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venerdì 30 ottobre 2009

Dal prof. Carlo Bellieni

La Suisse compte durcir sa législation sur le suicide assisté

La Svizzera va verso una legislazione più restrittiva sul suicidio assistito: dei candidati due medici devono attesare la volontà e la presenza di una malattia fisica e mortale. Devono poi illustrare le alternative al suicidio. QUesto farà cessare il "turismo della morte".

di C Bellieni

(...) La legge 194 è fatta esplicitamente per normare la “interruzione di gravidanza” e non “l’aborto”, parola che la legge non usa mai. Ora, nel caso della riduzione fetale, la gravidanza della donna non viene interrotta, pur venendo consumato un aborto. Ed è qui il punto: se la legge parla solo di depenalizzare l’interruzione di gravidanza (IVG), difficilmente può rientrare nel suo ambito un intervento che la gravidanza non interrompe, perché per “gravidanza interrotta” si intende che la donna non ...(leggi tutto...)

Rassegna stampa

30 Ottobre 2009 - Repubblica
Cellule Staminali
Ovuli e sperma dalle staminali 141 KB

30 Ottobre 2009 - CorrieredellaSera
Cellule Staminali
Nascite senza genitori 187 KB

30 Ottobre 2009 - Repubblica
Cellule Staminali
Sgreccia: moralmente inaccettabile 77 KB

30 Ottobre 2009 - Stampa
Cellule Staminali
Flamigni: passo fondamentale per battere la sterilità 87 KB

30 Ottobre 2009 - Avvenire
Cellule Staminali
DallaPiccola: altra deriva verso la vita artificiale 104 KB

30 Ottobre 2009 - Stampa
Fine Vita
Genova, registro per il testamento biologico 77 KB

PAKISTAN - Salvate i cristiani e il Pakistan dalla legge sulla blasfemia

Articolo di Dario Salvi - da Asianews

La legge sulla blasfemia – prigione e condanna a morte per chi offende il Corano o Maometto – è uno strumento per eliminare le minoranze religiose. AsiaNews lancia una campagna di sensibilizzazione perché sia abrogata. A causa di essa, dal 2001 sono stati uccisi almeno 50 cristiani, distrutte famiglie e interi villaggi. Anche nel Paese emergono voci cristiane e islamiche che chiedono la cancellazione della norma.


Roma (AsiaNews) – Robert Fanish Masih è solo l’ultima vittima cristiana, in ordine di tempo, della legge sulla blasfemia in vigore in Pakistan dal 1986. Questa legge punisce con ergastolo o pena di morte chi profana il Corano o dissacra il profeta Maometto e basta essere accusati da una sola persona per essere arrestati ed eliminati. Una norma aberrante, foriera di discriminazioni, che “legalizza” violenze contro le minoranze religiose e i cui autori rimangono il più delle volte impuniti, grazie alla connivenza delle forze di polizia e dei funzionari di governo.

Robert, 20enne originario del villaggio di Jaithikey, poco distante dalla città di Samberial, nel distretto di Sialkot (Punjab), era stato arrestato il 12 settembre scorso con l’accusa di blasfemia. Il giorno precedente una folla di musulmani si era riunita attorno alla chiesa locale danneggiando prima l’edificio, poi gli hanno dato fuoco. Gli estremisti hanno anche saccheggiato due abitazioni adiacenti la chiesa.

Il giovane era stato accusato di aver “provocato” una ragazza, prendendo una copia del Corano che aveva fra le mani e “gettandola via”. In realtà, a scatenare l’ira dei fondamentalisti islamici vi era la relazione fra il ventenne cristiano e la ragazza musulmana; uno dei testimoni che ha incriminato Fanish, infatti, è la madre della giovane. Padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica (Ncjp), aveva chiarito che i fondamentalisti “non sopportano che una ragazza musulmana si innamori di un cristiano”.

La notte fra il 12 e il 13 settembre Robert Fanish Masih è morto, in carcere, per le violenze subite. Il corpo del giovane, infatti, presentava segni evidenti di ferite profonde alla testa, provocate da un’arma da taglio. Poco dopo il ritrovamento del cadavere, Waqar Ahmad Chohan, ufficiale del distretto di polizia di Sialkot, ha riferito che Fanish si sarebbe “suicidato in cella”. Una tesi smentita con fermezza da numerosi leader cristiani, alcuni dei quali hanno potuto vedere il corpo del giovane prima dei funerali. Nadeem Anthony – membro della Commissione nazionale per i diritti umani (Hrcp) – ha subito denunciato un caso di “omicidio legalizzato”, smentendo la versione degli agenti che parlavano di “impiccagione in carcere”.

L’attivista ha quindi aggiunto che il giovane “ha subito torture, in seguito alle quali è deceduto. Sono visibili i segni delle percosse e delle ferite sul corpo, come emerge dalle fotografie”. Nei giorni seguenti alla morte, AsiaNews ha ricevuto gli scatti del cadavere, che confermano le torture inferte, le quali nulla hanno a che vedere con i segni di strangolamento da impiccagione.

Ai funerali di Fanish Masih, celebrati il 16 settembre, vi sono stati lanci di gas lacrimogeni, numerosi feriti e una serie di arresti; la polizia ha caricato la folla di cristiani radunata per le esequie, giustificando il duro attacco dicendo che “volevano prevenire ulteriori disordini”. Il corpo è stato sepolto in un cimitero cattolico di Sialkot, il distretto d’origine del giovane, dove per diversi giorni ha regnato un’atmosfera carica di tensione.

Le accuse di blasfemia montano spesso fino a decretare la distruzione di case e villaggi cristiani. Lo scorso 30 luglio una folla di 3 mila musulmani ha attaccato e incendiato i villaggi di Koriyan per punire un presunto caso di blasfemia. Il 1° agosto i fanatici hanno attaccato il villaggio di Gojra, uccidendo 7 persone, fra cui donne e bambini, incendiati vivi. La storia degli ultimi decenni in Pakistan è piena di assalti a chiese e villaggi cristiani motivati da scandali sulla blasfemia montati ad arte: Kasur (giugno 2009); Tiasar (Karachi, aprile 2009); Sangla Hill (2005); Shantinagar (1997).

Il Joint Action Committee for People’s Rights (Jac), organizzazione non governativa pakistana che si batte per i diritti umani nel Paese, manifesta “grande preoccupazione” per le violenze in continua crescita, mentre la comunità cristiana lancia appelli – finora caduti nel vuoto – perché venga fatta giustizia; le promesse di risarcimento sono, al momento, rimaste disattese. Le violenze di gruppi musulmani contro cristiani, giustificate con la blasfemia, costituiscono una lunga lista. Esse non riguardano solo cristiani, ma anche altre minoranze e non solo individui, ma villaggi e interi paesi.

