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lunedì 1 marzo 2010

Manifestazioni e digiuno dei cristiani irakeni contro le uccisioni e il “ghetto” di Ninive

Diamo voce ai nostri fratelli irakeni. Diffondiamo queste notizie, rompiamo l'omertà della informazione ufficiale.



Raduni, preghiere e digiuni in tutto l’Iraq contro le “uccisioni mirate”. Arcivescovo di Mosul: chiediamo sicurezza e indagini sugli autori delle stragi.
Arcivescovo di Kirkuk: la comunità musulmana deve reagire e fornire iniziative concrete. Ausiliare di Baghdad: rischiamo l’olocausto, questo è un momento fondamentale.


Baghdad (AsiaNews) – Manifestazioni di piazza a Mosul e Baghdad, un digiuno e una veglia di preghiera a Kirkuk, appelli per la fine delle “uccisioni mirate” e il secco “no” – a una sola voce – contro il progetto di “ghettizzare” i fedeli nella piana di Ninive. Leader cristiani, vertici della Chiesa locale e tantissimi fedeli rilanciano il grido d’allarme contro il “massacro dei cristiani irakeni” e la fuga di centinaia di famiglie da Mosul, vittime di un conflitto politico ed economico fra arabi e curdi che rischia di svuotare il Paese della loro presenza.

All’indomani dell’appello lanciato da papa Benedetto XVI all’Angelus – fonte di “consolazione e fiducia”, commentano i leader cristiani – AsiaNews ha interpellato mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk e mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad, in un momento “cruciale” per il futuro della comunità irakena.

Mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, conferma che negli ultimi giorni centinaia di famiglie hanno abbandonato la città. Circa 600 per un totale di oltre 4mila persone secondo un rapporto Onu. “La situazione si è calmata – riferisce il prelato – e l’esodo è molto più lento. Le nostre stime parlano di circa 400 famiglie fuggite”, ma la realtà rimane comunque preoccupante. Ieri migliaia di fedeli a Mosul sono scesi in piazza per manifestare contro le violenze. La comunità ha risposto in maniera “positiva”, commenta il prelato, e “l’iniziativa è andata molto bene”.

I cristiani hanno ricevuto messaggi di solidarietà e affetto, ma resta il problema legato alla sicurezza. “Al governo centrale e ai responsabili locali – afferma mons. Nona – chiediamo due cose: più sicurezza per la comunità e indagini precise, che diano risposte concrete sui chi sono i mandanti e gli autori dei massacri. Sarebbe un segnale forte per i fedeli, una testimonianza che non sono soli e abbandonati al loro destino”.

Oggi a Kirkuk la comunità cristiana ha indetto una giornata di digiuno. Alle 5 del pomeriggio è in programma una veglia di preghiera comune, alla quale partecipano solo i cristiani per evitare “strumentalizzazioni politiche” alla vigilia delle elezioni, in programma il 7 marzo prossimo. “Il governo ha condannato gli attacchi – riferisce mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk – e anche i leader musulmani, perché sottolineano che ‘questo non è l’islam’. Ma alle parole siamo ormai abituati, vogliamo risposte concrete”. Il prelato è durissimo: “è una vergogna che in una città come Mosul, di un milione di abitanti, nessuno ha parlato in maniera forte del massacro dei cristiani”.

Tuttavia, mons. Sako non perde la speranza per il futuro, e spiega che “è importante” che tutti i cristiani siano “contrari al progetto della piana di Ninive”, sebbene finora i vertici e i partiti hanno mostrato più di una debolezza e contrasti interni. “Bisogna essere uniti – ribadisce – perché è una trappola”. Un digiuno, la veglia comune di preghiera, bandiere e cartelli disseminati per la città che chiedono la “fine del massacro” e l’urgenza di promuovere il concetto di unità nazionale, unica via per riportare pace e sicurezza nel Paese. “L’iniziativa di oggi è rivolta solo ai cristiani – spiega mons. Sako – per evitare una politicizzazione della manifestazione. Finora la comunità musulmana è rimasta in silenzio contro i massacri, ora deve ‘reagire’ e avviare iniziative in prima persona”. Vi sono in gioco lotte di potere, conclude l’arcivescovo, in cui non vogliamo entrare; al contrario, "ci battiamo per la pace in Iraq”.

Ieri anche nella capitale dozzine di persone hanno manifestato contro le esecuzioni mirate, chiedendo al governo centrale garanzie per la sicurezza. Mons. Shlemon Warduni parla di “attacchi ben organizzati” contro i cristiani, vittime di “una politicizzazione del conflitto” fra arabi e curdi. “Rischiamo l’olocausto” afferma il prelato, secondo cui “non basta il conforto e la solidarietà della gente comune, anche dei musulmani”, se dalle personalità politiche e dal governo non arrivano risposte concrete. L’ausiliare di Baghdad è contrario al progetto della piana di Ninive e precisa: “non ci fermeremo… vivi o morti, questo è un momento fondamentale”.

Il prelato riferisce “l’incoraggiamento e la solidarietà” ricevuta da capi tribù e dalla gente semplice, per i quali “un Iraq senza cristiani non vale niente”. Tuttavia, mons. Warduni auspica risposte concrete dal governo, dalla classe politica, dai media che devono riportare “il nostro grido d’allarme”. In questi giorni il patriarca Emmanuel Delly è a Mosul per portare conforto ai familiari delle vittime e incontrare i vertici della politica locale. Attraverso AsiaNews l’ausiliare di Baghdad vuole infine ringraziare Benedetto XVI per l’appello lanciato ieri all’Angelus a favore dei cristiani irakeni. “È incoraggiante sentirlo così vicino – conclude mons. Warduni – ed è fonte di conforto per tutti i fedeli. Le sue parole sono fonte di consolazione e fiducia per il futuro”.(DS)

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