltà europea e cristiana (ed europea in quanto cristiana!) nel confronto e nel conflitto contro le civiltà “orientali” del fatalismo e della sottomissione era quanto di più politicamente scorretto si potesse concepire.
E’ dunque un’aria d’anteguerra che si respira nei versi di Lepanto, ma di certo non stantia, al contrario un’aria fresca e pulita come quella che, sul ponte della sua nave respirava Don Giovanni d’Austria mentre, sorridendo, lanciava coraggiosamente la flotta cristiana in una battaglia che avrebbe salvato l’Europa. E di un po’ di quell’aria avrebbe bisogno anche l’Europa di oggi.

LEPANTO di G. K. Chesterton (1911) – Traduzione in versi italiani di Rodolfo Caroselli (2009)

Nelle corti del sole bianche fontane scrosciano,
il Sultan di Bisanzio (1) sorride mentre scorrono;
come quell’acque un riso, sul volto più temuto,
muove la nera selva, il nero della barba,
la mezzaluna inarca sanguigna delle labbra,
ché le sue navi battono il mare interno al mondo (2):
sfidate le repubbliche fin sulle coste italiche,
squassano l’Adriatico torno al Leon dei mari (3),
e il Papa (4) nell’angoscia ha proteso le mani
e invoca ai re cristiani le spade per la Croce,
ma la sovrana inglese (5) guarda il suo specchio, fredda, 
sbadiglia mentre è a Messa l’ombra dei Valois (6);
le gemme delle Indie l’armi di Spagna fiaccano:
e il Re del Corno d’Oro (7) nel sole sta ridendo.
I tamburi attutiti echeggiano sui colli
che sono un regno ignoto per un negato principe (8),
ove, da un dubbio ufficio e da un incerto rango,
ultimo cavaliere d’Europa prende l’armi,
poeta estremo e tardo per cui cantò l’uccello,
che a sud andò cantando quando il mondo era giovane;
in quel silenzio enorme, sale sottile e intrepido,
su per sinuosa via, un suono di Crociata.
I gong ed i cannoni tremare fan la terra,
è Don Giovanni d’Austria che parte per la guerra,
Si tendon le bandiere al vento della notte,
nell’ombra son viola, oro vecchio alla luce,
le torce sono cremisi sui timpani di rame,
ecco poi trombe, squilli, quindi il cannone e lui.
E Don Giovanni ride con la sua barba riccia,
giacché ogni regno al mondo non vale i suoi stivali,
e il capo tiene alto, segno di libertà.
La luce della Spagna!
Dell’Africa l’incendio (9)!
E’ Don Giovanni d’Austria
che prende il largo, hurrà!

_______________________________

Note:

1  Selim II, sultano di Costantinopoli (oggi Istanbul), capitale dell’Impero Ottomano.

2  Il Mediterraneo. Poco prima della battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571), che si trova nel Golfo di Patrasso (Grecia), i Turchi avevano completato la conquista di Cipro (strappandola ai Veneziani).
3  La Repubblica di Venezia.
4  Pio V. Solo il 7 marzo del 1571, per contrastare l’espansione turca, era riuscito a riunire la Lega Santa, formata, oltre che dallo Stato Pontificio, dal Regno di Spagna e dalle Repubbliche di Venezia e Genova.
5  Elisabetta I d’Inghilterra.
6  Il giovane re di Francia Carlo IX, che era sotto la tutela della madre, la reggente Caterina dei Medici.
7  Insenatura su cui si affaccia Costantinopoli.
8  Il principe Don Giovanni d’Austria, imposto dal Papa come comandante della flotta cristiana, era figlio illegittimo di Carlo V e fratellastro del re di Spagna Filippo II.
9  I paesi dell’Africa mediterranea stanno qui a rappresentare tutto l’Impero Ottomano (di cui facevano parte).

lunedì 21 novembre 2011

Riceviamo e giriamo - Newman e la musica - lezione concerto

UNIVERSITA' CATTOLICA DEL SACRO CUORE – CENTRO PASTORALE(http://milano.unicatt.it/events_11076.html)

NOTE D'INCHIOSTRO (http://centropastorale.unicatt.it/centropastorale_3823.html)

Il pensiero è musica, forse…

Lezione-concerto con letture su John Henry Newman e la musica (a cura di Enrico Reggiani)

Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Aula Magna, martedì 22 novembre 2011, ore 13

con la partecipazione dell'attore Christian Poggioni, di tre Cori e di vari musicisti, tra i quali si ringraziano soprattutto Alessandro Clerici, Esmeralda Colombo, Sara Gianfelici, Elena Patanella, Chiara Sarchini. Per ulteriori informazioni cliccate qui.