Di fronte al crescere di tale violenza gratuita e meschina, coperta dal manto della religione, cominciano ad emergere voci sempre più forti. Il 6 ottobre scorso, alla Camera bassa del Parlamento Sherry Rehman, ex Ministro dell’informazione, e Jameela Gilani, entrambe di fede musulmana, hanno chiesto l’abrogazione della legge sulla blasfemia.

Lo stesso giorno, il parlamentare cristiano Akram Masih Gill lancia una provocazione: “Se esiste l’ergastolo – afferma – per blasfemia contro il Profeta Maometto e il Corano, perché non introduciamo una simile punizione per chi infanga il nome di Cristo e la Bibbia?!”. Fiduciosi di questo appoggio interconfessionale, il 25 ottobre scorso i leader del Pakistan Christian Congress (Pcc), che raduna tutte le organizzazioni cristiane del Paese, hanno indetto una conferenza, a Rawalpindi sotto la minaccia dei fondamentalisti islamici. L’obiettivo era “l’abolizione totale delle leggi sulla blasfemia”.

A sua volta, per il 12 e 13 dicembre prossimi, l’International Minorities Alliance (Ima), organizzazione di ispirazione cristiana, ha indetto una “Conferenza internazionale sulle minoranze” a Lahore per discutere il futuro del Pakistan e delle minoranze. Il Pakistan, infatti, nato come Stato laico, a difesa di tutte le comunità etniche e religiose, è divenuto via via una Repubblica islamica che uccide le minoranze, anche quelle più devote alla costruzione del Paese.

L’abolizione della legge sulla blasfemia e di tutte le leggi contro le minoranze sono anche la strada per un vero progresso di tutta la popolazione pakistana.

Con questo dossier, AsiaNews, da sempre attenta alle questioni legate alla libertà religiosa e al rispetto dei diritti umani, intende offrire qualche strumento per capire e anche per solidarizzare con cristiani, ahmadi e sikh contro questa legge infamante.

giovedì 29 ottobre 2009

Figli senza padre e madre - Sperma e ovuli dalle staminali

Da Repubblica - Dai, continuiamo a farci del male! E qualcuno dirà che questo è vero progresso e andrà in qualche intelligente trasmissione televisiva dove si diranno queste cose con la stessa stupida leggerezza con cui diciamo che è sempre troppo freddo o troppo caldo o che non ci sono più le mezze stagioni...

La ricerca della Stanford University pubblicata da Nature
Una scoperta importante per i trattamenti contro la sterilità

ROMA - Far nascere dei bambini senza una madre e un padre biologici? Potrebbe essere possibile grazie ai risultati di una ricerca sulle cellule staminali effettuata da scienziati della Stanford University, in California. Ne parla il Daily Mail, citando però un articolo della rivista scientifica Nature. Secondo la ricerca, gli scienziati hanno messo a punto un coktail di sostanze chimiche e vitamine che riesce a interagire con le cellule staminali per trasformarle in ovuli e sperma.

La realizzazione di ovuli e sperma in laboratorio, precisa il tabloid, naturalmente apre la strada a sviluppi pratici anche più limitati offrendo opportunità sinora inedite per i trattamenti contro la sterilità e le malattia ma pone anche gravi problemi etici.

Infatti gli stessi autori della ricerca sostengono che bisognerebbe concordare specifiche linee guida per la produzione e l'uso di spermatozoi e ovuli artificiali.

Gli spermatozoi così ottenuti, dice la rivista, hanno la testa e la coda più piccola di quelli 'naturali' ma sembrano comunque in grado di poter fertilizzare un ovulo. Mentre gli ovuli sono in uno stadio non avanzato, ma più sviluppati di quanto sia avvenuto finora ad opera di altri scienziati.

Un commento di Andrea Piersanti sulla vicenda del premio al film Lo spazio bianco

Ieri abbiamo pubblicato l'articolo de Il Sussidiario di Andrea Autieri sul film di Francesca Comencini Lo spazio bianco che ha meritato il premio Gianni Astrei Pro Life assegnato dal Fiuggi Family Festival e dal Movimento per la Vita.

La decisione di premiare il film della Comencini è stata presa da una giuria presieduta da Andrea Piersanti, direttore artistico del Fiuggi Family Festival, già presidente dell'Istituto Luce e dell'Ente dello Spettacolo, e composta da Emanuela Genovese di "Box Office" e "Best Movie" (media partner del Family Festival), Saverio D'Ercole, direttore del settore cinema della Lux Vide, la vedova di Astrei, Antonella Bevere (nuovo presidente in pectore del Fiuggi Family Festival) e Angelo Astrei (figlio di Gianni).

Nella motivazione del premio, la giuria ha scritto: “Forse, anche al di là delle stesse intenzioni della regista, il film dimostra una incontenibile forza della vita! Una vita che, anche se ‘imperfetta’ riesce a riempire il vuoto di un'esistenza. un esempio di film laico che contiene una dimensione valoriale ‘condivisibile’ nell’ambito di un territorio più alto, quello della ‘cultura della vita’ che, come il film dimostra, appartiene all'umanità e non agli schieramenti”.

Abbiamo ricevuto un commento al nostro post da parte di Andrea Piersanti, uno degli artefici di questa scelta, e lo ringraziamo per l'attenzione che ha avuto. Il commento è qui sotto:

«Grazie per la difesa appassionata della nostra decisione di premiare proprio questo film. Diceva un mio caro amico, un magistrato, che il fatto artistico è preterintenzionale, che va al di là della misera condizione umana. Per allargare la riflessione rimando le persone interessate alla lettura di quella straordinaria "lettera" che Giovanni Paolo II volle rivolgere agli artisti di tutto il mondo. Andrea Piersanti».

mercoledì 28 ottobre 2009

La catechesi di Papa Benedetto - Fede e ragione, sempre insieme.

Il testo della catechesi all'udienza generale di Papa Benedetto XVI di oggi 28 Ottobre 2009

Cari fratelli e sorelle,

oggi mi soffermo su un’interessante pagina di storia, relativa alla fioritura della teologia latina nel secolo XII, avvenuta per una serie provvidenziale di coincidenze. Nei Paesi dell’Europa occidentale regnava allora una relativa pace, che assicurava alla società sviluppo economico e consolidamento delle strutture politiche, e favoriva una vivace attività culturale grazie pure ai contatti con l’Oriente. All’interno della Chiesa si avvertivano i benefici della vasta azione nota come "riforma gregoriana", che, promossa vigorosamente nel secolo precedente, aveva apportato una maggiore purezza evangelica nella vita della comunità ecclesiale, soprattutto nel clero, e aveva restituito alla Chiesa e al Papato un’autentica libertà di azione. Inoltre si andava diffondendo un vasto rinnovamento spirituale, sostenuto dal rigoglioso sviluppo della vita consacrata: nascevano e si espandevano nuovi Ordini religiosi, mentre quelli già esistenti conoscevano una promettente ripresa.

