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venerdì 31 dicembre 2010

Newman dalla penna del nostro Angelo Bottone sull'Agenzia SIR

Benedetto XVI, ripercorrendo nel tradizionale discorso alla Curia Romana l'anno appena trascorso, è tornato a parlare del suo "indimenticabile viaggio nel Regno Unito", viaggio inizialmente segnato di timori ma che si è poi rivelato fruttuoso e ricco di soddisfazioni. Il Santo Padre ha voluto ricordare in particolare l'evento che ha contraddistinto non solo il viaggio ma probabilmente l'intero anno: la beatificazione del cardinale John Henry Newman.
Due aspetti del neo-beato sono stati sottolineati nel discorso alla Curia, la riflessione sulla coscienza e le sue conversioni. L'intera vita di Newman è stata un cammino di conversione guidato dalla coscienza intesa nel duplice senso di capacità di riconoscere il bene e spinta a compierlo. "Coscienza è capacità di verità e obbedienza nei confronti della verità", ha ricordato Benedetto XVI e, pertanto, impone a tutti "il dovere di incamminarsi verso la verità, di cercarla e di sottomettersi ad essa laddove la incontra". Coscienza e conversione sono strettamente legate perché l'una indica la strada all'altra. 
Nel Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, scritto proprio nel periodo che ha preceduto il suo accoglimento nella Chiesa cattolica, Newman scriveva che vivere è cambiare ed essere perfetti è aver cambiato spesso. La verità ci è data a conoscere nella storia e questa conoscenza si compie necessariamente attraverso uno sviluppo. Ma come distinguere lo sviluppo autentico di una dottrina da una sua deviazione? Questa domanda aveva per il teologo inglese una valenza non solo teoretica ma esistenziale, infatti il grande amore per la verità lo stava portando a mettere in discussione la Chiesa anglicana nella quale era cresciuto e che si era impegnato a servire. La stessa domanda, d'altronde, se la pone chiunque si trovi a far conto con il tempo che passa e, esaminando la propria coscienza, si chiede se ci sono stati nella propria vita dei miglioramenti, una trasformazione positiva. 
Come risposta Newman elaborò una sua teologia della storia, formulando dei criteri con i quali poter operare una distinzione tra sviluppi dottrinali autentici e distorsioni. Quello che è forse il suo maggiore contributo alla teologia gli provocò però incomprensioni e diffidenze. Infatti il difficile equilibrio, discusso in diverse opere, tra la necessità di cambiare e il pericolo di tradire le proprie origini, toccava il cuore stesso della fede cristiana, attirando il sospetto di quanti non erano abituati al suo argomentare. Come ha ricordato Benedetto XVI nel discorso alla Curia Romana, "nella teologia cattolica del suo tempo, la sua voce a stento poteva essere udita. Era troppo aliena rispetto alla forma dominante del pensiero teologico e anche della pietà. Nel gennaio del 1863 scrisse nel suo diario queste frasi sconvolgenti: 'Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione'. Non era ancora arrivata l'ora della sua efficacia. Nell'umiltà e nel buio dell'obbedienza, egli dovette aspettare fino a che il suo messaggio fosse utilizzato e compreso". 
Grazie alla beatificazione, il 2010 ha visto una riscoperta di Newman. Quale messaggio per il futuro ci ha consegnato? Egli è stato definito uno dei padri del Concilio Vaticano II e può ancora oggi illuminare la Chiesa postconciliare nell'affrontare il problema di come riconoscere e preservare l'essenziale senza trascurare il sempre necessario aggiornamento. Dalla vita del beato Newman possiamo trarre due insegnamenti fondamentali: l'amore per la verità e il coraggio di seguirla ovunque si mostri, anche a costo di rompere con la propria tradizione. 
Newman però parla oggi non solo alla Chiesa o ai teologi ma anche ai singoli fedeli. L'inizio dell'anno è sempre tempo per nuovi buoni propositi. Quale migliore proposito possiamo darci se non quello della conversione del cuore, seguendo l'esempio del neo-beato? Ascoltiamolo, nelle parole di un sermone predicato nel periodo anglicano, dal titolo La testimonianza della coscienza: "Cos'è quindi quello che manca a noi, che professiamo la religione? Lo ripeto: ci manca la disponibilità ad 'essere cambiati'. La disponibilità a sopportare (se posso usare questa parola) che Dio onnipotente ci cambi. Non ci piace abbandonare il nostro vecchio io e, in tutto o in parte, nonostante ci sia offerto gratuitamente, rimanendo attaccati al nostro modo di vedere e di agire. Ma quando qualcuno si rivolge a Dio per essere salvato, secondo me, l'essenza della vera conversione è consegnare se stessi, senza riserve, senza condizioni. Questa però è un'affermazione che molte persone che si volgono a Dio non riescono ad accettare. Desiderano essere salvate, ma a modo loro; desiderano arrendersi alle loro condizioni, portar via con sé i propri beni; il vero spirito di fede, al contrario, porta una persona a staccare lo sguardo da se stessa, per volgerlo verso Dio, la porta a non preoccuparsi dei propri desideri, delle proprie abitudini, della propria importanza o dignità, dei propri diritti o opinioni, fino a poter sinceramente dire: 'Parla, o Signore, perché il tuo servo ti ascolta' (1 Sam 3,9). Il profeta Isaia dice: 'Eccomi, manda me!' (Is 6,8). E ancora più pertinenti sono le parole di san Paolo quando fu fermato sulla via di Damasco, dalla visione miracolosa: 'Signore, che cosa vuoi che io faccia?' (At 22,10). Questa è la vera voce di chi si consegna totalmente: 'Signore, che cosa vuoi che io faccia? Conducimi secondo la tua volontà; comunque sia, piacevole o dolorosa, io la farò'".

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