 

Altre info alla paginahttp://wbyeats.wordpress.com/musicoliteraria/del Blog Irish Literature and other Literaria (http://wbyeats.wordpress.com/) 

Enrico Reggiani

Luca Negri si chiede cosa avrebbe detto Chesterton sul governo Monti

Qui la risposta.

Comunque è un'ottima scusa per parlare de I delitti dell'Inghilterra uscito da poco per Raffaelli con la traduzione della nostra amica Marica Ferri.

Ma attenti: non è solo quello...

http://www.loccidentale.it/node/111501

venerdì 18 novembre 2011

A Gennaio l'ordinariato cattolico per gli anglicani americani

In questo articolo dal Catholic Herald on line trovate un nuovo passo nell'applicazione dell'Anglicanorum Coetibus, il motu proprio di Papa Benedetto XVI per facilitare e regolare il ritorno a Roma di molti anglicani (continuiamo ad interessarci perché crediamo sia un tema molto chestertoniano, newmaniano e altro ancora...).

Il Cardinale Wuerl ha annunciato che il 1° Gennaio 2012 verrà creato il nuovo ordinariato per i fedeli episcopaliani (così si chiamano gli anglicani americani, per la cronaca). Tra gli altri 67 pastori anglicani hanno chiesto di entrarne a far parte.

Papa Brown... a Roma (giustamente!)

C'è un incontro che vi consigliamo di seguire, con due cari vecchi amici (uno è il nostro vicepresidente), su un godibilissimo volume che riguarda la creatura più nota del Nostro GKC (tra l'altro la copertina l'ha disegnata il nostro Raffaele Bruni, artista chestertoniano sambenedettese di lungo corso).

Andate, soprattutto i romani!



IL DESTINO di PADRE BROWN 
Venerdì 25 novembre 2011, ore 21
Centro Giovanile Giovanni Paolo II
Vicolo del Grottino 3/b (Metro Spagna) 
Interviene l’autore del libro
PAOLO GULISANO
Modera
Andrea Monda

giovedì 17 novembre 2011

Don Matteo di stasera mostra una copia di Padre Brown

La puntata di Don Matteo di stasera 17 Novembre 2011 ha mostrato, ci dicono, una copia di uno dei Padre Brown edizioni Morganti.

È già successo un'altra volta, in altre serie.

Conferma l'ispirazione che gli autori dicono di aver tratto dall'opera del Nostro.

Bene!

Chesterton è attuale - Mauro Bottarelli ricorda Il Napoleone di Notting Hill (a proposito del governo Monti)

Qui trovate citato ancora una volta il Nostro Chesterton (si tratta di un articolo sulla crisi e sul governo Monti di Mauro Bottarelli, da Il Sussidiario):

"Non so voi, cari amici, ma questi ultimi tre giorni mi hanno ricordato quello splendido libro che è “Il Napoleone di Notting Hill” di G.K. Chesterton, non tanto per la “deificazione del ridicolo” che in esso è contenuta, né per la sulfurea e iconoclasta intuizione di affidare alla sorte la formazione dei governi, ma per il bellissimo dialogo finale, in cui ci ricorda che, per diventare immortali, nella letteratura come nella realtà, bisogna morire per qualcosa e con onore".

Da Il Foglio di oggi 17 Novembre 2011

Pubblichiamo questo articolo per una serie di motivi: il primo (in ordine sparso, è ovvio) è che vi si cita il nostro Gilbert; il secondo è che Alessandro Gnocchi è nostro amico, l'articolo parla della morte del suo babbo Vittorino, avvenuta giorni fa, ed è un modo per esprimere il nostro affetto; il terzo è perché ciò che vuole comunicare è vero.

Il funerale latino negato
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro

Qui si parla di un fatto personale, ma il lettore non tema importune ondate emotive. Il vantaggio di lavorare in due è che uno racconta quanto gli è accaduto e l’altro ci mette le opinioni, così si salvaguarda il necessario distacco professionale.