Rifiorì anche la teologia acquisendo una più grande consapevolezza della propria natura: affinò il metodo, affrontò problemi nuovi, avanzò nella contemplazione dei Misteri di Dio, produsse opere fondamentali, ispirò iniziative importanti della cultura, dall’arte alla letteratura, e preparò i capolavori del secolo successivo, il secolo di Tommaso d’Aquino e di Bonaventura da Bagnoregio. Due furono gli ambienti nei quali ebbe a svolgersi questa fervida attività teologica: i monasteri e le scuole cittadine, le scholae, alcune delle quali ben presto avrebbero dato vita alle Università, che costituiscono una delle tipiche "invenzioni" del Medioevo cristiano. Proprio a partire da questi due ambienti, i monasteri e le scholae, si può parlare di due differenti modelli di teologia: la "teologia monastica" e la "teologia scolastica". I rappresentanti della teologia monastica erano monaci, in genere Abati, dotati di saggezza e di fervore evangelico, dediti essenzialmente a suscitare e ad alimentare il desiderio amoroso di Dio. I rappresentanti della teologia scolastica erano uomini colti, appassionati della ricerca; dei magistri desiderosi di mostrare la ragionevolezza e la fondatezza dei Misteri di Dio e dell’uomo, creduti con la fede, certo, ma compresi pure dalla ragione. La diversa finalità spiega la differenza del loro metodo e del loro modo di fare teologia.

Nei monasteri del XII secolo il metodo teologico era legato principalmente alla spiegazione della Sacra Scrittura, della sacra pagina per esprimerci come gli autori di quel periodo; si praticava specialmente la teologia biblica. I monaci, cioè, erano tutti devoti ascoltatori e lettori delle Sacre Scritture, e una delle principali loro occupazioni consisteva nella lectio divina, cioè nella lettura pregata della Bibbia. Per loro la semplice lettura del Testo sacro non bastava per percepirne il senso profondo, l’unità interiore e il messaggio trascendente. Occorreva, pertanto, praticare una "lettura spirituale", condotta in docilità allo Spirito Santo. Alla scuola dei Padri, la Bibbia veniva così interpretata allegoricamente, per scoprire in ogni pagina, dell’Antico come del Nuovo Testamento, quanto dice di Cristo e della sua opera di salvezza.

Il Sinodo dei Vescovi dell’anno scorso sulla "Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa" ha richiamato l’importanza dell’approccio spirituale alle Sacre Scritture. A tale scopo, è utile far tesoro della teologia monastica, un’ininterrotta esegesi biblica, come pure delle opere composte dai suoi rappresentanti, preziosi commentari ascetici ai libri della Bibbia. Alla preparazione letteraria la teologia monastica univa dunque quella spirituale. Era cioè consapevole che una lettura puramente teorica e profana non basta: per entrare nel cuore della Sacra Scrittura, la si deve leggere nello spirito in cui è stata scritta e creata. La preparazione letteraria era necessaria per conoscere l’esatto significato delle parole e facilitare la comprensione del testo, affinando la sensibilità grammaticale e filologica. Lo studioso benedettino del secolo scorso Jean Leclercq ha così intitolato il saggio con cui presenta le caratteristiche della teologia monastica: L’amour des lettres et le désir de Dieu (L’amore delle parole e il desiderio di Dio). In effetti, il desiderio di conoscere e di amare Dio, che ci viene incontro attraverso la sua Parola da accogliere, meditare e praticare, conduce a cercare di approfondire i testi biblici in tutte le loro dimensioni. Vi è poi un’altra attitudine sulla quale insistono coloro che praticano la teologia monastica, e cioè un intimo atteggiamento orante, che deve precedere, accompagnare e completare lo studio della Sacra Scrittura. Poiché, in ultima analisi, la teologia monastica è ascolto della Parola di Dio, non si può non purificare il cuore per accoglierla e, soprattutto, non si può non accenderlo di fervore per incontrare il Signore. La teologia diventa pertanto meditazione, preghiera, canto di lode e spinge a una sincera conversione. Non pochi rappresentanti della teologia monastica sono giunti, per questa via, ai più alti traguardi dell’esperienza mistica, e costituiscono un invito anche per noi a nutrire la nostra esistenza della Parola di Dio, ad esempio, mediante un ascolto più attento delle letture e del Vangelo specialmente nella Messa domenicale. E’ importante inoltre riservare un certo tempo ogni giorno alla meditazione della Bibbia, perché la Parola di Dio sia lampada che illumina il nostro cammino quotidiano sulla terra.

La teologia scolastica, invece, - come dicevo - era praticata nelle scholae, sorte accanto alle grandi cattedrali dell’epoca, per la preparazione del clero, o attorno a un maestro di teologia e ai suoi discepoli, per formare dei professionisti della cultura, in un’epoca in cui il sapere era sempre più apprezzato. Nel metodo degli scolastici era centrale la quaestio, cioè il problema che si pone al lettore nell’affrontare le parole della Scrittura e della Tradizione. Davanti al problema che questi testi autorevoli pongono, si sollevano questioni e nasce il dibattito tra il maestro e gli studenti. In tale dibattito appaiono da una parte gli argomenti dell’autorità, dall’altra quelli della ragione e il dibattito si sviluppa nel senso di trovare, alla fine, una sintesi tra autorità e ragione per giungere a una comprensione più profonda della parola di Dio. Al riguardo, san Bonaventura dice che la teologia è "per additionem" (cfr Commentaria in quatuor libros sententiarum, I, proem., q. 1, concl.), cioè la teologia aggiunge la dimensione della ragione alla parola di Dio e così crea una fede più profonda, più personale e quindi anche più concreta nella vita dell’uomo. In questo senso, si trovavano diverse soluzioni e si formavano conclusioni che cominciavano a costruire un sistema di teologia. L’organizzazione delle quaestiones conduceva alla compilazione di sintesi sempre più estese, cioè si componevano le diverse quaestiones con le risposte scaturite, creando così una sintesi, le cosiddette summae, che erano, in realtà, ampi trattati teologico-dogmatici nati dal confronto della ragione umana con la parola di Dio. La teologia scolastica mirava a presentare l’unità e l’armonia della Rivelazione cristiana con un metodo, detto appunto "scolastico", della scuola, che concede fiducia alla ragione umana: la grammatica e la filologia sono al servizio del sapere teologico, ma lo è ancora di più la logica, cioè quella disciplina che studia il "funzionamento" del ragionamento umano, in modo che appaia evidente la verità di una proposizione. Ancora oggi, leggendo le summae scolastiche si rimane colpiti dall’ordine, dalla chiarezza, dalla concatenazione logica degli argomenti, e dalla profondità di alcune intuizioni. Con linguaggio tecnico, viene attribuito ad ogni parola un preciso significato e, tra il credere e il comprendere, viene a stabilirsi un reciproco movimento di chiarificazione.

