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sabato 27 febbraio 2010

Un aforisma al giorno

"Diventare cattolici non significa smettere di pensare ma imparare a
farlo".

Gilbert Keith Chesterton, La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità
si danno appuntamento.

Il Sussidiario sui convertiti

In questo collegamento trovate una intervista a Lorenzo Fazzini, autore di un interessante volume sui convertiti al cattolicesimo edito da Lindau, in cui si cita anche il nostro caro Gilbert.

venerdì 26 febbraio 2010

Vescovo di Mosul: Emergenza umanitaria. Centinaia di famiglie cristiane in fuga dalle violenze


Mons. Nona racconta di una “Via Crucis che non finisce mai”. L’arcidiocesi soccorre i profughi con generi di prima necessità, ma “la situazione è drammatica”. Il prelato andrà a Baghdad per chiedere l’intervento del governo centrale. Mons. Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare una “manifestazione e un digiuno” per ricordare “il massacro dei cristiani irakeni”.


Mosul (AsiaNews) – Mosul vive una vera e propria “emergenza umanitaria”, nella sola giornata di ieri “centinaia di famiglie cristiane” hanno abbandonato la città in cerca di riparo, lasciando alle proprie spalle case, beni, attività commerciali: la situazione “è drammatica”. Mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, conferma ad AsiaNews l’esodo dei fedeli dalla città. Intanto mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare “una manifestazione di piazza e un digiuno”, per sensibilizzare la comunità internazionale sul “massacro dei cristiani irakeni” e fermare le violenze nel Paese.

L’arcivescovo di Mosul è preoccupato per le tantissime famiglie, “centinaia” nella sola giornata di ieri, che hanno abbandonato la città. Mons. Nona parla di “una Via Crucis che non finisce mai” e denuncia il “cambiamento nei metodi” operato dalle bande armate. “In passato dicevamo ai cristiani di rimanere chiusi in casa – ricorda – ma ora arrivano ad attaccare perfino nelle abitazioni private”. Il riferimento è all’omicidio avvenuto lo scorso 23 febbraio: un commando è entrato nella casa di Aishwa Marosi, cristiano di 59 anni, uccidendo l’uomo e i due figli maschi. Alla scena hanno assistito anche la moglie e la figlia, risparmiate dai criminali.

Mons. Nona conferma il rischio che “Mosul si svuoti completamente dei cristiani”, in fuga verso la piana di Ninive e altri luoghi considerati più sicuri. “Ieri ho visitato alcune famiglie – continua – ho cercato di portare conforto, ma la situazione è drammatica. La gente scappa senza portare nulla con sé”. Per questo l’arcidiocesi locale ha avviato un primo intervento di emergenza, cercando di fornire “generi di prima necessità e soccorso”, ma il pericolo di “una crisi umanitaria è concreto”.

L’arcivescovo di Mosul intende recarsi a Baghdad per incontrare i politici e il governo centrale, chiedendo il loro intervento. Mantenere la presenza cristiana in città è difficile, continua, ed è probabile che alle elezioni generali – in programma il 7 marzo – nessuno andrà a votare. Confinare i cristiani nella piana di Ninive, vittime di un conflitto di potere fra arabi e curdi, pare una realtà sempre più concreta, sebbene i vertici della Chiesa si siano sempre opposti alla loro “ghettizzazione”. Finora le fazioni in lotta hanno usato i mezzi della religione e delle bande armate per trascinare i cristiani nel conflitto. “Per questo – conclude mons. Nona – ora è necessario trovare una ‘risposta politica’ ai conflitti, alla lotta di potere”.

Mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, intende lanciare – per i prossimi giorni – “una manifestazione di piazza e un digiuno”, per sensibilizzare la comunità internazionale sul “massacro dei cristiani irakeni” e fermare le violenze nel Paese. Il progetto politico che intende svuotare Mosul dei cristiani va fermato, avviando un negoziato con il governo centrale e il parlamento locale e rafforzando al contempo “l’idea di unità nazionale” che si è perduta nei conflitti fra le varie etnie, confessioni religiose e influenze straniere che hanno frantumato l’Iraq. Il prelato conferma la volontà della comunità cristiana di “partecipare alla vita politica del Paese”, mentre si fa sempre più concreto il pericolo che vengano considerati “cittadini di serie B”.

Le elezioni generali in programma il 7 marzo potranno causare un’escalation ancora maggiore delle violenze. Le parti in lotta – sunniti, sciiti, curdi – non risparmieranno metodi e forze per conquistare il controllo del territorio. Baghdad, come Mosul e Kirkuk, fa gola a molti per i ricchi giacimenti di petrolio. Le violenze settarie a Mosul, inoltre, non sembrano riconducibili ad al Qaeda, ma confermano piuttosto le infiltrazioni nell’esercito e nella polizia di “poteri forti” che si rifanno ai partiti, alle confessioni religiose, alle tribù. Esse sono il segnale evidente del fallimento del progetto di creare uno stato unitario, quella “Repubblica dell’Iraq” menzionata nella Costituzione e mai nata a causa delle divisioni interne. A queste si aggiungono le pressioni dei Paesi confinanti, fra i quali l’Iran: fonti di AsiaNews a Baghdad confermano che “Teheran è immischiata a piene mani nella politica interna irachena” ed è un’influenza che tocca l’ambito economico, politico e religioso.

“Non esiste uno Stato, una patria – sottolinea mons. Sako – e le divisioni settarie sono un dato evidente. Ai cristiani non interessano i giochi di potere, l’egemonia economica, ma la creazione di uno Stato in cui le diverse etnie possano convivere in modo pacifico”. Un obiettivo che, per essere raggiunto, deve partire prima di tutto “dall’unità della comunità cristiana e dei vertici della Chiesa, che deve fare dell’unità un punto di forza al tavolo delle trattative con il governo centrale e le forze politiche del Paese”.(DS)

La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento

Qui trovate la pagina del sito dell'editrice Lindau su La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento.

giovedì 25 febbraio 2010

Chesterton, ortodossia e allegria, a Grottammare...

Carissimi amici,
vi segnaliamo un appuntamento importante, da non perdere.
Domenica 28 febbraio alle ore 18.00 a Casa San Francesco, Grottammare (AP), abbiamo organizzato un bell'incontro per tutti dal titolo

"Chesterton, ortodossia e allegria".

Parlerà Sabina Nicolini, delle Apostole della Vita Interiore, esperta di Gilbert Keith Chesterton.
A seguire ci sarà la possibilità di cenare insieme, sempre a San Francesco.

Invitiamo tutti a partecipare.

mercoledì 24 febbraio 2010

Chesterton, Tolkien e Virginia Woolf: l’imprevedibile sorpresa del nichilismo

IDEE/ Chesterton, Tolkien e Virginia Woolf: l’imprevedibile sorpresa del nichilismo

di Costantino Esposito - Il Sussidiario

lunedì 22 febbraio 2010


È molto frequente imbattersi, nella letteratura o nell’arte cinematografica, in raffigurazioni acute e anche struggenti del nichilismo contemporaneo, quella condizione per cui sembra offuscarsi il significato di sé e del mondo, e la nostra coscienza vien presa da una sorta di disagio, come una perdita della ragione e del gusto di vivere. Ma il più delle volte tale condizione è vista come una patologia da cui non è più possibile guarire veramente, di fronte alla quale potremmo escogitare strategie di evasione o tecniche di dimenticanza, o terapie di contenimento – come quelle legate al moralismo o al legalismo –, senza riuscire però a superare realmente il dramma dell’insignificanza, cioè senza arrivare a dare risposta a quell’assenza del vero e del reale a cui sembra destinata la coscienza contemporanea. E in alcuni casi (quelli più comuni e a volte più di successo) prendendo questa perdita con la “gaia” certezza (per usare una parola di Nietzsche fatta propria dal pensiero “post-moderno”) che in fondo si tratterebbe di un’emancipazione dai vecchi spettri della metafisica e della religione, che finalmente non ci opprimerebbero più con le loro insensate domande, e mostrerebbero semplicemente il carattere assoluto, insuperabile della nostra finitezza.
Ma ci sono dei casi – pochi, a dire il vero, ma straordinari – in cui il nichilismo non è considerato semplicemente come una patologia da curare con i rimedi dell’analisi, della rimozione o del volontarismo, bensì è riconosciuto come una risorsa segreta e difficile del nostro essere uomini, vale a dire la domanda insopprimibile di un significato vero e oggettivo per l’esistenza. In questa diversa prospettiva nel guardare il fenomeno nichilistico, ciò che viene in primo piano, nella coscienza di una perdita, è il bisogno più radicale del nostro intelletto e del nostro affetto, quel bisogno che non resta mai come un labile vapore nel nostro intimo, ma dà prova di sé determinando in una maniera o in un’altra tutti i nostri gesti, i nostri tentativi e i nostri impegni di uomini in carne ed ossa nella storia e nella società. In una parola: il nichilismo può essere visto come l’occasione favorevole per comprendere che gli uomini non si salvano da sé stessi, ma solo per qualcosa di altro, più grande di sé, che essi stessi però non possono produrre con le loro teorie o le loro decisioni, ma solo attendere, scrutare e accogliere (o naturalmente rifiutare).
Di alcuni di questi casi straordinari parla un aureo libretto scritto da Tiziana Liuzzi, appena uscito presso le baresi "Edizioni di Pagina", dal titolo Viaggio in Inghilterra, con il significativo sottotitolo L’Occidente al crocevia del nichilismo: Virginia Woolf, Chesterton, Tolkien. Si tratta della raccolta di cinque conversazioni che l’autrice ha tenuto tre anni fa presso il “Centro Culturale di Bari”, in cui il problema del nichilismo è affrontato alla luce dei tentativi e delle reali possibilità di un suo “superamento”.