Il fatto
Ci fosse stato il Peppone di Guareschi, mio padre avrebbe compiuto l’ultimo viaggio con la sua Messa, quella in latino ricamata di Oremus, Dominusvobiscum e Kyrieleison splendidi e secolari. Ma ci voleva giusto quel Peppone che, infischiandosene del consiglio comunale al completo, in piena Repubblica, come capo dei comunisti ordinò di portare al cimitero la vecchia maestra del paese nella bara coperta dalla sua bandiera, quella ricamata con lo stemma del re.
Purtroppo, mio padre non ha avuto la fortuna di morire sotto l’amministrazione del comunista Giuseppe Bottazzi. Mio padre è morto nella bianca e cattolica terra bergamasca, parrocchia di Sant’Andrea apostolo in Villa d’Adda. E così si è imbattuto in un certo don Diego, il quale non ha saputo che farsene della volontà di un defunto e neppure di quella della famiglia. Che poi quella volontà fosse legittima e sostenuta da un Motu proprio del Santo Padre ha contato meno di zero. Eppure il Motu proprio, l’ormai celebre quanto inapplicato “Summorum Pontificum” che regolamenta la celebrazione della Messa in rito gregoriano, all’articolo 5, paragrafo 3, parla chiaro: “Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi”.
Onestamente, va riconosciuto che il parroco non poteva essere toccato dal documento del Santo Padre dato che, candidamente, ha confessato di non conoscerlo. Così come non era al corrente del fatto che il testo applicativo del Motu proprio, l’istruzione “Universae Ecclesiae”, in simili casi invita il parroco a lasciarsi “guidare da zelo pastorale e da uno spirito di generosa accoglienza”.
Tutto inutile: “In curia mi hanno detto…”. E’ stato questo il filo conduttore delle discussioni con don Diego. Questi sacerdoti si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e come “autonomia”, e poi non sono in grado di opporsi al palese sopruso ordinato dall’alto perché “in curia mi hanno detto…”. Si riempiono il cervello e la bocca di parole come “libertà” e “autonomia”, denigrano un passato a loro dire prepotente e clericale e poi si prestano a calpestare la volontà di un morto e della sua famiglia, quella della Chiesa e del Santo Padre perché “in curia mi hanno detto…”. 
Da troppo tempo, nella diocesi di Bergamo, come in grandissima parte delle diocesi dell’Orbe cattolico, comanda dispoticamente l’autorità più prossima, quella che mette paura perché minaccia di intervenire direttamente sulle persone. Roma,  che sarebbe l’autorità suprema, non conta nulla. Da Bergamo a Piazza San Pietro ci vogliono un’ora di aereo e mezz’ora di taxi, ma è come se fosse su un altro pianeta. Il vescovo Francesco o chi per lui può ordinare ciò che vuole, in aperto contrasto con il Santo Padre, e non deve temere nulla.
Così, anche nella bianca terra bergamasca, il parroco raccoglie una richiesta dei suoi fedeli, la trasmette al vicario generale, il vicario generale si confronta con chi ritiene opportuno, poi, in nome e per conto del vescovo decide come agire e il parroco esegue. E, se si fa notare all’esecutore materiale la palese ingiustizia a cui si sta prestando, rispunta la solita spiegazione: “In curia mi hanno detto…”.
Il contrario sarebbe stato un miracolo troppo grande. Eppure don Diego, al primo incontro, aveva espresso una considerazione di assoluto buon senso e di naturale umanità: “Credo che davanti alla morte e per un funerale non ci siano problemi”. Ma, quando i problemi si sono manifestati in tutta la loro evidenza, ha tentato di dare veste teologica al sopruso con quanto gli hanno messo in testa in seminario sostenendo testualmente la seguente tesi: “Se ci fosse stata la richiesta, per esempio, di un rito bizantino, allora, in virtù dell’ecumenismo, si sarebbe fatto. Perché, in quel caso, io con il mio rito incontro te con il tuo rito e ci arricchiamo a vicenda. Ma voi chiedete un rito della Chiesa cattolica e siccome non concorda con lo stile celebrativo della comunità si può dire di no”. A questo proposito, va detto che lo “stile celebrativo” della comunità in oggetto, in materia di funerali, ha toccato uno dei suoi vertici con l’esecuzione di “C’è un grande prato verde dove nascono speranze” accompagnata dalle chitarre.
Naturalmente, su tutti i colloqui con il parroco aleggiava lo spirito del Vaticano II e la consegna di difenderlo a oltranza inculcata nell’animo dei poveri sacerdoti formati in questi decenni: “Perché voi dovete sapere che il Vaticano II…”, “Non vorrete mettere in dubbio il Vaticano II…”, “Dovete capire che la Chiesa, a partire dal Vaticano II…”, eccetera, eccetera.