Cari fratelli e sorelle, facendo eco all’invito della Prima Lettera di Pietro, la teologia scolastica ci stimola ad essere sempre pronti a rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in noi (cfr 3,15). Sentire le domande come nostre e così essere capaci anche di dare una risposta. Ci ricorda che tra fede e ragione esiste una naturale amicizia, fondata nell’ordine stesso della creazione. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, nell’incipit dell’Enciclica Fides et ratio scrive: "La fede e la ragione sono come le due ali, con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità". La fede è aperta allo sforzo di comprensione da parte della ragione; la ragione, a sua volta, riconosce che la fede non la mortifica, anzi la sospinge verso orizzonti più ampi ed elevati. Si inserisce qui la perenne lezione della teologia monastica. Fede e ragione, in reciproco dialogo, vibrano di gioia quando sono entrambe animate dalla ricerca dell’intima unione con Dio. Quando l’amore vivifica la dimensione orante della teologia, la conoscenza, acquisita dalla ragione, si allarga. La verità è ricercata con umiltà, accolta con stupore e gratitudine: in una parola, la conoscenza cresce solo se ama la verità. L’amore diventa intelligenza e la teologia autentica sapienza del cuore, che orienta e sostiene la fede e la vita dei credenti. Preghiamo dunque perché il cammino della conoscenza e dell’approfondimento dei Misteri di Dio sia sempre illuminato dall’amore divino.

Uomini e tristezza - ... e la Comencini?

... letto il post precedente, cari amici, secondo voi la regista Francesca Comencini se la merita o no una bella nomination per il premio Uomini e tristezza?

Ma sì!!!

La lotta si fa sempre più dura.

CINEMA - Lo spazio bianco e le polemiche di Francesca Comencini

Da Il Sussidiario

Antonio Autieri

lunedì 19 ottobre 2009

Giorni fa, in occasione della presentazione romana alla stampa del suo nuovo film “Lo spazio bianco” (di cui abbiamo già parlato su questo sito, dopo il suo passaggio alla Mostra di Venezia), la regista Francesca Comencini ha ricevuto un premio, nuovo e particolare. Voluto dal Fiuggi Family Festival e dal Movimento per la vita, il Premio Pro Life - Gianni Astrei sarebbe stato attribuito per la prima volta a Venezia al film che avesse «contribuito, con i contenuti della storia e con il linguaggio, alla promozione della difesa del valore della vita umana»: così annunciavano alla vigilia del festival i promotori del premio, non ufficiale ma significativo.

Che si è subito attirato l’interesse di alcuni media ma anche le ironie di chi tollera i cattolici, purché se ne stiano al loro posto. I giurati del premio, in ogni caso, hanno scelto appunto “Lo spazio bianco”, che venerdì 16 ottobre è uscito nei cinema. Una scelta felice: la storia della donna matura (un’eccezionale Margherita Buy) che diventa madre e che da sola - il padre non se la sente di starle vicino - deve far fronte a una nascita non solo inaspettata ma anche a rischio, per le conseguenze del parto prematuro è significativa e commovente. Nelle settimane in cui la piccola Irene lotta, nell’incubatrice, per la sopravvivenza, si forma la consapevolezza di una madre apparentemente improbabile di fronte a un fatto più grande dei suoi limiti, che vince le sue resistenze.

A Venezia, dove avrebbe dovuto essere consegnato, il premio fu “congelato”: forse per la partenza anticipata della regista (che non era stata “preallertata” per qualche premio importante dalla giuria ufficiale della Mostra, che assegna il Leone d’oro). O forse perché la Comencini fece sapere che non avrebbe gradito il premio, considerato chi erano i premiatori…

E invece poi qualcuno, per fortuna l’ha convinta. E si è così deciso di consegnarlo a Roma, in occasione della presentazione del film in vista dell’uscita. Però, l’autrice ha pensato bene di marcare la distanza da chi aveva scelto il suo film, leggendo un comunicato in cui ha affermato, tra l’altro: «Il Movimento per la vita è un esercito che combatte, seppure pacificamente, una battaglia che non è la mia. Vorrei che mia figlia, o tutte le sue coetanee, potessero avere accesso alla pillola anticoncenzionale o a quella del giorno dopo, o nel caso di una gravidanza non desiderata, potessero interromperla. Non credo che le donne che interrompono volontariamente una gravidanza siano delle assassine».

E ancora: «Sono credente, di religione valdese. La mia fede non è contraddittoria con una battaglia civile per una normativa laica sulla libertà di scelta delle persone per quanto riguarda la loro vita e la loro morte». E via con altre considerazioni, con tono duro e insofferente per un premio di cui avrebbe fatto a meno.

Ora, al di là di considerazioni sull’opportunità - non poteva ritirare il premio, ringraziando, e poi operare i suoi distinguo in altra sede? - e sui modi, non esattamente oxfordiani, con cui una regista definita dalla critica “sensibile” non si fa scrupoli di tirare metaforici pesci in faccia a chi la omaggia di un premio, si rimane più che perplessi.

Perché, fin dalle motivazioni di giuria e promotori, il premio - intitolato a Gianni Astrei, un medico pediatra che ha ideato e fondato il Fiuggi Family Festival ed è deceduto pochi mesi fa durante una gita in montagna: un uomo intelligente, curioso e desideroso di abbattere gli steccati - non voleva essere un riconoscimento “cattolico” ma sanamente laico, per ricercare un «territorio più alto, quello della cultura della vita che, come il film dimostra, appartiene all'umanità e non agli schieramenti. Forse, anche al di là delle stesse intenzioni della regista, il film dimostra l’incontenibile forza della vita, che, anche se “imperfetta” riesce a riempire il vuoto di un'esistenza».

E invece, la regista ha preferito la linea dello scontro, forse come “excusatio” preventiva rispetto ad ambienti a lei vicini che avevano dileggiato la nascita di un premio “pro life”. O forse perché anche lei aderisce a quest’idea di Italia - purtroppo molto in voga di questi tempi - necessariamente in guerra, dove non ci si può confrontare con l’altro ma solo schierarsi e insultarsi reciprocamente.

Chi scrive, pur non essendo presente a questa imbarazzante performance, immagina l’amarezza di giurati e organizzatori (alcuni dei quali amici e colleghi: il presidente della giuria e direttore del festival di Fiuggi Andrea Piersanti; Emanuela Genovese giornalista di Box Office e Best Movie; Saverio D'Ercole, direttore del settore cinema della Lux Vide) che si sono sforzati con grande umiltà e passione per il bello e il vero di scegliere il film “giusto”.