Ma si tratta di un superamento che non è mai di tipo ideologico e rifugge al tempo stesso da ogni demonizzazione a buon mercato: al contrario, si tratta di un viaggio affascinante attraverso alcuni momenti emblematici della tradizione inglese, in cui più si avverte la sfida e la posta in gioco del nostro tempo. Come scriveva la Woolf nel 1939, le nostre giornate sono avvolte dal non-essere come «una sorta di ovatta senza contorni», e tutto il problema dell’esistenza consiste nel cogliere i momenti in cui le cose si fanno trasparenti e «la penna trova la traccia», quei «momenti di essere» in cui all’improvviso, per un evento che ci sorprende o ci assale, il fondo dell’essere diviene visibile e «la poesia diviene realtà». Si può capire allora che «esiste un disegno dietro l’ovatta».
Virginia Woolf testimonia in maniera vertiginosa, attraverso il lavoro della scrittura, l’acutezza di questa domanda di essere, di questo bisogno di realtà, che trafigge ogni resa e anima nascostamente ogni scontento, riaffermando ogni volta di fronte al «nulla» la «festa della vita». Seguendo il filo della narrazione come principio di comprensione del nichilismo, Liuzzi propone poi un’originale lettura dell’opera di un grande contemporaneo della Woolf, G.K. Chesterton, che nella sua «filosofia delle fiabe» mostra quel filo come una traccia che può portarci al centro nascosto del «labirinto». Qui l’io ritrova il suo volto misterioso dietro le contraffazioni di tutte le analisi che puntano sull’inconsistenza e sulla «negatività» di sé e della realtà, scoprendo nel mondo incantato della fiaba la raffigurazione di quello che il Cristianesimo ha portato come principio culturale nuovo, vale a dire il rapporto inscindibile e paradossale tra il calcolabile e l’incalcolabile, tra il meccanico e il gratuito, tra l’incanto e il disincanto, o se si vuole tra il mondo e Dio.

E sarà attraverso la lettura di un altro importante autore fiabesco, J.R.R. Tolkien (per il quale però la fiaba rappresenta la vera realtà), che si radicalizzerà questa visione del nichilismo come dramma permanente della libertà umana, luogo in cui l’io è sempre di fronte a un abisso inevitabile, cioè alla decisione se riconoscere e aderire alla positività imprevedibile delle cose o negarla e prendere congedo dall’essere.
Il libretto contiene anche due capitoli su altrettanti film (anch’essi inglesi), visti come documentazione di questa particolare ermeneutica del nichilismo, vale a dire Quel che resta del giorno, di James Ivory (tratto dal bel romanzo di Kazuo Ishiguro) e 84, Charing Cross Road, di David Jones, tratto da un carteggio tra la scrittrice americana Helene Hanff e un semplice impiegato in una libreria antiquaria di Londra. In entrambi risuona l’interrogativo che più sta a cuore all’autrice: il nichilismo è il nostro destino o è una via, paradossale quanto inaspettata, per riscoprire che il destino del nichilismo è l’evento sorprendente dell’essere?

Iraq, l'appello del Papa: «Rispettare i diritti dei cristiani»

Benedetto XVI, fortemente addolorato per le perduranti uccisioni di cristiani nella zona di Mosul, chiede al governo di Baghdad "rispetto" e "tutela" per i diritti della comunità cristiana in Iraq. Impegnato in questi giorni negli esercizi spirituali in Vaticano con i collaboratori di Curia, il Papa ha appreso "con profondo dolore" che a Mosul e dintorni, nel nord dell'Iraq, continuano i casi di cristiani uccisi: gli ultimi ieri, con l'assassinio di tre membri di una famiglia siro-cattolica. Il Pontefice "è vicino a quanti soffrono le conseguenze della violenza con la preghiera e l'affetto", riferiscono oggi all'unisono i media d'Oltretevere, come la Radio Vaticana e l'Osservatore Romano. E gli stessi media, sul tema delle "violenze contro le minoranze e i particolare contro i cristiani", danno conto della lettera che il 2 gennaio scorso il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, aveva inviato al primo ministro iracheno, Nouri Al-Maliki.

La lettera di Bertone. Il porporato ricordava nella lettera la visita compiuta dal premier in Vaticano nel 2008 e il suo incontro col Papa. In quell'occasione era stata espressa "la speranza comune che, attraverso il dialogo e la cooperazione fra i gruppi etnici e religiosi del suo Paese, incluse le sue minoranze, la Repubblica dell'Iraq sarebbe stata in grado di effettuare una ricostruzione morale e civile, nel pieno rispetto dell'identità propria di quei gruppi, in uno spirito di riconciliazione e alla ricerca del bene comune". Benedetto XVI aveva esortato "al rispetto in Iraq per il diritto alla libertà di culto" chiedendo "la tutela dei cristiani e delle loro chiese".

Il premier aveva assicurato al card. Bertone che il governo iracheno avrebbe considerato "molto seriamente la situazione della minoranza cristiana che vive da così tanti secoli accanto alla maggioranza musulmana, contribuendo in modo ingente albenessere economico, culturale e sociale della nazione". Il Papa, successivamente, aveva invitato il suo primo collaboratore a scrivere al premier iracheno per trasmettere la sua "sincera solidarietà" per quanti vengono uccisi o feriti in attacchi a edifici governativi e luoghi di culto in Iraq, sia islamici sia cristiani. Il Pontefice - concludeva la lettera - "prega con fervore per la fine della violenza e chiede al Governo di fare tutto il possibile per aumentare la sicurezza intorno ai luoghi di culto in tutto il Paese".

I funerali a Mosul. Stamane, intanto, si sono svolti in Iraq i funerali dei tre cristiani uccisi ieri a Mosul da alcuni uomini armati. Le esequie sono state celebrate dall'arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Georges Casmoussa. Lo stesso Casmoussa era stato nei giorni scorsi tra i promotori dell'appello dei vescovi cristiani per un intervento internazionale a Mosul. I continui sequestri e omicidi di cristiani, tra l'altro, sono visti come il fallimento delle misure promesse per garantire la sicurezza in vista delle elezioni del prossimo 7 marzo. "In tutte le elezioni ci sono problemi - dice oggi mons. Casmoussa alla Radio Vaticana -, ma non al punto di uccidere la gente e in particolare i cristiani: i cristiani sono uccisi non dal punto di vista politico, ma in quanto cristiani. Noi abbiamo parlato con il governatore e ha promesso di indagare. Ieri mi ha chiamato e ha promesso che le sue forze militari sarebbero state impiegate per cercare i responsabili dell'assassinio. Ma non abbiamo ricevuto nessun riscontro".

TV2000 segnala La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento

Questo è il collegamento che vi porterà alla pagina del sito di La Compagnia del libro, trasmissione di Saverio Simonelli su TV2000 (canale satellitare della CEI), che parla de La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento, edito da Lindau e con la prefazione del nostro presidente Marco Sermarini, oltre che una nota biobibliografica e una bibliografia.

Popieluszko - Domani sera a Cupra Marittima


Domani sera 25 Febbraio 2010 alle ore 21.15 il film Popieluszko sarà proiettato al Cinema Margherita di Cupra Marittima (AP).
Ci sarà anche un incontro col prof. Nazzareno Morresi e il prof. Emanuele Sorichetti.

Per informazioni, costi del biglietto e tutto il resto www.cinemamargherita.com

lunedì 22 febbraio 2010

Susan, la nonna-mamma inglese che uccide femminismo e morale



Gianfranco Amato - da Il Sussidiario

lunedì 22 febbraio 2010

Doveva accadere, prima o poi, in Gran Bretagna. Una cinquantanovenne pensionata è entrata nel guinness dei primati come la donna più anziana sottoposta a fecondazione in vitro in una clinica britannica. I dirigenti sanitari della London Women’s Clinic, una delle più accreditate e famose strutture private in cui si pratica la procreazione assistita, hanno deciso, all’unanimità, di consentire a Susan Tollefsen di avere un bambino.

Prima di tale decisione, le donne mature del Regno Unito dovevano recarsi all’estero per ricorrere all’inseminazione artificiale, perché una circolare del Ministero della Salute sconsigliava tale trattamento per le ultraquarantenni. Pure le cliniche private non praticavano la fecondazione in vitro alle donne over 50.

Per questi motivi Susan Tollefsen, ottenuto il rifiuto in patria, si era rivolta a una clinica russa per sottoporsi al trattamento che le ha consentito di partorire una bambina, Freya, che oggi ha due anni. L’arzilla pensionata ha poi voluto dare un fratellino a Freya, decidendo, questa volta, di ingaggiare una battaglia culturale. Due sostanzialmente i temi della sfida.

Primo, portare anche la Gran Bretagna a quel grado di “civiltà” in cui i diritti individuali possano essere esercitati senza troppi impicci di ordine etico, e si possano effettuare le disinvolte sperimentazioni condotte nelle cliniche russe e ucraine. Secondo, in nome della sempiterna “questione femminile” e dell’uguaglianza tra i sessi, parificare gli uomini alle donne, consentendo anche a quest’ultime di poter diventare genitrici in tarda età.

Approfittando, quindi, dell’acceso dibattito nell’opinione pubblica sul diritto delle donne in menopausa ad avere figli, la London Women’s Clinic ha colto al volo l’occasione per rivedere la propria politica aziendale e aumentare la fascia delle possibili fruitrici del servizio, accogliendo con piacere la signora Tollefsen nel novero delle proprie clienti.