Tutto quello che si è compreso da quello sproloquio sul Vaticano II è che mio padre, in nome del suddetto Vaticano II, non avrebbe avuto ciò a cui aveva sacrosanto diritto. Povero papà, troppo cattolico per usufruire almeno delle attenuanti generiche previste dall’ecumenismo, delle quali, oltre tutto, giustamente non avrebbe voluto saperne. Così come non avrebbe saputo che farsene della “Messa con la condizionale” proposta in extremis dalla curia per interposto parroco: Messa in latino sì, ma in una chiesa di Bergamo deputata a mezzo servizio a tale rito. Più che una mediazione, il tentativo di sgravarsi la coscienza potendo far ricadere la colpa di “aver preteso troppo” su una famiglia che invece non ha acconsentito a chiedere niente di meno del giusto. Un sopruso nel sopruso che avrebbe costretto mio padre a una Messa semiclandestina, a venti chilometri dalla parrocchia per cui ha lavorato una vita intera e in cui avrebbe invece avuto il sacrosanto diritto che venisse concesso ciò che aveva chiesto. In tal modo, salvo pochi intimi, nessuno avrebbe visto nulla e la comunità, nuova divinità del pantheon neocattolico, non sarebbe lesa nel suo “stile celebrativo”. 
Perché la vera ragione pastorale del divieto l’ha spiegata bene don Diego: “Se la Messa viene concessa qui, poi bisogna concederla anche dalle altre parti”. Insomma, bisogna evitare il contagio. Ma mio padre, anche se non ha compiuto l’ultimo viaggio con la sua Messa, continua a essere contagioso: si chiama Vittorino Gnocchi e sono orgoglioso di lui.
Le opinioni
Andare contro le volontà di un defunto è atto che richiede argomenti fortissimi. Sì può farlo, quando il morto chiede cose impossibili, o bislacche, o sconvenienti, o contro legge. Ma ci vuole sempre un motivo oggettivo per tradire le sue attese, un motivo che metta al riparo dal sospetto di compiere una prevaricazione irreparabile e particolarmente odiosa. Il sopruso consumato dai vivi contro i morti. Infatti, il de cuius  non può difendersi, non può ricorrere in appello, non può chiedere aiuto. Ciò basta a spiegare perché di norma le ultime volontà siano eseguite con particolare fedeltà: esse sono sacre.
Ora, si tratta di capire se un cattolico che chiede un funerale con la Messa Antica, stia pretendendo qualche cosa di impossibile, o di bislacco, o di sconveniente, o contro legge. La risposta è molto semplice: il Papa felicemente e faticosamente regnante ha scritto di sua iniziativa, in totale libertà e in pieno possesso delle sue facoltà mentali, che un cattolico può eccome chiedere e ottenere un rito funebre che è ancora pienamente legittimo nella Chiesa, e che nella Chiesa è stato utilizzato per accompagnare al camposanto milioni di fedeli per centinaia di anni. Il Motu Proprio Summorum Pontificum non lascia scampo ad alcuna interpretazione di segno opposto. Sotto il profilo del diritto della Chiesa cattolica, il diritto canonico, non si capisce come sia possibile rifiutare di adempiere a una simile richiesta, soprattutto quando sia perfettamente possibile adempierla. Nel caso specifico, il sacerdote in grado di celebrare in quella forma era stato subito trovato – ché molti preti oggi non sono più capaci di celebrare secondo il rito antico – e i familiari non avevano espresso la benché minima riserva sull’argomento, ma anzi condividevano l’istanza del defunto.
In questa tristissima storia c’è un lato grottesco e insieme paradossale: il dispregio dimostrato dal clero interpellato nei confronti  dell’autonomia del singolo. A partire dal 2008, la Conferenza Episcopale Italiana ha “aperto” la strada – per voce del suo autorevole presidente – alle cosiddette “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento”, le ormai famose DAT: un documento scritto nel quale la persone dice quali trattamenti sanitari intende o non intende ricevere, qualora cada in stato di incoscienza. A noi (e anche al direttore di questo giornale) queste DAT non piacciono, perché offrono un comodo scivolo alla cultura eutanasica. Ma ai fini del nostro ragionamento, la “svolta” della Cei sulle DAT serve a dimostrare che nella cultura contemporanea tutti – e la Chiesa stessa – riconoscono un valore molto importante alla volontà espressa da ogni singola persona. Questa volontà non può essere arbitraria, ma se è conforme al bene deve essere assecondata.