E non si sono fermati a facili etichette o al curriculum di Francesca Comencini (che in passato ha diretto tra gli altri il documentario Carlo Giuliani ragazzo e i film Mi piace lavorare e A casa nostra), che evidentemente non corrispondeva all’identikit più scontato per il vincitore del loro premio (oltre tutto alla prima edizione). Giurati che hanno spiegato, appunto, nelle motivazioni le ragioni della loro scelta soppesando ogni parola, per evitare che suonassero una incongrua “irreggimentazione” in una fazione o “crociata”. E che si sono infine trovati “ringraziati” con una serie di slogan pronunciati con l’alterigia anche un po’ arrogante di chi non vuole avere a che fare con chi ha di fronte. E glielo dice a chiare lettere.

Però, questo fatto si presta a un’ultima considerazione, forse la più interessante. Chi ha assegnato il premio Pro Life deve pensare di essersi sbagliato (un premio simile a una regista dichiaratamente pro aborto, in effetti, può sembrarlo)? Dovrebbe ricredersi sul valore del film? Assolutamente no. “Lo spazio bianco” rimane un film molto bello, emozionante, vero. Che dimostra non solo la grandezza del cinema, arte che quando è tale supera gli schemi ideologici e fa prevalere solo le ragioni del talento e dell’ispirazione.

Come ha scritto lo sceneggiatore americano Thom Parham nell’interessantissimo libro Cristiani a Hollywood, a cura di Barbara Nicolosi (Edizioni Ares), avviene nel cinema un curioso paradosso: i migliori film cristiani spesso sono fatti da pagani, che non annacquano di buone e melense intenzioni la narrazione di grandi storie. Ma conferma anche la grandezza e l’originalità della vita stessa: dove la verità si manifesta nelle situazioni più impensate. Anche per questo, il premio Pro Life è stato ben assegnato.

CINEMA - Lo spazio bianco e le polemiche di Francesca Comencini

Da Il Sussidiario

Antonio Autieri

lunedì 19 ottobre 2009

Giorni fa, in occasione della presentazione romana alla stampa del suo nuovo film “Lo spazio bianco” (di cui abbiamo già parlato su questo sito, dopo il suo passaggio alla Mostra di Venezia), la regista Francesca Comencini ha ricevuto un premio, nuovo e particolare. Voluto dal Fiuggi Family Festival e dal Movimento per la vita, il Premio Pro Life - Gianni Astrei sarebbe stato attribuito per la prima volta a Venezia al film che avesse «contribuito, con i contenuti della storia e con il linguaggio, alla promozione della difesa del valore della vita umana»: così annunciavano alla vigilia del festival i promotori del premio, non ufficiale ma significativo.

Che si è subito attirato l’interesse di alcuni media ma anche le ironie di chi tollera i cattolici, purché se ne stiano al loro posto. I giurati del premio, in ogni caso, hanno scelto appunto “Lo spazio bianco”, che venerdì 16 ottobre è uscito nei cinema. Una scelta felice: la storia della donna matura (un’eccezionale Margherita Buy) che diventa madre e che da sola - il padre non se la sente di starle vicino - deve far fronte a una nascita non solo inaspettata ma anche a rischio, per le conseguenze del parto prematuro è significativa e commovente. Nelle settimane in cui la piccola Irene lotta, nell’incubatrice, per la sopravvivenza, si forma la consapevolezza di una madre apparentemente improbabile di fronte a un fatto più grande dei suoi limiti, che vince le sue resistenze.

A Venezia, dove avrebbe dovuto essere consegnato, il premio fu “congelato”: forse per la partenza anticipata della regista (che non era stata “preallertata” per qualche premio importante dalla giuria ufficiale della Mostra, che assegna il Leone d’oro). O forse perché la Comencini fece sapere che non avrebbe gradito il premio, considerato chi erano i premiatori…

E invece poi qualcuno, per fortuna l’ha convinta. E si è così deciso di consegnarlo a Roma, in occasione della presentazione del film in vista dell’uscita. Però, l’autrice ha pensato bene di marcare la distanza da chi aveva scelto il suo film, leggendo un comunicato in cui ha affermato, tra l’altro: «Il Movimento per la vita è un esercito che combatte, seppure pacificamente, una battaglia che non è la mia. Vorrei che mia figlia, o tutte le sue coetanee, potessero avere accesso alla pillola anticoncenzionale o a quella del giorno dopo, o nel caso di una gravidanza non desiderata, potessero interromperla. Non credo che le donne che interrompono volontariamente una gravidanza siano delle assassine».

E ancora: «Sono credente, di religione valdese. La mia fede non è contraddittoria con una battaglia civile per una normativa laica sulla libertà di scelta delle persone per quanto riguarda la loro vita e la loro morte». E via con altre considerazioni, con tono duro e insofferente per un premio di cui avrebbe fatto a meno.

Ora, al di là di considerazioni sull’opportunità - non poteva ritirare il premio, ringraziando, e poi operare i suoi distinguo in altra sede? - e sui modi, non esattamente oxfordiani, con cui una regista definita dalla critica “sensibile” non si fa scrupoli di tirare metaforici pesci in faccia a chi la omaggia di un premio, si rimane più che perplessi.

Perché, fin dalle motivazioni di giuria e promotori, il premio - intitolato a Gianni Astrei, un medico pediatra che ha ideato e fondato il Fiuggi Family Festival ed è deceduto pochi mesi fa durante una gita in montagna: un uomo intelligente, curioso e desideroso di abbattere gli steccati - non voleva essere un riconoscimento “cattolico” ma sanamente laico, per ricercare un «territorio più alto, quello della cultura della vita che, come il film dimostra, appartiene all'umanità e non agli schieramenti. Forse, anche al di là delle stesse intenzioni della regista, il film dimostra l’incontenibile forza della vita, che, anche se “imperfetta” riesce a riempire il vuoto di un'esistenza».

E invece, la regista ha preferito la linea dello scontro, forse come “excusatio” preventiva rispetto ad ambienti a lei vicini che avevano dileggiato la nascita di un premio “pro life”. O forse perché anche lei aderisce a quest’idea di Italia - purtroppo molto in voga di questi tempi - necessariamente in guerra, dove non ci si può confrontare con l’altro ma solo schierarsi e insultarsi reciprocamente.

Chi scrive, pur non essendo presente a questa imbarazzante performance, immagina l’amarezza di giurati e organizzatori (alcuni dei quali amici e colleghi: il presidente della giuria e direttore del festival di Fiuggi Andrea Piersanti; Emanuela Genovese giornalista di Box Office e Best Movie; Saverio D'Ercole, direttore del settore cinema della Lux Vide) che si sono sforzati con grande umiltà e passione per il bello e il vero di scegliere il film “giusto”.