Adesso in molti chiedono una legge e non una semplice circolare ministeriale per aumentare il limite d’età per le donne che intendono ricorrere alla procreazione assistita. Il problema è che la Tollefsen deve trovare una donatrice di ovociti che, una volta fecondati con lo sperma del suo partner, dovranno poi essere impiantate nel suo utero. Le probabilità che questa operazione abbia successo si aggirano attorno al 26%.

Anche sulla donazione di ovociti la questione è controversa a causa dei rischi cui espone le donatrici. Tra l’altro, proprio per questo è illegale in Svizzera, in Norvegia, in Italia, in Germania e in Austria. Laddove è consentita, le donatrici non possono ricevere denaro. Solo in Gran Bretagna è prevista una forma di “rimborso” molto discutibile.

Lo scorso luglio, infatti, ha suscitato qualche polemica il fatto che Lisa Jardine, Presidente della HFEA - l'autorità britannica che si occupa di embriologia e fecondazione umana - avesse proposto di modificare l’attuale legge per consentire la possibilità di offrire a giovani donne denaro pubblico in cambio di ovociti.

Esiste anche il problema che oggi in Gran Bretagna esistono le banche del seme ma non sono state ancora istituite banche degli ovociti. Non c’è il minimo dubbio, però, che a breve partirà la girandola del business, visto che le modifiche apportate all’attuale legge in materia, consentono ora la possibilità di stoccare gli ovociti per 55 anni, rispetto ai 5 previsti prima.

La mia cara amica Josephine Quintavalle, direttrice del CORE Comment on Reproductive Ethics (di cui anch’io mi onoro di far parte), sulla vicenda di Susan Tollefsen ha sollevato seri dubbi: «Ciò che in questi casi non si vuole considerare, a parte i diritti dei bambini, è la questione della donazione di ovociti. È giusto tenere all’oscuro le donatrici sul destino dei loro ovociti? E siamo proprio sicuri che alcune donne si esporrebbero ai rischi medici legati alla donazione se sapessero che i loro ovociti devono essere impiantati nell’utero di una sessantenne? Non è lecito sfruttare una donna, mettendone in pericolo la salute, per realizzare le fantasie di un’altra donna che non intende accettare di essere ormai in menopausa».

Sagge parole, cara Josephine. Ma il punto è che le femministe hanno da tempo rinunciato alla lotta contro lo sfruttamento del corpo della donna, intorno al quale sta fiorendo un lucroso mercimonio grazie proprio alle nuove frontiere della ricerca scientifica in campo riproduttivo.

Pecunia non olet ricordò Vespasiano al figlio indignato perché il padre-imperatore aveva introdotto un’imposta simile all’IVA, la centesima venalium, sulla vendita che i gestori privati delle 144 latrine pubbliche romane facevano dell’urina - da cui si ricavava l’ammoniaca - acquistata a buon prezzo dai conciatori di pelle. Allora come ora, per molti, il denaro continua a non puzzare.

Rassegna stampa

20 Febbraio 2010 - Avvenire
Aborto
8 donne su 10 se aiutate lo evitano 255 KB

20 Febbraio 2010 - Stampa
Ru486
Stop all'anarchia 220 KB

21 Febbraio 2010 - Giornale
Ru486
In arrivo negli ospedali 54 KB

Anche la Chiesa algerina ha diritto di fare missione (come i musulmani)


di Samir Khalil Samir

Il ministro algerino degli Affari religiosi si è inalberato perché il vescovo di Algeri ha domandato la cancellazione delle leggi che ostacolano la libertà di coscienza e di culto nel Paese, dove una chiesa protestante è stata bruciata. Il ministro suggerisce di prendere esempio dai vescovi francesi, che per anni hanno bloccato le conversioni di musulmani al cristianesimo.


Roma (AsiaNews) – Abdallah Ghoulamallah, ministro degli Affari religiosi in Algeria, ha organizzato il 10 e l’11 febbraio scorso, un colloquio ad Algeri sul tema “Libertà di culto, fra legislazione divina e diritto positivo”. Notare le espressioni “libertà di culto”, che non è la “libertà di coscienza”; e “legislazione divina”, che definisce qui la “sharia islamica”.

Per l’occasione, il ministro ha invitato i quattro vescovi dell’Algeria: Ghaleb Bader, arcivescovo di Algeri (v. foto); Alphonse Georger vescovo di Orano; Claude Rault, vescovo di Laghouat-Ghardaia; Paul Desfarges, vescovo di Costantina-Ippona.

Egli ha anche invitato alcune personalità religiose francesi: l’arcivescovo di Lione, mons. Philippe Barbarin ; il vescovo di Créteil, mons. Michel Santier, responsabile del dialogo interreligioso ; il p. Christophe Roucou, responsabile dello Sri (Service des Relations avec l’Islam) ; il pastore Claude Baty, presidente della federazione protestante in Francia ; due amici dei musulmani, i padri Michel Lelong e Christian Delorme. I due vescovi, a quanto pare invitati all’ultimo momento, non hanno potuto parteciparvi. Invitati anche diverse altre personalità.

Lo scopo dell’incontro era di mostrare che l’Algeria è un Paese tollerante.

L’intervento del vescovo di Algeri

Mons. Ghaleb Moussa Abdallah Bader è una personalità qualificata. É arcivescovo di Algeri dal 17 luglio 2008. Egli ha conseguito un dottorato in diritto canonico e uno in filosofia all’Angelicum, sul grande filosofo arabo cristiano del 10° secolo, Yahya Ibn ‘Adi. D’origine giordana, egli è abituato al regime di reale tolleranza religiosa in vigore nel regno hashemita. Parlando della legge n°06-02 bis del 28 février 2006, che limita fortemente l’esercizio di culti non musulmani in Algeria, egli ha tenuto un discorso molto sfumato, esprimendo il desiderio di un “ritorno a una situazione normale”. Quella legge poteva essere giustificata da una situazione eccezionale; ma non è il caso dell’Algeria. “Perché – domanda – non ritornare a una situazione di normalità? Non è forse tempo di rivedere questa legge, o di annullarla?”.

In effetti, da più di tre anni, la libertà dei cristiani nell’esercizio del culto è fortemente controllata. Il ministro dice che i cristiani non ne sono colpiti, ma in realtà sono proprio loro ad essere importunati. Di recente, la notte fra il sabato e la domenica 10 gennaio, la chiesa protestante Tafat, di Tizi Ouzou è stata incendiata e razziata. Malgrado i lamenti del pastore Krireche, le autorità non sono intervenute.

Il 25 gennaio i quattro vescovi cattolici si sono dichiarati “profondamente rattristati” e “molto inquieti degli ostacoli messi qui e là alla pratica del culto cristiano”.

“Essi non possono nascondere la loro indignazione – hanno detto – davanti alla profanazione dei segni cristiani, allo stesso modo in cui essi sono indignati quando in qualche Paese del mondo si viene a sapere che i segni della religione musulmana vengono profanati. Essi tengono a esprimere la loro compassione e i sentimenti di fraternità verso i loro fratelli e sorelle che sono stati aggrediti nella loro vita religiosa. Essi continuano a mantenere fiducia e speranza che il cammino di convivialità e di rispetto profondo fra tutti potrà continuare”.

La reazione del ministro degli Affari religiosi

L’intervento di mons. Ghaleb Bader ha irritato in profondità il ministro Ghoulamallah. Egli ha fatto l’elogio dei vescovi di Algeri prima e dopo l’indipendenza (il card. Léon-Etienne Duval e mons. Henri Teissier), “che non hanno mai messo in questione la realtà e le leggi e sono stati vicini agli algerini”. E ha aggiunto: “Spero che l’arcivescovo, che viene da un Paese arabo, trarrà il suo insegnamento da Teissier, che è ancora vivente, e gli domanderà consiglio su ciò che gli algerini possono ammettere e ciò che non possono ammettere”.

Stupisce vedere un ministro dare lezioni a un vescovo – anche se all’inizio del suo mandato – e domandargli di modellarsi sui suoi predecessori. In queste situazioni occorre certo tatto, ma occorre anche molta chiarezza quando si difendono dei principi fondamentali. D’altra parte, è comprensibile che dei vescovi francesi abbiamo dovuto adottare un’attitudine diversa da quella di un vescovo arabo, tenuto conto del passato coloniale della Francia.

Riflessione finale

Di solito si fa spesso una distinzione fra cattolici e protestanti, accusando questi ultimi di fare del “proselitismo”. Anche se ciò fosse vero, c’è molta distanza fra il proselitismo dei protestanti e quello praticato dai musulmani, non solo nei Paesi islamici, verso le minoranze cristiane, ma perfino nei Paesi di tradizione cristiana. Ciò che è inaccettabile è l’uso di mezzi troppo umani utilizzati dal propagandista per espandere la sua fede, approfittando della debolezza dell’altro. Ma se ci si accontenta di “proporre” la fede, senza mai imporla, ancor più di condividere con gli altri la felicità che uno vive, questo non può essere considerato proselitismo. In ogni caso, poi, non è lo Stato a legiferare su questi livelli!

È tempo che venga riconosciuto per tutti la libertà di coscienza, non solo la libertà (controllata) di praticare il culto. L’islam pretende essere “religione tollerante”; alcuni arrivano a dire che essa è la “religione più tollerante”, mentre il cristianesimo ha forzato i non cristiani alla conversione… e si cita l’inquisizione o il colonialismo, dimenticando per esempio che in Algeria lo Stato francese ha proibito per oltre un secolo ai religiosi di convertire i musulmani al cristianesimo.

In realtà non esiste uno Stato musulmano che accordi la stessa libertà ai musulmani e ai non musulmani. Politica e religione sono praticamente mescolati nella tradizione musulmana (checché ne dicano alcuni intellettuali occidentali secondo i quali l’islam sarebbe molto più laica di altre religioni).. È lo Stato stesso che fa la propaganda dell’islam, attraverso i media, le leggi e i regolamenti.

