Discutere sul metodo abortivo è come discutere su quale solitudine sia la migliore
28 aprile 2010 Il Foglio Online - di Carlo Bellieni
Donna italiana, donna libera? E più libera con la RU? La libertà di scelta procreativa è al centro del dibattito su aborto e pillola RU486. O meglio: la libertà femminile decisa a tavolino. Già, perché per essere liberi bisogna esserlo in prima persona, ben informati e senza coercizioni, e la donna italiana – e quella in genere occidentale – è davvero libera in quest'ottica? Vediamo. Forse sarebbe meglio sentire la voce delle donne, per capire in che senso vogliono esercitare la loro libertà. Ma le ascoltano? Le donne, quando intervistate dopo un aborto, spiegano di gradire la pillola abortiva meno dell'intervento chirurgico (Health Technology Assessment, novembre 2009) e solo il 53 per cento delle donne che hanno abortito con la pillola la riprenderebbe per abortire, contro il 77 per cento delle donne che hanno abortito chirurgicamente che ripeterebbero l'aborto nella stessa maniera (British Journal of Obstetrics and Gynecology, 1998).
Ma anche l'aborto chirurgico non sembra essere una loro aspirazione, dato che poi risentimenti psicologici, a quanto riporta la rivista Lancet del 2008, non sono presenti in misura minore in quelle che hanno abortito il figlio indesiderato rispetto a quelle che invece lo hanno "tenuto". Come libertà non c'è male. Ma cosa dire sulla coercizione, quando un gruppo di psicologi dell'Ohio nel luglio 2009 ha pubblicato uno studio in cui si dimostra che l'atteggiamento del partner è fondamentale nella scelta di abortire, che a questo punto più che una scelta sembra spesso un'imposizione? Non è un'osservazione da poco: mostra come il passo fondamentale per l'aborto è la solitudine, non la libertà. E allora discutere sul metodo abortivo è discutere su quale solitudine sia la migliore. Il fil rouge della libertà femminile rivela forti sorprese anche quando socchiudiamo la porta della diagnosi prenatale: lo screening di massa per la sindrome Down è stato introdotto in Francia, secondo studi di Carine Vassy, senza analizzare il parere delle donne, che ne risultano solo fruitrici passive e non attive richiedenti, e quasi la metà delle donne, per uno studio scandinavo del 2006, ignora la possibilità di falsi positivi o negativi negli screening genetici e i rischi legati all'amniocentesi.
Libertà? Ma c'è altro: in occidente si persegue culturalmente una politica del figlio unico che differisce nei mezzi ma non nei risultati e nella pervicacia da quella cinese, proprio mentre l'Istat mostra che le adolescenti italiane vorrebbero una famiglia numerosa, ma poi si riducono a fare un solo figlio (le più audaci arrivano a due). Libera scelta o imposizione sociale? Per non parlare poi dell'età a cui la donna inizia ad esser libera di cercare di procreare, che stranamente coincide con l'età in cui i figli in pratica non arrivano più: anche questa una libera scelta? Una spia di questa libertà fraintesa è l'imbarazzo con cui negli ambienti "evoluti" si parla (anzi, si tace) dell'aborto selettivo in base al sesso, che nella maggioranza dei casi elimina feti femmine: non esistono più motivi per ribellarsi una volta stabilito il dogma che nessuno può sindacare le ragioni di un aborto; ma eliminare un feto perché femmina è una libera scelta della donna o un atto di autoflagellazione di "genere"?
Leggendo i quotidiani beninformati, sembra che il problema della pillola abortiva sia se dare o non dare alle donne la libertà (di abortire), come se abortire fosse una scelta libera. Ma non lo è, perché scegliere in condizioni drammatiche, senza alternative, spesso nell'abbandono e nella coercizione è tutto tranne che libertà. Così come, spostando di poco la mira, non è libertà dar mille modi anticoncezionali, cioè auto somministrazione di ormoni per anni e anni, senza dare altrettanti sistemi per far famiglia al momento giusto. Si potrà rispondere che libertà è fornirli entrambi e lasciar scegliere. Ma oggi si fornisce solo la prima opzione, con la prospettiva riproduttiva di rimandare e rimandare finché si decide che arriva il momento buono… quando i figli non arrivano più (quadro sconfortante ma realistico).
Allora, libertà vera e libertà per tutti: chi ne ha il dovere culturale ed economico, dia alle donne i mezzi reali per realizzarsi, e non si senta l'animo politicamente a posto dopo aver dato le chiavi della stanza delle Ivg, e chi difende la donna ricordi – perché lo sa – che non può più negare l'umanità e la vita del feto; chi difende il feto d'altronde ricordi bene che la prima garanzia per il bimbo è il benessere della mamma. E dare libertà a tutti significa non "pensare" una libertà a tavolino quando si parla di aborto, escludendo quella di chi non può esprimersi (il feto) e surclassando paternalisticamente quella di chi si vorrebbe esprimere (la donna) ma per la quale si parlano – e con che verve! – i media alla moda.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
Come diremmo a San Benedetto del Tronto:
RispondiElimina"Me Sà rrevetate lu monne!"
Ovvero: "il mondo si è rivoltato"; allora, come diceva il nostro Chesterton, per capirlo occorre mettersi a testa in giù!