E non si sono fermati a facili etichette o al curriculum di Francesca Comencini (che in passato ha diretto tra gli altri il documentario Carlo Giuliani ragazzo e i film Mi piace lavorare e A casa nostra), che evidentemente non corrispondeva all’identikit più scontato per il vincitore del loro premio (oltre tutto alla prima edizione). Giurati che hanno spiegato, appunto, nelle motivazioni le ragioni della loro scelta soppesando ogni parola, per evitare che suonassero una incongrua “irreggimentazione” in una fazione o “crociata”. E che si sono infine trovati “ringraziati” con una serie di slogan pronunciati con l’alterigia anche un po’ arrogante di chi non vuole avere a che fare con chi ha di fronte. E glielo dice a chiare lettere.

Però, questo fatto si presta a un’ultima considerazione, forse la più interessante. Chi ha assegnato il premio Pro Life deve pensare di essersi sbagliato (un premio simile a una regista dichiaratamente pro aborto, in effetti, può sembrarlo)? Dovrebbe ricredersi sul valore del film? Assolutamente no. “Lo spazio bianco” rimane un film molto bello, emozionante, vero. Che dimostra non solo la grandezza del cinema, arte che quando è tale supera gli schemi ideologici e fa prevalere solo le ragioni del talento e dell’ispirazione.

Come ha scritto lo sceneggiatore americano Thom Parham nell’interessantissimo libro Cristiani a Hollywood, a cura di Barbara Nicolosi (Edizioni Ares), avviene nel cinema un curioso paradosso: i migliori film cristiani spesso sono fatti da pagani, che non annacquano di buone e melense intenzioni la narrazione di grandi storie. Ma conferma anche la grandezza e l’originalità della vita stessa: dove la verità si manifesta nelle situazioni più impensate. Anche per questo, il premio Pro Life è stato ben assegnato.

martedì 27 ottobre 2009

Zenit - Fabio Trevisan intervistato da Antonio Gaspari: il punto su tante cose (anche noi) e... una grande novità!!!

Antonio Gaspari, mentore di Zenit, intervista il nostro Fabio Trevisan e c'è di tutto: noi (cioè la Società Chestertoniana Italiana), Uomini d'allevamento, nuove edizioni dell'opera di Chesterton, la "santità di Chesterton" e, dulcis in fundo, una strenna natalizia cioè Il Breviario di un uomo vivo...

Uomini di allevamento, prodotti di qualità

In un libro ed un DVD Chesterton e le minacce moderne dell’eugenetica

di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 26 ottobre 2009 (ZENIT.org).- L’editrice Fede & Cultura ha appena pubblicato il saggio di Fabio Trevisan dal titolo “Uomini di allevamento, prodotti di qualità. Nel mercato dell’eugenetica, la storia, la scienza, il dibattito”.

Il saggio parte dal noto scritto di Gilbert Keith Chesterton "Eugenetica e altri mali" e ricostruisce la letteratura scientifica ed il clima culturale dell'epoca, anche attraverso l'analisi di altre opere significative dello scrittore londinese.

Per rimarcare l'attualità di quella corrosiva e ironica denuncia dell’eugenismo, Fabio Trevisan si è immaginato un confronto teatrale liberamente tratto dal saggio di Chesterton ed ha illustrato il rischio eugenetico che anche la nostra epoca sta attraversando.

Fabio Trevisan è un imprenditore appassionato di filosofia cofondatore dei “Gruppi Chestertoniana Veronesi”.

Sul grande scrittore inglese ha già pubblicato due saggi “Uomo vivo con due gambe” (2006) e “Il pazzo ed il re” (2007).

Insieme al libro è allegato un DVD in cui, mediante un'interpretazione teatrale, Chesterton si confronta con un eugenista.

Il DVD contiene anche una intervista al direttore de “Il Foglio” Giuliano Ferrara sulle questioni riguardanti l’eugenetica, il controllo delle nascite e il senso della vita.

Per saperne di più ZENIT ha intervistato Fabio Trevisan.

Come, dove e perchè Chesterton criticò l’eugenetica, che in quel tempo era autorevole e condivisa?

Trevisan: “Eugenics” (traducibile in Eugenica o Eugenetica) fu una parola introdotta nel linguaggio scientifico da Francis Galton nel 1883. L’eugenetica, che significa “buona nascita”, ebbe un effetto dirompente ed esercitò una forte attrazione sulla società di quell’epoca, perché sembrava potesse dare risposte scientifiche e fornire rimedi praticabili alla crisi sociale ed economica di quegli anni.

Chesterton, ad onor del vero, fu uno dei pochi che non si lasciò ammaliare dalle suggestioni potenti di quella nuova presunta scienza e ne denunciò apertamente gli esiti disumanizzanti e feroci; egli intuì che le libertà delle persone e delle comunità fossero in forte pericolo. Chesterton guardò piuttosto alle implicazioni positive dell’Enciclica “Rerum novarum” di Leone XIII del 1891.

“Eugenetica e altri mali” fu pubblicata da Gilbert Keith Chesterton nel 1922, nonostante che l’opera fosse stata pensata e scritta anteriormente al primo conflitto mondiale.

Perché lo scrittore inglese attese la conclusione di quell’ “inutile strage” (come la chiamò l’allora Pontefice Benedetto XV) per pubblicarla?

Trevisan: Chesterton confidava che le classi dirigenti inglesi ed occidentali, alla fine della guerra, non prendessero più a modello la Prussia, che aveva fatto dell’organizzazione scientifica e sociale una sua specialità. La critica allo spettro dell’eugenetica era una critica più generale alla mania moderna di scientificità e di rigorosa organizzazione sociale.

Cosa c’entrano Thomas Malthus e Charles Darwin con l’eugenetica?

Trevisan: Francis Galton (1822-1911) fu attratto dalla scoperta delle leggi dell’evoluzione e della selezione naturale del cugino Darwin a tal punto che ritenne, nella formazione della personalità dell’uomo, fossero preponderanti i caratteri biologici innati. Se vi fosse stata corrispondenza tra le qualità degli individui ed il loro corredo biologico ereditario, si sarebbe potuto migliorare la specie umana controllandone la capacità riproduttiva. In parole più semplici si sarebbe potuto avviare un’eugenetica positiva, ovvero una procreazione affidata alle persone più adatte e più agiate economicamente, culturalmente e socialmente.

Charles Darwin nel 1871 scrisse nell’ ”Origine dell’uomo”: “L’uomo ricerca con cura il carattere, la genealogia dei suoi cavalli prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, di rado o meglio mai, si prende tutta questa briga. Eppure l’uomo potrebbe mediante la selezione fare qualcosa, non solo per la costruzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio, quando sono deboli di mente o di corpo”.