Le Chiese d’Algeria (e di altre nazioni) domandano come cristiani di essere solo lasciate tranquille. Esse domandano di avere il diritto di annunciare il Vangelo a ogni persona che voglia accoglierlo, allo stesso modo in cui vi è il diritto di annunciare il Corano e l’islam a chiunque. È una fortuna che il vescovo di Algeri, sull’esempio di Benedetto XVI abbia avuto il coraggio di ricordare con fermezza – con discrezione, ma con chiarezza – questo diritto incancellabile alla libertà di coscienza e all’uguaglianza fra tutti i cittadini.

giovedì 18 febbraio 2010

IL CASO/ Nadia Eweida, licenziata dalla British Airways per una croce al collo


Grazie mille al carissimo Gianfranco Amato

giovedì 18 febbraio 2010

E’ finito davanti alla Court of Appeal londinese un altro celebre caso di discriminazione nei confronti dei cristiani in Gran Bretagna. Nadia Eweida, una cinquantottenne impiegata delle British Airways, non si è arresa di fronte al verdetto del Tribunale del Lavoro che ha respinto il suo ricorso.

Questi i fatti. Nel settembre 2006 Nadia Eweida, addetta al servizio di check-in presso il terminal 5 dell’aeroporto di Heathrow, si vede intimare dalla direzione della compagnia aerea di non indossare, durante l’orario di lavoro, la collanina con la croce che portava al collo. Il rifiuto da parte della dipendente, motivato da sue profonde convinzioni religiose e dal fatto che i segni distintivi di altre fedi venivano invece permesse dalla compagnia, non viene preso molto bene.

Infatti, senza tanti complimenti, Nadia Eweida viene licenziata il 20 settembre 2006, con la motivazione che la sua croce d’argento, non più grande di una moneta da 5 pence, appare contraria alla «company’s uniform policy». Le 49 pagine di dettagliate istruzioni sull’uso delle uniformi e dei gioielli delineavano, infatti, una filosofia aziendale impostata sull’assoluta “neutralità” nei confronti delle convinzioni personali dei dipendenti.

Invoca, poi, l’art. 9 della Convenzione europea sui diritti del’uomo e le vigenti normative britanniche in materia di tutela delle pratiche e delle convinzioni religiose dei dipendenti, l’Employment Equality (Religion or Belief) Regulations 2003. Evidenzia, inoltre, la disparità di trattamento compiuta dalla British Airways nel «permettere l’utilizzo di simboli religiosi visibili per i credenti in altre fedi, come ad esempio il kara, braccialetto sacro dei Sikh, il kippah, copricapo degli ebrei, o la hijab, velo per le donne musulmane».

British Ariways, infatti, si è vista bene dal vietare simili forme esteriori di fede. Singolare la tesi difensiva della compagnia aerea. L’avvocatessa Ingrid Simler si rivolge alla Corte sostenendo che «l’esibizione della croce al collo non è richiesta come precetto dalla religione cristiana ed è quindi frutto di una scelta individuale e non obbligatoria rimessa al mero desiderio della Eweida».

Ma l’avvocatessa si spinge oltre – fino al limite dell’irriverente –, quando dichiara che «il simbolo utilizzato dalla Eweida deve intendersi come espressione di una semplice convinzione allo stesso modo dei simboli utilizzati da altre persone per manifestare contro il nucleare o in favore dei diritti degli omosessuali».

All’udienza sono presenti diversi sostenitori di Nadia Eweida e qualche parlamentare. C’è pure l’ex Ministro degli Interni John Reid, il quale, prendendo la parola fuori dall’austero palazzo di stile gotico-vittoriano che ospita la Court of Appeal, dichiara: «Questo caso rappresenta un chiaro indicatore del fatto che i cristiani non godono delle stesse protezioni previste dalla legge per i fedeli di altre religioni a cui viene garantita, nel posto di lavoro, la massima disponibilità per quanto riguarda l’abbigliamento e l’esibizione di simboli religiosi».

Anche Nadia Eweida, subito dopo l’udienza, rende una dichiarazione: «Io ho combattuto questa battaglia legale fino alla Corte d’Appello per difendere il diritto dei cristiani a portare indosso una croce. E’ triste constatare come British Airways non si renda conto e non riesca a percepire che proprio la croce è il simbolo per eccellenza della fede cristiana».

Lo scorso venerdì 12 febbraio, la Corte d’Appello londinese, con una sentenza più che prevedibile, ha respinto il ricorso di Eweida. Patetica l’uscita di Lord Justice Sedley, uno dei giudici d’appello, che dopo aver ribadito l’inopportunità di esibire simboli religiosi nei luoghi di lavoro, ha dichiarato che, tutto sommato, «non è impensabile che in alcuni casi un divieto generale rappresenti l’unica soluzione».

Peccato che l’ultima sentenza dell’Alta Corte in materia abbia ribadito il fatto che la proibizione ad una ragazza sikh di portare a scuola il “kara”, braccialetto sacro, integri un vero e proprio atto di discriminazione religiosa.

Qual è la differenza tra una croce ed un kara? Semplice. La reazione dei discriminati. Non è facile gestire politicamente le veementi proteste della comunità sikh o di quella islamica, mentre i cristiani hanno da sempre dimostrato di essere assai più “tolleranti” rispetto alle ingiustizie patite. Fa parte, del resto, del loro stesso DNA. La morale di questa storia dovrebbe farci riflettere.

Mentre da noi in Italia si discute se esporre o meno il crocifisso nei luoghi pubblici, in Gran Bretagna la magistratura ha già deciso che ad un cristiano si può impedire di portare al collo il simbolo della propria fede sul luogo di lavoro. Se consentiamo che la tolgano dai muri, arriveranno a levarcela anche di dosso.

mercoledì 17 febbraio 2010

La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento - su Libero di oggi!


Oggi sul quotidiano Libero a pagina 35 trovate un ampio brano di La Chiesa Cattolica - Dove tutte le verità si danno appuntamento - Edizioni Lindau (prefazione del nostro presidente Marco Sermarini).

Eccovi la succulenta sorpresa!



«Non abbiamo bisogno di una religione che sia nel giusto quando anche noi siamo nel giusto.
Quello che ci occorre è una religione che sia nel giusto quando noi abbiamo torto.
Attualmente il problema non è se la religione ci consenta di essere liberi,
bensì (nel migliore dei casi) se la libertà ci consenta di essere religiosi.»

«Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo.»

G. K. Chesterton



Le
EDIZIONI LINDAU
presentano
Gilbert K. Chesterton

LA CHIESA CATTOLICA
Dove tutte le verità si danno appuntamento





Prefazione di Marco Sermarini
Presidente della Società Chestertoniana Italiana

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Edizioni Lindau | «I Pellicani» | pp. 126 | euro 13,00 | ISBN 978-88-7180-846-8 | febbraio 2010
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DAL 25 FEBBRAIO NELLE MIGLIORI LIBRERIE
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È con la consueta inclinazione al paradosso e all’ironia che Chesterton ci parla di un’esperienza drammatica come la conversione religiosa, partendo ovviamente dalla sua personale, avvenuta nel 1922.
In queste pagine – sottili, brillanti, appassionate – accompagna l’anima perennemente in bilico del convertito attraverso le tre fasi che precedono l’ingresso nella Chiesa di Roma: l’assunzione di un atteggiamento intellettualmente onesto nei confronti di essa, quindi la sua progressiva e irresistibile scoperta e infine l’impossibilità di abbandonarla una volta entratovi.
Al termine di tale pellegrinaggio interiore, la religione più antica si rivela sorprendentemente la più nuova, più nuova delle cosiddette religioni nuove – come protestantesimo, socialismo o spiritismo –, perché, a differenza di esse, da duemila anni la tradizione e la verità cattoliche conservano intatta la propria validità.
Per Chesterton il solido fondamento di questa autentica universalità (al di là dell’azione della Grazia, mistero teologico sempre sotteso alla fede) risiede nella razionalità e nella libertà del cattolicesimo, come Benedetto XVI va instancabilmente ripetendo agli uomini di oggi.


«Quando Chesterton parla di religione, ne parla sempre a partire dalla ragione e dalla vita. Non fa un “discorso ecclesiastico” o clericale. Può partire da un pezzo di gesso, un dente di leone o un tramonto per arrivare al rapporto di ciascuno di noi con il Mistero. Perché per lui fu così: il Mistero che fa tutte le cose si manifestò nella sua vita attraverso gli umili ma potenti segni dell’allegria familiare, del gusto del bello scorto nelle cose di tutti i giorni.» Marco Sermarini


Lindau ripropone quest'opera di Chesterton - uno dei risultati più felici della sua vastissima produzione - che trasmette con grande efficacia la sua spiritualità dopo la conversione al cattolicesimo. La sua scrittura è sempre intelligente, arguta, ricca di humour, qualità che permettono ai suoi libri di sfuggire alle insidie di un’apologetica anacronistica e poco efficace e, inoltre, questo testo rivela una «attualità» sorprendente.

Chesterton è consapevole di come il tema della conversione possa allontanare d’istinto il pubblico più vasto – agnostici, scettici, atei –, eppure proprio a loro rivolge il suo ragionamento, in primis filosofico e culturale, intriso di buon senso anglosassone.

Per Chesterton il cattolicesimo è una forza sempre nuova, in grado di competere con le altre religioni (oltre che con le altre confessioni cristiane) e con le ideologie prodotte dalla modernità dei suoi tempi. A partire dalla propria esperienza di convertito – ma andando oltre la testimonianza personale – Chesterton dimostra come la Chiesa di Roma sia da sempre la custode dell’unica «filosofia» che mette al centro ragione e verità e come tutto il pensiero successivo alla sua nascita rappresenti una sua parziale e spesso grottesca rielaborazione.