Ora, il paradosso del “caso Gnocchi” sta in questo fatto: se un fedele chiede, attraverso la voce di suo figlio, un funerale secondo il rito tridentino, non viene esaudito. Se invece redige le DAT rifiutando magari certe cure, agisce in conformità alla Conferenza Episcopale Italiana. Che cosa deve fare, allora, un cattolico, per ottenere quello che il Papa ha stabilito come suo pieno diritto? Forse deve chiedere le esequie in forma antica redigendo le DAT e consegnandole al parroco finché è in grado di farlo.
Dunque, nel “caso Gnocchi” è stato consumato un sopruso. Ma il movente qual è? Niente di personale: non c’era l’intenzione di nuocere alla persona e alla famiglia. Il punto è un altro: fare resistenza all’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, ostacolando in ogni modo le celebrazioni nella forma antica. In questo, come in molti altri casi, si è voluto colpirne uno per educarne cento. Ciò che fa paura a certi ambienti cattolici non è la celebrazione sporadica della Messa di San Pio V: si potrebbe in fondo tollerarla come folkloristica manifestazione di nobili decaduti un po’ snob e vecchie dame velate di nero. La preoccupazione è un’altra: e cioè che, cedendo nel singolo caso, la prassi dilaghi. E che, a quel punto, non il signor Vittorino Gnocchi di Villa d’Adda, ma decine, centinaia di fedeli mettano nero su bianco le loro DAF, le Dichiarazioni Anticipate di Funerale. E che parrocchie e diocesi, per rispetto verso i fedeli defunti e per ossequio verso il Papa vivente, siano costrette ad abbozzare e a lasciar celebrare. A questo punto, il “contagio” sarebbe incontrollabile: altri fedeli, partecipando a funerali esteticamente belli e dignitosi, resterebbero colpiti favorevolmente, e direbbero: “lo voglio anche io”. Altri fedeli, incuriositi dall’originale stile liturgico, si avvicinerebbero alla Messa di San Pio V, e alcuni magari inizierebbero a frequentarla. Sarebbe la realizzazione su scala planetaria di quella “democrazia dei defunti” di cui parla G.K. Chesterton, in base alla quale hanno diritto di voto anche i morti, quando si deve decidere qualcosa di veramente importante. Insomma: un vero disastro. Un disastro, s’intende, dal punto di vista di chi vuole seppellire per sempre l’antico rito. 
Quello che abbiamo appena scritto non appartiene al genere letterario della dietrologia o della complottistica, ma nasce dalla constatazione che esiste nella Chiesa cattolica un ampio fronte che non ha mai digerito le decisioni di Benedetto XVI sulla Liturgia. E che non ne fa mistero. Il Papa celebra il nuovo rito sempre con un crocifisso sull’altare e una fila di candelabri, e distribuisce la comunione sulla bocca di fedeli inginocchiati, affiancati da chierichetti con il piattino. Bene: nella quasi totalità delle chiese del mondo il clero fa esattamente il contrario, altari (e chiese) senza Crocifisso, particole nelle mani dei fedeli, inginocchiatoi al rogo e piattini chiusi negli armadi. E buona notte al Primato di Pietro.
Sul fronte della Messa Antica, le barricate sono ancora più alte e il fuoco “amico” – si fa per dire – è fitto e spietato. Al punto che non poche diocesi si sentono autorizzate ad agire in spregio alle indicazioni che provengono da Roma. Nel “caso-Gnocchi”, il parroco è stato raggiunto tempestivamente da una telefonata dell’ Ecclesia Dei, organismo istituito in Vaticano per occuparsi della spinosa materia. Una volta di diceva: Roma locuta, causa soluta. E invece non è bastato l’intervento telefonico dal Vaticano a sgomberare il campo dagli ostacoli opposti alla celebrazione del funerale vecchio stampo: i motivi pastorali, la volontà del vicario episcopale, e via cavillando in un crescendo ben più intricato del latinorum di don Abbondio. Dove si vede un ulteriore paradosso della Chiesa post conciliare: le diocesi agiscono in una sorta di semifederalismo dottrinale e gerarchico, nel quale Roma non comanda più. E dove un qualunque prete di provincia conta di più della Commissione Pontificia Ecclesia Dei. Così può accadere, come è accaduto a Napoli qualche giorno prima del “caso Gnocchi”, che un fedele chieda il funerale in rito antico e si senta rispondere che no, non potrà averlo in quella parrocchia perché non frequentava la tal parrocchia. Dal che si potrebbe desumere che allora la Chiesa stia per escludere dal funerale tutti i cattolici che, a suo insindacabile giudizio, ritiene tiepidi e non praticanti: cosa che, nei fatti, grazie a Dio non risulta. E anzi, assai ampia si è fatta la porta che oggi accoglie chiunque richieda esequie religiose, in nome del dialogo e della tolleranza. Gli unici che sembrano non meritare tale attenzione pastorale sono i cattolici pacelliani, quelli insomma che amano la tradizione e che vorrebbero un funerale nel rito di sempre. Tutto qui.