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giovedì 16 giugno 2011

Ma Chesterton era o no un conservatore? - La risposta di Matteo Donadoni



CHESTERTON ERA UN CONSERVATORE?
(OVVERO RIFLESSIONE SU CONSERVAZIONE ED INNOVAZIONE)


<<Il fatto che "Dio guardò tutte le cose e vide che erano buone" contiene una sottigliezza che sfugge al normale pessimista, forse troppo frettoloso per farci caso. È la teoria che non esistono cose sbagliate, ma solo modi sbagliati di usare le cose. Se volete, non ci sono cose cattive, ma soltanto cattivi pensieri e soprattutto cattive intenzioni>>.
Gilbert Keith Chesterton, San Tommaso d'Aquino.

Lo confesso, ho “Il Profilo della Ragionevolezza” da 5 mesi colpevolmente e manchevolmente chiuso nel cassetto, ma, da quel poco che ho letto in proporzione alla colossale produzione chestertoniana, mi sono fatto un'idea: Chesterton è cattolico, stop.
Ma cosa vuol dire essere conservatori o progressisti?
Credo sia necessario riflettere sul significato originario della parola “conservatore”, che a mio avviso ha mutato certamente significato in senso politicizzato nell’immaginario collettivo.
Mi spiego con un esempio: privatizzare la gestione del sistema idrico per migliorarne il servizio ed abbattere gli sprechi è un cambiamento teso a migliorare la situazione precedente, dunque di per sé una misura progressista. Il capitalismo, infatti, è progressista, il suo è un progresso unicamente materiale, ma sempre riconducibile ad un’idea di progresso. Tuttavia, se i partiti tradizionalmente d’ispirazione progressista rifiutano la suddetta misura in loco della precedente gestione statale, conservando quindi lo status quo, sembrano ribaltare la situazione, con il risultato che i progressisti del momento sono avvertiti come conservatori e viceversa, tutto nella più grande confusione intellettuale dei semplici.

Essere conservatori significa tendenzialmente mantenere quanto di buono ha conservato la tradizione, quanto l’esperienza degli avi ha ritenuto valido.

Di fronte a ciò è possibile assumere due atteggiamenti:
1.     ottusità: posizione di rifiuto aprioristico nei confronti del nuovo, di qualsiasi nuovo, anche se positivo e valido.
2.     ragionevolezza: si tende a mantenere lo status quo fino alla dimostrazione che il cambiamento ha dei ragionevoli vantaggi, che, soppesati con i possibili danni, giustifichino l’effettivo miglioramento della situazione, qualsiasi essa sia. (In questo senso GKC era conservatore).

Mentre essere “progressisti” significa voler sempre innovare e cambiare le condizioni in cui si viene ad essere in nome del progresso, la qual cosa di per sé sarebbe naturale, lo dimostra lo sviluppo storico del genere umano e della civiltà, almeno quella occidentale. Tuttavia, spesso si viene a creare una distorsione nel concetto naturale di quello che sarebbe meglio definire sviluppo, e cioè un tendenziale miglioramento globale – materiale e culturale – delle condizioni di vita per l’uomo (in questo senso GKC era innovatore). Lo sviluppo viene definito soprattutto in ambito anglosassone genericamente “progresso”, oltretutto inteso in quell’ottica riduzionistico-scientista per cui, per il solo fatto che un’innovazione esiste a livello teorico, allora deve essere messa in pratica, e quindi essere nella condizione mentale di incondizionata fiducia nel fatto che il nuovo sia ipso facto migliore del vecchio.

Penso che Chesterton abbia accolto favorevolmente lo sviluppo civile, ma non il progresso tecnico tout court.  Come sembrerebbe dimostrare in Fancies versus Fads: “La fatale metafora del progresso, che significa lasciare le cose dietro di noi, ha assolutamente oscurato la vera idea di crescita, che significa lasciare le cose dentro di noi”. E per quanto riguarda le problematiche legate alla comodità di un progresso materiale sganciato dalla ragionevolezza: “Prendete un caso visibilissimo: le strade sono piene del rumore dei taxi e delle automobili, dovuto non all'attività, ma al riposo umano. Ci sarebbe meno trambusto se ci fosse più attività: se la gente semplicemente andasse a piedi. Il nostro mondo sarebbe più silenzioso se fosse più energico” (Ortodossia).

Ma il passo in cui si legge chiaramente l’intima convinzione del geniale autore inglese, il quale era sia conservatore (la fede, i valori e la filosofia della tradizione) che progressista (fiducia nel futuro, lo sviluppo che da fede, valori e filosofia della tradizione è generato), ovvero nessuno dei due, ma semplicemente cattolico distributista, è tratto da Illustrated London News, del 19 Aprile 1924:

“Tutto il mondo moderno si è diviso in conservatori e progressisti. L'attività dei progressisti è quella di continuare a fare errori. L'attività dei conservatori è quella di evitare che gli errori siano corretti”.

Matteo Donadoni



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