«La Chiesa cattolica» (titolo originale: The Catholic Church and Conversion, 1926) è apparso in Italia in edizione ridotta e tiratura limitata nel 1954, si tratta quindi di un saggio pressoché inedito per il pubblico italiano.

Traduzione dall’inglese di Federica Giardini


L'Autore
Gilbert Keith Chesterton (1874-1936) fu scrittore e pubblicista dalla penna estremamente feconda. Soprannominato «il principe del paradosso», usava una prosa vivace e ironica per esprimere serissimi commenti sul mondo in cui viveva. Scrisse saggi letterari (Dickens, Wilde, Shaw) e polemici (Ortodossia), romanzi «seri» (L’uomo che fu Giovedì, L’osteria volante) e gialli (celebre la serie di avventure di Padre Brown). Lindau ha pubblicato i suoi saggi biografici su san Francesco d’Assisi e su san Tommaso d’Aquino.


Dalla prefazione di Marco Sermarini
Quella che avete tra le vostre mani è una delle tessere dell’avvincente mosaico dell’ortodossia che Chesterton elaborò nel corso della sua lunga, copiosa e felice produzione letteraria. Un’attività quasi frenetica, che definire intensa è un buffo eufemismo (pensate che, oltre alle centinaia di libri, Chesterton produsse migliaia di articoli su diverse testate giornalistiche, e di questi articoli solo una parte è stata raccolta e pubblicata in volume), lo vide impegnato a sviscerare il rapporto tra l’uomo e la ragione, l’uomo e la fede, la fede e la ragione, nel tentativo (riuscito) di descrivere passo dopo passo una coinvolgente danza in cui egli stesso si era lanciato.
Egli stesso chiamò questa sua personalissima e universale vicenda «il romanzo dell’ortodossia», e romanzo va inteso nel senso di storia avventurosa, cavalleresca, una fascinosa storia d’amore.
Chesterton fornisce le spiegazioni più esaurienti dei motivi di questo idillio in Ortodossia e nell’Autobiografia; le più poetiche in Uomovivo e L’uomo che fu Giovedì. Quest’opera descrive cosa accade nel cuore e nella mente di chi si converte alla Chiesa Cattolica; l’affermazione fondamentale è che il marchio della fede è il cambiamento, cioè la conversione.
Il suo non è un interessamento intellettuale, «antropologico». È estremamente personale.
La sua vita religiosa, in realtà, non fu delle più ordinarie: «Battezzato, secondo le formule della Chiesa d’Inghilterra» (ossia anglicana) – dirà con compiaciuta ironia nell’incipit della sua Autobiografia –, Chesterton verrà in realtà cresciuto come unitariano (gli unitariani credono in Dio, stimano Gesù Cristo un grande uomo ma nulla più, rifuggono il dogma trinitario e ritengono il cristianesimo una sorta di rispettoso amore universale); questo in una famiglia avvezza più alla discussione che alla devozione, per quanto lo scenario familiare fosse diverso da quello circostante:

Lo sfondo generale di tutta la mia giovinezza era agnostico. I miei genitori erano quasi un’eccezione, perché, in mezzo a persone tanto intelligenti, credevano in un Dio personale e nell’immortalità personale. […] V’era una uniformità di miscredenza […]: non fra le persone eccentriche, ma semplicemente fra le persone istruite.

Dio è un fantastico scrittore perché scriverà anche su questo originalissimo materiale una storia unica – addirittura sarà «un dono fatto alla cattolicità (e all’umanità intera) direttamente da Dio», dirà in una insuperata conferenza il cardinale Giacomo Biffi, forse il più chestertoniano del Collegio Cardinalizio. L’humus da cui trarrà potente energia sarà lo sguardo positivo, innocente e lieto che Gilbert erediterà in primis da padre Edward (che lo aveva introdotto al senso del bello nell’arte e nella letteratura, e infuso il gusto perenne del gioco: sì, del gioco e in particolare del teatro delle marionette, per tutta la vita…). Tutto ciò sembrò esaurirsi alle porte della giovinezza, quando oscuri pensieri si addensarono in questa mente acuta come quella di un anziano saggio, ma vivace e innocente come quella di un bambino (egli stesso dirà di «assurde preoccupazioni psicologiche»); alcune letture (L’isola del tesoro di Stevenson, le poesie di Walt Whitman, il Libro di Giobbe), l’essere «sceso nel profondo degli abissi» e una sorta di esperienza mistica di cui egli stesso darà conto in una lettera al suo amico d’infanzia Edmund Clerihew Bentley («Adesso la visione sta svanendo nel corso della vita quotidiana, e ne sono felice. È imbarazzante parlare con Dio faccia a faccia, come si parla con un amico») la riporteranno alla vera Origine di quella Gioia e di quella Speranza ricevuta da bambino. L’alleanza tra fede e ragione non venne mai meno e produsse uno splendore; dirà Chesterton di aver «scoperto che la realtà intorno a noi, se la si esamina, testimonia una… perfezione mistica» e di essere «certo che ogni cosa è come è perché così deve essere». Gratitudine sarà la parola chiave di questa storia che ha lasciato il segno nella vita di migliaia di persone.


Dal libro
Un tempo la fede cattolica era chiamata la Vecchia Religione, mentre ora le viene riconosciuto un posto tra le Religioni Nuove. Questo non c’entra niente con la verità o la falsità dei suoi precetti, ma ha piuttosto a che fare con la comprensione del mondo moderno.
Sarebbe assai indesiderabile che gli uomini moderni accettassero il cattolicesimo solo in quanto novità, sebbene lo sia. Il cattolicesimo, infatti, agisce sul suo ambiente con la forza e la freschezza tipici di una cosa nuova. Persino i suoi oppositori generalmente lo denunciano per questo: perché è un’innovazione e non una semplice sopravvivenza. Si parla del partito «progressista» all’interno della Chiesa d’Inghilterra; si parla dell’«aggressione» della Chiesa di Roma. Quando si parla di un estremista, le probabilità che si intenda un ritualista o un socialista sono identiche. Se prendiamo una normale famiglia di rispettabili protestanti, anglicani o puritani, sia in Inghilterra sia in America, scopriremo che ai fini pratici il cattolicesimo in realtà è considerato una religione nuova, cioè una rivoluzione. Non è una sopravvivenza. Non è in quel senso un’antichità. Non deve necessariamente qualcosa alla tradizione. Dove la tradizione non può fare nulla in suo favore, dove tutta la tradizione gli è contro, esso si impone per i propri meriti: non come tradizione, ma come verità. Il padre di una famiglia come quella descritta, anglicana o puritana d’America, scopre molto spesso che i figli stanno rompendo con il suo compromesso più o meno cristiano (considerato normale nel XIX secolo) e si stanno allontanando in varie direzioni, inseguendo fedi o tendenze che egli definirebbe una mania passeggera. Uno dei suoi figli diventerà socialista e appenderà al muro un ritratto di Lenin; una delle sue figlie diventerà spiritista e giocherà con una tavoletta per sedute spiritiche; un’altra si convertirà alla Christian Science ed è probabile che un altro figlio passi dalla parte di Roma. Dal punto di vista del padre, e in un certo senso anche della famiglia, per il momento tutte queste cose agiscono alla stregua di religioni nuove, di grandi movimenti, di entusiasmi che esaltano i giovani e sconcertano o irritano i più vecchi. Il cattolicesimo, ancor più delle altre, è spesso annoverato tra le passioni selvagge di gioventù. Zie e zii ottimisti dicono che al giovane «passerà», come se fosse un’infatuazione infantile o una deplorabile avventuretta con la cameriera. Zie e zii più arcigni e severi, in un periodo forse un po’ più lontano, ne parlavano come se addirittura si trattasse di un vizio scandaloso, come se la letteratura cattolica fosse una specie di pornografia. Newman osserva con assoluta naturalezza, come se all’epoca non ci fosse stato niente di strano, che uno studente universitario sorpreso con un manuale ascetico o con un libro di meditazioni monastiche finiva in disgrazia, poiché era stato trovato in possesso di un «cattivo libro». L’idea era che avesse sguazzato nel piacere sensuale delle none o che avesse infiammato la sua lascivia contemplando un numero errato di candele. Forse oggi non si usa più vedere la conversione come una forma di dissolutezza, ma è ancora diffusa la convinzione che sia una sorta di rivolta. E in effetti di una rivolta si tratta, almeno rispetto alle convenzioni in vigore in gran parte del mondo moderno. Quando manda il figlio al college, il rispettabile commerciante della classe media o il rispettabile agricoltore del Middle West è un po’ preoccupato che il ragazzo finisca in mezzo ai ladri, intendendo con questo i comunisti; ma teme ugualmente che finisca in mezzo ai cattolici.
Non ha invece paura che capiti tra i calvinisti. Non teme che i figli diventino supralapsariani, per quanto possa detestare questa dottrina del XVII secolo. Né lo allarma particolarmente la possibilità che abbraccino concezioni estreme come quelle solfidiane 3, un tempo comuni tra i metodisti più stravaganti. Difficilmente aspetterà con terrore il telegramma in cui il figlio lo informa che è diventato quintomonarchiano 4 o che si è unito agli albigesi 5. Non passa le notti in bianco chiedendosi se Tom, che studia a Oxford, sia diventato luterano oppure lollardo 6. In tutte queste confessioni, egli riconosce confusamente delle religioni morte, o in ogni caso vecchie. E le religioni che teme sono solo quelle nuove: le idee fresche, paradossali e provocatorie che fanno perdere la testa ai giovani. Eppure, nel novero di queste pericolose attrazioni giovanili, egli classifica la freschezza e la novità di Roma.