Thomas Robert Malthus (1766-1834), economista e demografo inglese, esercitò una forte influenza su Darwin, soprattutto in merito alle teorie della lotta per la sopravvivenza e della sopravvivenza del più adatto. Malthus teorizzò il controllo delle nascite per impedire il temuto impoverimento dell’umanità ed insistette sull’urgenza di far desistere dallo sposarsi (eugenetica negativa) tutti coloro che non possedessero i requisiti minimi di sussistenza.

Chi erano i socialisti che sostennero le teorie eugenetiche e perchè Chesterton li criticò?

Trevisan: La pubblicazione nel 1859 dell’ “Origine delle specie” di Darwin assunse un peso importante nella scienza e negli ambienti intellettuali inglesi ed europei. Il movimento politico e sociale inglese della Fabian Society (Fabianesimo), istituito a Londra nel 1883, ebbe un’influenza consistente nella formazione del Labour Party (Partito Laburista).

Il Fabianesimo si prefiggeva come meta la graduale evoluzione della società attraverso riforme che avrebbero condotto al socialismo. Assai più noto è poi il fatto che Karl Marx (1818-1883) volesse dedicare a Darwin stesso il primo libro del “Capitale” dichiarandosi suo sincero ammiratore. Friedrich Engels (1820-1895), amico e finanziatore di Marx, così commentò l’interesse di Marx per Darwin: “Proprio come Darwin scoprì le leggi dell’evoluzione nella natura organica, Marx scoprì la legge dell’evoluzione nella storia umana”.

Come evidenziato, c’è un filo rosso che collega l’evoluzionismo all’eugenetica ed è il determinismo biologico ed il materialismo che annulla il libero arbitrio, la spiritualità e la dignità di ogni persona creata da Dio. Chesterton criticò questa deriva culturale e morale con le seguenti parole: “Una parabola letale che parte dall’evoluzionismo e arriva all’eugenetica”.

Ancora oggi alcuni sostengono la necessità di una buona eugenetica per migliorare la salute e la felicità della specie. Come rispose Chesterton e come risponderebbe lei?

Trevisan: Chesterton smascherò quale fosse il vero volto dell’eugenetica, ne colse in profondità le fonti e le denunciò apertamente con una lungimiranza tale che ancor oggi rimangono di una stringente attualità. Capì esattamente che l’eugenetica era essenzialmente un grave peccato, favorito pure dall’ “abnorme ingenuità” di quell’epoca.

Con accenti vibranti denunciò la tirannia dell’eugenetica come una rivoluzione contro l’etica dalle nefaste conseguenze. Difese con vigore la legge naturale, la legge non scritta che abita nel cuore dell’uomo e si appellò ad essa nel proteggere la vita dall’omicida eugenista. Comprese che era in atto un’autentica persecuzione contro la vita e la famiglia.

Per Chesterton la legge, la fede ed il senso comune avevano il compito primario di conservare e consolidare la famiglia. In merito alla “salute” ebbe delle intuizioni così profonde che meriterebbero ancor oggi un’analisi completa.

Per Chesterton la salute non era una cosa come il colore dei capelli o la lunghezza delle membra. La salute non era una qualità, ma una proporzione di qualità. Un uomo poteva essere alto e forte: ma la sua forza dipendeva dal non essere troppo alto.

Un cuore robusto per un nano poteva essere debole per una persona alta. Era così evidente che accoppiando due persone cosiddette sane (come avrebbero voluto gli eugenisti) si poteva produrre l’esagerazione chiamata malattia. Nulla poteva essere al di sopra dell’uomo, nulla tranne Dio.

In merito alla salute sfatò alcuni slogan che perdurano anche ai giorni nostri. “Non solo – scriveva Chesterton – la prevenzione non è meglio della cura: è peggio perfino della malattia”. “Prevenzione significa essere invalidi a vita, con l’esasperazione supplementare di godere ottima salute”. “Chiederò a Dio, ma non certo all’uomo, di prevenirmi in tutte le mie azioni”. Credo che queste affermazioni vadano riprese e considerate con serietà.

Personalmente penso che non dovremmo dimenticare come cristiani quale sia il nostro fine ultimo e che dovremmo preoccuparci di salvare la nostra anima e possibilmente aiutare anche le altre persone a salvare la propria. “Salute” e “felicità” vanno comprese in una visione antropologica come unità sostanziale di anima e corpo, seconda la dottrina perenne di S.Tommaso d’Aquino.

Credo che la scienza, in quanto tale, debba porsi dei limiti precisi. Mi spiego meglio con un esempio: sulla mia gamba rotta il medico ha tutti i diritti e doveri di aggiustarla; una volta aggiustata, non può venirmi ad insegnare a camminare, perché questo l’abbiamo imparato, io e il medico, nella stessa scuola, dalla nostra mamma e nella nostra casa natale.

Nonostante gli orrori generati nella storia umana, ancora oggi è forte la tentazione di praticare politiche eugenetiche: aborti selettivi, clonazione, sperimentazione sui concepiti, eliminazione dei deboli e dei disabili ….Forse la minaccia non è stata compresa? Oppure vengono utilizzate tecniche sofisticate di “antilingua” e relativismo per far accettare pratiche eugenetiche senza che la gente si accorga della gravità dell’atto?

Trevisan: Chesterton deplorò il linguaggio positivista della sua epoca. Nelle parole “regressione” e “degenerescenza” egli vide che lasciavano trasparire un disegno eugenetico e razzista. Infatti il timore di una degenerazione biologica della specie umana spinse molti governi a provvedere con misure legislative e pratiche, scatenando un’intensa attività eugenetica.

Migliaia di persone furono sterilizzate dando persino del denaro. L’eugenismo tuttavia non è finito. Certo, al posto degli slogan sulla purezza razziale, i nuovi eugenisti parlano più pragmaticamente di un’economia più efficiente, di migliori prestazioni e di una migliore qualità della vita. Questa nuova e malvagia eugenetica trova sostegno nell’edonismo compiaciuto e diffuso di molta gente ed è a disposizione per l’accresciuta tecnologia del mercato.

L’aborto terapeutico, il family planning organizzato, la diagnosi pre-impianto, l’inseminazione artificiale sono tutti strumenti messi a disposizione del mondo medico e dell’industria. Conditi con parole rassicuranti vengono veicolate attraverso la manipolazione del consenso operata dagli apparati mediatici, culturali e finanziari; in questo modo “soft” non vengono neppure concepiti come orrori né tantomeno come errori e peccati. Sir Francis Crick, uno degli scopritori della struttura del DNA, ha affermato che: “Nessun bambino appena nato dovrebbe essere riconosciuto uomo prima di aver passato un certo numero di test riguardanti la sua dote genetica”.

