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venerdì 10 settembre 2010

La recensione di Eretici scritta da Andrea Monda sull'Osservatore Romano

ERETICI, G.K.Chesterton, Lindau, 2010, pp.254 – di Andrea Monda

Il titolo fa un po’ impressione e ne fece anche quando uscì in Inghilterra nel 1905: Eretici un termine col quale lo scrittore inglese intendeva polemizzare con quelle persone della cultura del suo tempo che “avevano l’ardire di non essere d’accordo con lui”, da Bernard Shaw a H.G.Welles a Rudyard Kipling. Come spiega meglio nel primo capitolo, Chesterton voleva “dibattere con i miei più illustri contemporanei, non da un punto di vista personale o meramente letterario, ma in relazione al vero corpo della dottrina che insegnano”; in altre parole ciò che gli preme è “la necessità di tornare alle questioni fondamentali” mentre quello che vorrebbe fuggire è la discussione come chiacchiera, come vago dialogo sulle cose meno importanti che però, nell’Occidente all’inizio del XX secolo, sono diventate le uniche su cui si può discutere senza scandalizzare o offendere qualcuno. Chesterton, che anche a livello fisico ricordava un pachiderma, si muove come un elefante in un negozio di cristalleria: nell’Europa del 1905 (l’anno delle leggi francesi sulla laicità dello Stato) in cui Dio era stato estromesso dall’orizzonte del pensiero, della scienza e del dibattito pubblico, non ci pensa due volte a bollare come eretici chi si aggioga a questo andazzo di progressiva superficialità per cui “Le teorie generali sono ovunque disprezzate […] Oggi lo stesso ateismo è troppo teologico per noi. […] In arte, in politica, in letteratura non facciamo che discutere di dettagli. L’opinione di un uomo sui tram è importante; la sua opinione su Botticelli è importante; la sua opinione sul tutto è irrilevante. […] Tutto è importante, tranne il tutto.”.

Chesterton vuole proprio parlare del “tutto”, in questo è ostinato: “Vi sono tuttavia delle persone, me compreso, che pensano che la cosa più pratica e importante di un uomo sia ancora la sua visione dell’universo. Pensiamo che per una padrona di casa che debba decidere se accettare un inquilino, sia importante conoscerne il reddito, ma ancora più importante conoscerne la filosofia”.

Da qui la sfida che il giovane e geniale saggista londinese (che ancora non ha pubblicato i suoi romanzi più famosi, da L’uomo che fu Giovedì a Le avventure dell’uomo vivo fino alla serie di racconti di Padre Brown) pone ai suoi contemporanei: “Quel che mi interessa del signor Rudyard Kipling non è la sua figura di brillante artista o la sua esuberante personalità, ma il suo essere Eretico, ossia un uomo la cui visione delle cose ha l’ardire di differire dalla mia. Quel che mi interessa del signor Bernard Shaw non è il fatto che sia uno degli uomini più geniali e onesti che esistano, ma il suo essere Eretico, ossia un uomo la cui filosofia è molto valida, molto coerente e molto sbagliata”.

Un Chesterton aggressivo quindi che, lancia in resta, parte per la sua battaglia per lo splendore della verità contro il grigiore delle opinioni. Quattro anni prima con The Defendant, in italiano suggestivamente tradotto con Il bello del brutto, egli aveva difeso l’indifendibile (gli scheletri, i racconti polizieschi…), ora invece passa all’attacco per scovare il brutto del bello: riconosce la grandezza dei suoi interlocutori, ma ne rivela la fallacia del fondamento filosofico. Il terzo atto di questa disfida tra Gilbert Keith Chesterton e il mondo moderno sarà il saggio successivo, Eretici ebbe infatti un certo clamore e qualcuno chiese al polemista di specificare la sua “ortodossia”, cioè la dottrina in base alla quale aveva condannato quelle personalità: nacque nel 1908, Ortodossia, il capolavoro dell’opera saggistica del grande GKC (la sigla con cui lo scrittore era noto e contrapposto a GBS, ovvero George Bernard Shaw).

Dopo centocinque anni Eretici dunque ritorna nelle librerie italiane e viene da chiedersi se ancora ha conservato intatta la sua forza scandalosa e dirompente. E la risposta, purtroppo, non può che essere positiva: l’analisi acuta e senza sconti di Chesterton sulle “eresie” di un secolo fa, si può tranquillamente applicare alla società occidentale all’alba del terzo millennio. L’ideale sottotitolo di questo singolarissimo saggio potrebbe essere “elogio della ragione” (poi si vedrà in Ortodossia come questo elogio deve essere equilibrato e mitigato): la riflessione che sta sotto tutti i capitoli di Eretici verte sul fatto che la ragione è un dono troppo grande che non si può rifiutare, trascurare, accantonare. Quando l’uomo smette di pensare e di appassionarsi alle questioni fondamentali ecco che diventa, paradossalmente, fondamentalista. L’amputarsi della ragione rende l’uomo inevitabilmente più violento. Ai suoi contemporanei spaventati dalla potenza del pensiero umano, Chesterton ricorda che senz’altro “Le idee sono pericolose, ma l’uomo per cui sono meno pericolose è l’uomo di idee. Egli ha familiarità con le idee e si aggira tra di esse come un domatore di leoni. Le idee sono pericolose, ma l’uomo per cui sono più pericolose è l’uomo privo di idee. L’uomo privo di idee scoprirà che la prima idea gli darà alla testa come il vino dà alla testa a un astemio”. Saggio “filosofico” sull’importanza della filosofia, Eretici di Chesterton è un testo non di facile lettura, un duro “allenamento” per l’intelligenza del lettore ma ricchissimo di spunti formidabili e di pagine memorabili (come quella sul tema della famiglia come argomento letterario) che, tra l’altro, già rivelano in controluce la futura conversione al cattolicesimo dell’autore. A mo’ di campione e di conclusione, sia sufficiente questa immagine che Chesterton regala al lettore, mentre disputa con Shaw, sulla realtà misteriosa della Chiesa fondata da Cristo:

Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fon­date sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite.

Quando, in un momen­to simbolico, stava ponendo le basi della Sua grande società, Cristo non scelse come pietra angolare il geniale Paolo o il mistico Giovanni, ma un imbroglione, uno snob, un codar­do: in una parola, un uomo. E su quella pietra Egli ha edi­ficato la Sua Chiesa, e le porte dell’Inferno non hanno pre­valso su di essa.

Tutti gli imperi e tutti i regni sono crollati, per questa intrinseca e costante debolezza, che furono fon­dati da uomini forti su uomini forti. Ma quest’unica cosa, la storica Chiesa cristiana, fu fondata su un uomo debole, e per questo motivo è indistruttibile. Poiché nessuna catena è più forte del suo anello più debole.”

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