L'Indice dell'opera

5 Prefazione all’edizione italiana, di Marco Sermarini

La Chiesa cattolica

13 1. Introduzione. Una religione nuova
23 2. Gli errori palesi
45 3. I veri ostacoli
69 4. Il mondo alla rovescia
85 5. L’eccezione conferma la regola
101 6. Una nota sulle prospettive attuali

107 Nota biobibliografica
111 Opere di Chesterton



Per informazioni, copie saggio e interviste a Marco Sermarini:
Silvja Manzi • Ufficio Stampa Edizioni Lindau
Corso Re Umberto 37 – I-10128 Torino (TO)
tel. +39 011 517 53 24 • fax +39 011 669 39 29
silvja@lindau.it • www.lindau.it

martedì 16 febbraio 2010

Presto, molto presto... una novità chestertoniana!


Cari Amici,

presto, molto presto avrete notizie di una splendida novità chestertoniana...

Un inedito assoluto del nostro Gilbert sarà presto in libreria.

Possiamo dirvi solo questo!

Intanto leggete i giornali... non si sa mai!

Nel frattempo Gilbert gongola (guardate la foto)...

Una segnalazione... irlandese!



A Rose of Summer
La musica nella cultura letteraria d’Irlanda
Tre lezioni-concerto

Giovedì 4 marzo 2010, ore 13
Giovedì 15 aprile 2010, ore 13
Lunedì 3 maggio 2010, ore 13

Aula Magna
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Largo Gemelli 1 – 20123 Milano
Ingresso libero


Giovedì 4 marzo 2010, ore 13

Alla presenza di S. E. l’Ambasciatore di Irlanda in Italia, Patrick Hennessy

All her lovely companions
Risonanze irlandesi in Europa e oltre

Introduzione a cura del Prof. Enrico Reggiani

Una ghirlanda musico-letteraria dall’Irlanda al mondo. La prima lezione-concerto offre una ricca panoramica, con contributi da vari tempi e luoghi, che intreccia raffinate riletture di The Last Rose of Summer di Thomas Moore ed illustrazioni virtuosistiche della tradizione musicale, popolare e colta, dell’Isola di Smeraldo.

Raffaele Trevisani, flauto
Paola Girardi, pianoforte

Brani di T. Moore, L. van Beethoven, C. Wilson, E. Monroe, J. Clinton, F. Kuhlau, C. Bolling, B. Britten, H. Harty

in collaborazione con l’Accademia Internazionale della Musica – Fondazione Civiche Scuole di Milano

Maggiori informazioni sono reperibili nel blog YEATS, IRELAND AND OTHER LITERARIA alla pagina http://wbyeats.wordpress.com/a-rose-of-summer-new/.

Manalive... è a buon punto.

Alcuni amici ci hanno chiesto che fine abbia fatto il film americano su Manalive, Uomovivo, cui stavano lavorando Dale Alquhist, presidente della Società Chestertoniana Americana, Joey Odendhal e altri amici chestertoniani americani.

Ebbene, dal sito del film, http://manalivethemovie.com sappiamo che dal 4 Giugno 2009 il film, nella sua versione "grezza", è pronto e che ora sta affrontando la fase della post produzione, che dicono essere molto lunga.

Certamente vi terremo informati sulla faccenda.

Qui sistemiamo nuovamente quello che da bambini chiamavamo il provino del film
(o, come si dice oggi, il trailer). E' spassosissimo!

Padre Popieluszko beato il 6 giugno




La beatificazione del padre Jerzy Popieluszko, il cappellano del sindacato Solidarnosc, ucciso nel 1984 avrà, luogo a Varsavia il 6 giugno prossimo in presenza dell’arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione per i santi del Vaticano. Lo ha annunciato l’arcivescovo di Varsavia Kazimierz Nycz in una conferenza stampa nella capitale polacca. Nycz ha precisato che la data della beatificazione è stata scelta dalla Santa Sede e che essa cade nella Giornata della gratitudine stabilita dalla Chiesa polacca per ricordare la riconquista dell’indipendenza e della libertà del popolo polacco nel 1989. D’intesa con le autorità municipali, la cerimonia di beatificazione del cappellano di Solidarnosc si svolgerà nel centro di Varsavia sulla Piazza Maresciallo Jozef Pilsudski (già Piazza della Vittoria), la stessa che nel giugno 1979 ha visto oltre un milione dei polacchi giunti per la messa celebrata da Papa Giovanni Paolo II nel suo primo pellegrinaggio in Polonia. L’arcivescovo di Varsavia ha aggiunto che dopo la cerimonia del 6 giugno le reliquie di Popieluszko saranno accompagnate con una processione religiosa per essere depositate nella cripta del Tempio della Provvidenza, in via di costruzione nel quartiere Wilanow di Varsavia. Padre Popieluszko, nato nel 1947, era dal 1980 il capellano di Solidarnosc nei cantieri siderurgici di Varsavia. Il 19 ottobre 1984 fu rapito da agenti della polizia segreta comunista Sb che lo uccisero brutalmente gettando il suo corpo in una diga vicino a Wloclawek. Il processo per la beatificazione di Popieluszko è iniziato nel 1997.

Lindau pubblica una biografia del venerabile John Henry Newman

«Newman appartiene ai grandi dottori della Chiesa,
perché egli nello stesso tempo tocca il nostro cuore
e illumina il nostro pensiero.»
Joseph Ratzinger

«Mi piacerebbe pensare che chi ha il tempo per leggere un solo libro su Newman scoprirà che questo è quello giusto.»
Roderick Strange


Le
EDIZIONI LINDAU

presentano


John Henry Newman
Una biografia spirituale


di
Roderick Strange

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Edizioni Lindau | «I Pellicani» | pp. 238 | euro 22,50 | ISBN 9788871808512 | 2010
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DAL 18 FEBBRAIO IN LIBRERIA
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Questa biografia costituisce un’efficace introduzione al pensiero di una delle figure più importanti – e ancora poco conosciute – del cattolicesimo moderno. Ordinato sacerdote anglicano nel 1825, Newman maturò la sua conversione al cattolicesimo nel segno di una crescente adesione alla razionalità dell’atto di fede, alla centralità della coscienza, a una concezione del cristianesimo fondata sull’oggettività del dogma e sull’universalità della Chiesa di Roma. Per Newman fede e ragione sono «come due ali sulle quali lo spirito umano raggiunge la contemplazione della verità». Temi e accenti oggi riproposti con forza da Papa Benedetto XVI. Come ha scritto Joseph Ratzinger, «il contributo di Newman non è stato ancora del tutto utilizzato nelle teologie moderne».

Convertito della tempra di Paolo e di Agostino, autorevole apologeta della fede, prosatore efficacissimo, John Henry Newman, questo sacerdote anglicano divenuto cattolico nel 1845 e cardinale nel 1879, sorprende per la modernità delle sue analisi. Molte delle difficoltà che la Chiesa si trova oggi ad affrontare sono puntualmente anticipate nei suoi scritti.

Di lui Roderick Strange ricostruisce in queste pagine la biografia spirituale. Non manca il racconto circostanziato della vita di un uomo coraggioso, sempre in cerca di risposte alle domande suggeritegli dalla fede, capace di compiere scelte difficili e di preferire l’onestà e la coerenza alla facile inerzia di chi si adagia sulle certezze rassicuranti del proprio tempo. Tuttavia l’attenzione dell’autore è specialmente rivolta alla ricostruzione di un percorso intellettuale e interiore che ha portato Newman ad affrontare alcuni temi fondamentali, precorrendo questioni che soltanto il Concilio Vaticano II metterà del tutto in luce.

Il lavoro di Strange – competente e appassionato – merita dunque l’interesse sia di chi vuole misurarsi con un uomo che ha «usato» bene la propria vita, non derogando, nonostante difficoltà e delusioni, dal proprio ideale di integrità, sia di chi vuole conoscere e approfondire gli esiti di una ricerca teologica, filosofica e morale di particolare intensità e valore.

Giovanni Paolo II, che lo dichiarò Venerabile nel 1991, così scrisse: «profonda onestà intellettuale, fedeltà alla coscienza e alla grazia, pietà e zelo sacerdotale, devozione alla Chiesa di Cristo e amore per la sua dottrina, incondizionata fiducia nella Provvidenza e assoluta obbedienza al volere di Dio, [caratterizzano] il genio di Newman... Rendendo grazie a Dio – conclude la Lettera Pontificia del 2001 per il dono del venerato John Henry Newman, in occasione dei duecento anni della nascita, preghiamo affinché questa guida certa ed eloquente nella nostra perplessità diventi anche nelle nostre necessità un intercessore potente al cospetto del trono della grazia. Preghiamo affinché la Chiesa proclami presto ufficialmente e pubblicamente la santità esemplare di uno dei campioni più versatili e illustri della spiritualità inglese».

Il cardinale John Henry Newman sarà beatificato il 19 Settembre 2010, a Birmingham, durante la storica visita apostolica in Gran Bretagna di Papa Benedetto XVI.


Traduzione dall'inglese di Gabriella Tonoli.


L'Autore
Mons. Roderick Strange è rettore del Pontificio Collegio Beda di Roma. È stato cappellano cattolico dell’Università di Oxford e presidente della conferenza nazionale dei sacerdoti. Tra i suoi libri due acclamate introduzioni alla dottrina e alla vita spirituale della Chiesa cattolica, The Catholic Faith e Living Catholicism, e uno studio sul sacerdozio cattolico, The Risk of Discipleship.


Dal Libro
Il percorso di Newman
Newman nacque il 21 febbraio del 1801 e morì l’11 agosto del 1890. La sua vita fu lunga e intricata, profonda e complessa. Nel mese di ottobre del 1963, papa Paolo VI, nel discorso per la beatificazione del prete passionista Dominic Barberi – colui che aveva accolto Newman nella Chiesa cattolica – si soffermò a parlare direttamente di Newman. Lo descrisse come un uomo «pienamente cosciente della sua missione – “ho un lavoro da fare” – guidato unicamente dall’amore per la verità e dalla fedeltà a Cristo, il quale per arrivare alla pienezza della saggezza e della pace tracciò un percorso, il più penoso, ma anche il più grande, il più significativo, il più decisivo che il pensiero umano abbia mai condotto nel [XIX] secolo, anzi si potrebbe dire nell’età moderna». Sono parole molto forti. In seguito Stephen Dessain mi disse che sembrava che il Papa stesse beatificando Newman più che Dominic. In ogni caso era chiaramente consapevole del cammino intrapreso da Newman.
Seguire il percorso di una vita così ricca non è cosa facile, ma è necessario tracciarne un profilo che costituisca il contesto in cui sorsero le questioni che prenderò in considerazione nel corso del libro. Diversi sono gli approcci possibili.
Ho già accennato a quanto in principio io sia stato affascinato dai contrasti della vita di Newman, che procedette secondo uno schema di aspettativa e delusione: il brillante studente universitario che riesce a malapena a laurearsi; il docente dell’Oriel College i cui studenti si ritirano; il leader del Movimento di Oxford che diventa un cattolico romano; l’illustre convertito di cui non ci si fida appieno e il cui talento viene sfruttato male; e poi alla fine, gli anni inaspettati in cui divenne cardinale, quando le persecuzioni ebbero fine ed egli fu stimato e trattato con rispetto. Per tutto quel tempo, Newman andò in cerca della Chiesa. La domanda che lo guidava era: dove si poteva trovare il Corpo di Cristo in modo più completo? Era suo desiderio farne parte. E quando, nel 1845, capì di aver trovato la risposta a quella domanda e quindi agì in base a essa, diventando un cattolico, seguirono altri lunghi anni di maturazione, sofferenza e umiliazione.
Nella sua affascinante vita è forse possibile delineare tre fasi principali. Fino al 1833, andò in cerca di se stesso; negli anni dal 1833 al 1845 fu messo a dura prova; e successivamente si manifestarono le conseguenze della sua decisione di diventare cattolico.


L'Indice dell'opera

7 Ringraziamenti
9 Abbreviazioni
13 Prefazione

John Henry Newman

21 1. «Hai mai letto Newman?»
35 2. Il percorso di Newman
63 3. Una mente viva
83 4. Autorità infallibile
101 5. Maria, la madre di Gesù
121 6. Al servizio dei laici
145 7. Alla ricerca dell’unità della Chiesa
163 8. Strana provvidenza
181 9. Predicare una fede viva
201 10. Testimone di santità
217 11. La fiamma dell’amore
229 Indice dei nomi

lunedì 15 febbraio 2010

Il Papa incontra i seminaristi romani e parla di fede, ragione e tanto altro.

Il Papa si è incontrato lo scorso 12 Febbraio con i seminaristi romani.
Ha tenuto una lectio divina.
Qui sotto avete un assaggio, che abbiamo potuto vedere dal blog del vaticanista Sandro Magister, ma merita di essere letta tutta e allora la potete leggere qui, direttamente dal sito del Vaticano.
Il passo qui sotto prende spunto da un appunto che un professore muove al Papa dal discorso di Regensburg (quello che fece tanto arrabbiare gli islamici e i tanti antipapisti fuori e dentro la Chiesa...).


… Poco tempo fa mi ha scritto un professore di Regensburg, un professore di fisica, che aveva letto con grande ritardo il mio discorso all’Università di Regensburg, per dirmi che non poteva essere d’accordo con la mia logica o poteva esserlo solo in parte. Ha detto: “Certo, mi convince l’idea che la struttura razionale del mondo esiga una ragione creatrice, la quale ha fatto questa razionalità che non si spiega da se stessa”. E continuava: “Ma se può esserci un demiurgo – così si esprime –, un demiurgo mi sembra sicuro da quanto lei dice. Ma non vedo che ci sia un Dio amore, buono, giusto e misericordioso. Posso vedere che ci sia una ragione che precede la razionalità del cosmo, ma il resto no”. E così Dio gli rimane nascosto. È una ragione che precede le nostre ragioni, la nostra razionalità, la razionalità dell’essere, ma non c’è un amore eterno, non c’è la grande misericordia che ci dà da vivere.

Ed ecco, in Cristo, Dio si è mostrato nella sua totale verità, ha mostrato che è ragione e amore, che la ragione eterna è amore e così crea. Purtroppo, anche oggi molti vivono lontani da Cristo, non conoscono il suo volto e così l’eterna tentazione del dualismo, che si nasconde anche nella lettera di questo professore, si rinnova sempre, cioè che forse non c’è solo un principio buono, ma anche un principio cattivo, un principio del male; che il mondo è diviso e sono due realtà ugualmente forti: e che il Dio buono è solo una parte della realtà.

Anche nella teologia, compresa quella cattolica, si diffonde attualmente questa tesi: Dio non sarebbe onnipotente. In questo modo si cerca un’apologia di Dio, che così non sarebbe responsabile del male che troviamo ampiamente nel mondo. Ma che povera apologia! Un Dio non onnipotente! Il male non sta nelle sue mani! E come potremmo affidarci a questo Dio? Come potremmo essere sicuri nel suo amore se questo amore finisce dove comincia il potere del male?

Rassegna stampa

14 Febbraio 2010 - Repubblica
Bioetica
Attacco di Ratzinger 168 KB

14 Febbraio 2010 - Avvenire
Bioetica
Papa: vita umana soggetto di diritto 652 KB

14 Febbraio 2010 - Giornale
Bioetica
Papa: la vita non è in mano agli scienziati 57 KB

14 Febbraio 2010 - Avvenire
Bioetica
D'Agostino: nel cuore dell'uomo la bussola 108 KB

14 Febbraio 2010 - Giornale
Omosessuali
Caffarra: non è cattolico chi riconosce le unioni gay 193 KB

14 Febbraio 2010 - Stampa
Omosessuali
Poletto bacchetta Chiamparino 245 KB

15 Febbraio 2010 - Sole24ore
Divorzio
Un terzo dei matrimoni finisce male in tribunale 450 KB

Un aforisma al giorno - 158

"Se non sproniamo noi stessi continuamente all’umiltà e alla gratitudine, ci accade col passare del tempo di vedere sempre meno il significato del cielo o delle pietre" .

Gilbert Keith Chesterton, Tremendous Trifles
Grazie alla segnalazione di Sabina Nicolini

Papa Benedetto dai poveracci della Caritas di Roma - dal blog di Andrea Tornielli

"Gli occhi del Papa commosso incrociano quelli di Giovanna, la clochard che con la voce tremante ha accolto Benedetto XVI all’Ostello della Caritas presso la Stazione Termini di Roma: «Le garantisco che noi pregheremo per lei. Perché Dio Le dia la forza di essere sereno e forte e pieno di speranza come lo siamo noi. Qui lei trova dolore, certamente, ma se dovesse, nel viaggio di ritorno, poter portare con lei una cosa soltanto, porti, la prego, la speranza». Si è detto spesso che la cifra saliente del pontificato di Ratzinger sono le omelie, i discorsi, gli insegnamenti, più che i gesti. Mi sembra che nell’incontro di stamattina, la semplicità con cui il vescovo di Roma ha mostrato la sua vicinanza ai poveri e agli emarginati della città, smentisca questa tesi. Ai «gesti» d’amore che qui vengono quotidianamente compiuti dai volontari, il Papa ha fatto riferimento nel suo discorso: «Attraverso i gesti, gli sguardi e le parole di quanti prestano qui il loro servizio, numerosi uomini e donne toccano con mano che le loro vite sono custodite dall’Amore, che è Dio, e grazie ad esso hanno un senso e un’importanza… Questa certezza profonda genera nel cuore dell’uomo una speranza forte, solida, luminosa, una speranza che dona il coraggio di proseguire nel cammino della vita nonostante i fallimenti, le difficoltà e le prove che la accompagnano. Cari fratelli e sorelle che operate in questo luogo, abbiate sempre davanti ai vostri occhi e nel vostro cuore l’esempio di Gesù, che per amore si fece nostro servo e ci amò “fino alla fine” (cfr Gv 13,1), fino alla Croce. Siate, dunque, gioiosi testimoni dell’infinita carità di Dio e, imitando l’esempio del diacono san Lorenzo, considerate questi vostri amici uno dei tesori più preziosi della vostra vita»".

venerdì 12 febbraio 2010

Un aforisma al giorno - 157

"Il Cristianesimo è sempre fuori di moda perché è sano, e tutte le mode sono insanità".

Gilbert Keith Chesterton, La sfera e la croce – “Un intermezzo”

giovedì 11 febbraio 2010

Pearce sul Catholic Herald - Gratitudine verso Chesterton


Joseph Pearce è l'oggetto di questo articolo del Catholic Herald, giornale cattolico britannico.

Molti di voi lo conosceranno: da estremista razzista irlandese a cattolico convintissimo grazie a Chesterton.

Lo incontra il giornalista Ed West.

In carcere Pearce lesse Chesterton e si convertì. Crediamo che questa possa essere annoverata tra le grazie di Chesterton, e di simili ce ne sono molte.

Pearce un paio d'anni fa fece una tourneè in Italia, il nostro blog ne porta traccia.

mercoledì 10 febbraio 2010

Giornata del ricordo, chi se lo ricorda?

Oggi è la Giornata del Ricordo, per commemorare i morti nelle foibe
comuniste titine.

Chi ne ha parlato?

Chi se lo ricorda?

Quanti film sull'argomento?

Eutanasia - Eluana Englaro: il medico che la visitò dice che lo stato vegetativo è vita, e non è questione di fede


INT. a Giuliano Dolce - Il Sussidiario
mercoledì 10 febbraio 2010

«Ci può essere un protocollo su come guarire una polmonite, ma non su come far morire. Eluana è morta soffrendo. Se non ha sofferto era molto sedata e qui i limiti con una eutanasia si confondono». Questo è il giudizio del professor
GIULIANO DOLCE, il medico che nel gennaio del 2008 visitò Eluana Englaro. Riscontrando una serie infinita di contraddizioni in tutta la vicenda che ne decretò la morte per sentenza. Nonostante fosse palese che Eluana fosse viva e che persistesse in lei una «coscienza sommersa». Il professore racconta la sua esperienza e le sue impressioni a ilsussidiario.net

Professor Dolce, ieri ricorreva un anno dalla morte di Eluana Englaro. Cosa ricorda?

Ebbi la possibilità di visitarla. La storia di Eluana è nota; ed è noto che il suo non è stato soltanto una caso clinico. Già poche ore dopo l’incidente il padre si scontrò col primario di rianimazione, perché non voleva che fosse intubata. Naturalmente il primario non poté acconsentire ad una richiesta simile. Da allora Englaro iniziò la sua famosa «battaglia» che si concluse con la tumulazione della figlia.

Lei visitò Eluana con il consenso del padre e trovò che era capace di deglutire. È così?

Esatto. Io ero convinto che Eluana non fosse in stato vegetativo, che di per sé è molto raro. Chiesi al padre il permesso di visitarla, lui me lo concesse e andai a Lecco a visitare Eluana. La trovai in ottime condizioni generali, però era effettivamente in stato vegetativo, anche dopo 17 anni. Ebbi un colloquio con la suora che la accudiva e che le era molto affezionata: mi disse che erano anni che cercava un contatto con lei, ma la ragazza non aveva dato il minimo segno di reazione. Eluana era alimentata e idratata con un sondino naso gastrico. Nei primi anni la madre la alimentava per bocca, ma poi diradò le visite e fu posizionato un sondino. Io però notai che deglutiva ancora la saliva: a volte questi malati lo fanno, a volte no.

Questo che cosa poteva cambiare?

È un elemento che incontra il problema della sentenza. Cosa disse la Cassazione? Che per autorizzare l’interruzione dell’alimentazione la condizione di stato vegetativo della paziente avrebbe dovuto essere giudicata clinicamente come irreversibile. Premessa: non si può dare una prova scientifica certa che un paziente non possa risvegliarsi anche dopo lunghissimo tempo. Infatti è accaduto. La sentenza milanese parlava poi di «stato vegetativo permanente». Ma questa espressione è sbagliata altrimenti chi definisce lo stato permanente si arroga il diritto di decretare una prognosi irreversibile e infatti la logica era che siccome Eluana non dava segni di reversibilità cognitiva, si poteva - anzi si «doveva» - farla morire.

Il punto?

Questa condizione irrevocabilmente «permanente» andava verificata ma questo non è stato fatto. Io la visitai in mezz’ora, solo per accertare lo stato vegetativo, ma occorreva che un collegio di tre esperti accertasse lo stato irreversibile. Quando Eluana venne portata a Udine scrissi una lettera al direttore sanitario della clinica dicendo che l’avevo visitata e che avevo riscontrato la deglutizione. E che bisognava fare un esame speciale per capire se la deglutizione naturale era conservata al punto tale da poter mantenere in vita Eluana alimentandola per bocca. Questo perché il tribunale di Milano aveva autorizzato solo la sospensione dell’alimentazione artificiale, ma non fu fatto nulla. Lei mi chiede il punto, ma il punto non è ancora questo.

Si riferisce alla contraddittorietà della sentenza?

Sì. Qui ci si divide tra chi è d’accordo con il fare l’abbandono attivo e chi non è d’accordo, ma resta il fatto che nessun medico al mondo fa qualcosa che produce direttamente la morte del malato. Invece la sentenza autorizzava il tutore a sospendere ogni cura, comprese alimentazione e idratazione, prescrivendo al contempo che non bisognasse far soffrire Eluana, somministrandole le sostanze adatte a eliminare i dolori. Ma Eluana non era malata, era in uno stato di grave disabilità e nella condizione di non potersi alimentare da sola. Alimentazione e idratazione non erano e non sono una terapia, ma ciò di cui una persona in stato vegetativo ha bisogno per vivere, esattamente come accade per noi.

Crede che i suoi colleghi non si siano comportati in modo deontologicamente corretto?

Non lo hanno fatto perché un medico non può adoperarsi per far morire una persona. Sapevano infatti che senza mangiare e senza bere sarebbe morta. Non è ammissibile che in un paese civile come l’Italia una persona venga lasciata morire di sete. Io, medico, per eseguire la sentenza di un tribunale faccio una tortura! Per evitare le sofferenze somministro sedativi e, quindi, «curo» contravvenendo così il dispositivo della sentenza stessa del tribunale. Non ci si può rifugiare in un «protocollo». Ci può essere un protocollo su come guarire una polmonite, ma non su come far morire. Eluana è morta soffrendo. Se non ha sofferto era molto sedata e qui i limiti con una eutanasia si confondono. I pazienti in stato vegetativo, è dimostrato scientificamente, provano dolore.

Tutto quello che lei ha detto finora si basa sul presupposto che lo stato vegetativo sia una vita in senso proprio.

È una vita che non ci manda segnali visibili, e che potremmo ritenere imperscrutabile e da qui - erroneamente - inesistente. Al contrario, è vita vera. Gli studi di Owen e di Laurys, facendo ricorso ad esperimenti molto avanzati, hanno dimostrato che una piccola percentuale di pazienti in stato vegetativo risponde sì-no a stimoli fatti di domande elementari.

Questo dimostra che la coscienza è viva e operante?

Viva e operante no. Piuttosto questi esperimenti dimostrano che c’è attività di coscienza anche in assenza di consapevolezza. Noi stessi nel nostro centro di Crotone (Istituto Sant’Anna, ndr) siamo pervenuti agli stessi risultati ma con altri approcci. Abbiamo verificato che il cervello emette i correlati fisici delle emozioni. È quello che abbiamo chiamato l’«effetto mamma».

In cosa consiste?

Le mamme solitamente affermano che i loro figli le sentono e le capiscono mentre un esterno non vede nulla. Una serie di esperimenti ci hanno dimostrato che quando una madre parla al malato egli effettivamente risponde con riflessi psicogalvanici come quelli che fanno funzionare una macchina della verità. La «misura» delle emozioni è possibile valutarla con il calcolo della variabilità del ritmo cardiaco. Ma se a parlare è un estraneo questi riflessi non ci sono. Tutto questo dice che durante lo stato vegetativo il malato è escluso dal mondo esterno, ma non lo è altrettanto dal mondo interno. C’è un mondo interno che «non si spegne».

La vita in stato vegetativo ha una sua dignità?

Sì. Ho davanti una persona che non esprime volontà di coscienza chiara - si chiama «coscienza sommersa» - ma non è un corpo abbandonato, perché il suo cervello oltre ad essere vivo, lavora. Dorme, sta sveglio, si emoziona. Su cento pazienti in stato vegetativo solo sette rimangono nello stato di Eluana. Gli altri si svegliano, chi dopo uno, due, tre anni. Una percentuale rilevante (80 per cento)di pazienti in stato vegetativo da trauma cranico riprendono l’attività di coscienza. Conosco casi di persone che guidano l’autobus, fanno il tassista, vanno a scuola, sono laureati, sposati, si sono dimenticati di aver avuto questa malattia.

Secondo lei Eluana Englaro è morta invano?

Il mio timore è che non si sia capito che lo stato vegetativo non è di destra o di sinistra. Vorrei invece che fosse la misura della civiltà del nostro popolo. Alla domanda: si può vivere in questo modo?, tutti direbbero di no, ma la loro è vita e non possiamo abbandonarli. Esaurita la fase cronica le cure cessano e il malato è guarito. Può aver perso delle funzionalità e avere disabilità gravi, ma è un disabile, non un ammalato. Non chiede niente e ha bisogno di tutto. Me ne devo fare carico. E mantenerlo fin che muore per vie naturali.

Lei non ne fa dunque una questione di fede.

Non c’entra niente la fede. C’entra che da persona civile accudisco un’altra persona che non può farlo da sé. Costa allo stato cento euro al giorno o 200mila euro l’anno? Si tratterà di fare un uso più razionale delle risorse. Quelle stesse risorse con le quali magari lo stato compra tre elicotteri che costano cinque volte di più. Se uno invece di essere come Eluana è un disoccupato o un emarginato, un «ramo secco» della società, facciamo fuori anche lui? Eluana ha occupato con clamore le cronache nazionali, ma io conosco tremila persone in Italia che accudiscono un familiare in stato vegetativo. Nessuno si lamenta ed i familiari li accudiscono con amore e mi dicono che è meglio avere la loro compagnia che andare al cimitero a portare i fiori.

C’è dibattito sul testamento biologico. Cosa direbbe ai politici?

Uno vuole rinunciare alle cure? Noi medici non lo curiamo. Ma in una situazione di emergenza, in cui non si sa quello che la persona vorrà fare, non la si può lasciar morire. Sappiamo che tutti i testamenti possono essere cambiati da chi fa testamento in un qualsiasi momento. Ma una persona in stato vegetativo non lo può fare. Ecco perché potrà morire per malattia, ma non deve morire per sete.