Jacques Testart, l’artefice nel 1982 della prima bambina in provetta francese, ha scritto: “Ci incamminiamo verso una vera e propria possibilità di scelta del figlio a venire, grazie alla genetica diagnostica. Così le coppie non lo faranno più stupidamente a caso, come hanno sempre fatto”.

La minaccia non è stata compresa? Non credo che sia percepita nella reale dimensione. Fiumi di sangue innocente si stanno versando giorno dopo giorno e sembra che tutto sia inarrestabile. Non c’è solo l’olocausto degli ebrei nei deprecabili lager nazisti: ricordiamoci anche dell’olocausto dei bambini non nati per pratiche abortive!

Quanto sono attuali queste opere di Chesterton e che cosa pensa del comitato che vorrebbe introdurre una causa di beatificazione del noto scrittore?

Trevisan: Come ha detto il Card. Giacomo Biffi, Chesterton è stato un dono fatto direttamente da Dio alla cattolicità e all’umanità intera. Come possiamo rifiutare questo dono? Innanzitutto dovremmo tradurre e pubblicare le sue opere (in italiano tuttora sono state tradotte circa 1/6 delle sue opere).

Solamente piccole e nobili case editrici (Fede&Cultura, Morganti, Rubbettino, Raffaelli ecc.) stanno provvedendo a colmare questa lacuna. Dovremmo poi adoperarci con iniziative pubbliche per farlo conoscere (la meritoria Società Chestertoniana Italiana da anni allestisce il “Chesterton Day”, ma quanti lo conoscono?).

Ci sono Gruppi Chestertoniani che lavorano da anni (in particolare a Verona), ma ancora non è sufficiente. L’attualità delle opere di Chesterton costituisce un bene prezioso per l’approfondimento di molte tematiche di scottante attualità (le radici cristiane e l’islam, la difesa della vita e dell’ortodossia, il concetto di scienza e la difesa della famiglia).

Il tutto con un linguaggio profondo e ricco di sano humour cristiano. Per quanto riguarda la causa di beatificazione sono molto onorato di aver studiato per anni l’opera di un possibile Santo della Chiesa Cattolica e mi azzardo a dire, assumendone totalmente la responsabilità, che potrebbe diventare un futuro Dottore della Chiesa (penso ad opere importanti quali “Ortodossia” e “L’uomo eterno”).

In tal senso stiamo lavorando alla pubblicazione con l’editrice Fede&Cultura di un Breviario in suo onore, composto di preghiere e meditazioni tratte dalle sue opere. Si chiamerà “Il Breviario di un uomo vivo” e sarà pronto per il prossimo Santo Natale.


lunedì 26 ottobre 2009

"Dove sono le due buon'anime?".

Qui (cioè sul Daily Telegraph) trovate una storia piuttosto originale.

Pare ci sia stata una sorta di pubblica disputa televisiva, un programma intitolato "Intelligence Squared" (letteralmente "Intelligenza al quadrato") sul tema “The Catholic Church is a force for good in the world” (La Chiesa Cattolica è una forza per il bene nel mondo). Da una parte Christopher Hitchens e Stephen Fry (due notissimi atei, il primo giornalista, il secondo attore e scrittore), che erano gli oratori contro la mozione della serata; dall'altra i sostenitori della mozione, l'arcivescovo Onaiyekan di Abuja in Nigeria e Ann Widdecombe, parlamentare conservatrice cattolica (convertita dall'anglicanesimo).

Prima del dibattito, i voti a favore della mozione (cioè il tema della serata) erano

per la mozione: 678;
contro la mozione: 1102.
non so: 346.

Dopo il dibattito l'orientamento è cambiato come segue:

per la mozione: 268;
contro la mozione: 1876;
non so: 34.

In altre parole, dopo aver ascoltato gli oratori, gli spettatori contro la mozione sono cresciuti di 774 unità.

Il giornalista si diffonde nel cercare di capire perché ai cattolici sia andata così male: erano di fronte a due oratori molto popolari e abili, e poi specifica le pecche di ciascuno. Chi vuole, legga l'articolo (ahimé, in inglese, of course!)

Ma quel che conta è la finale dell'articolo stesso, che sunteggiamo e traduciamo a braccio così come segue:

«E' stata una serata di intrattenimento coinvolgente, ma un po' scoraggiante per quelli di noi che sono cattolici. Mi sono ritrovato a desiderare (...) che ci fosse ancora un grande apologista cattolico come Chesterton e Belloc, qualcuno che non solo sia coraggioso e pronto al pari di Hitch (Hitchens, uno dei due oratori contrari alla mozione, ndr), ma che fosse il suo simile a livello intellettuale. Siamo sicuri che ci sia qualcuno in grado di farlo?».

Sembra dire: ragazzi, dove sono finite le due buon'anime?

Rassegna stampa


25 Ottobre 2009 - Avvenire
SI PARLA DI NOI :: Eppur non siamo troppi 100 KB

24 Ottobre 2009 - Giornale
SI PARLA DI NOI :: Figli, futuro del mondo 39 KB

26 Ottobre 2009 - SecoloXIX
Obiezione Di Coscienza
I farmacisti: una legge regolamenti la materia 198 KB

24 Ottobre 2009 - Avvenire
Obiezione Di Coscienza
L'Ordine: giusto, ma si faccia una legge 93 KB

24 Ottobre 2009 - CorrieredellaSera
Obiezione Di Coscienza
Cei: legittima per i farmacisti 85 KB

24 Ottobre 2009 - Stampa
Fecondazione Artificiale
Scontro sulla legge 201 KB

25 Ottobre 2009 - Avvenire
Fine Vita
Bologna bloccato il registro 55 KB

24 Ottobre 2009 - Sole24ore
Il bimbo costa, pagano le donne 162 KB

26 Ottobre 2009 - Repubblica
Le famiglie oppresse dalle rate 462 KB

25 Ottobre 2009 - Avvenire
Tra i ventenni c'è voglia di famiglia 108 KB

26 Ottobre 2009 - Repubblica
Ruini: coi laici bisogna dialogare 81 KB

26 Ottobre 2009 - Messaggero
Addio all'angelo custode di Wojtyla 73 KB

dal prof. Carlo Bellieni

Logica conseguenza del culto della "qualità della vita"

la Repubblica.itUsa, piano shock per la pandemia "Niente cure ad anziani e disabili"

Vi stupite? Ma dove vivete??


Sindrome del sopravvissuto

LASTAMPA.it - HomeUno dei tre non deve nascere

Oltre al fatto che nella riduzione fetale (aborto di un feto su tre) di solito si elimina un "feto" sano come gli altri, resta da domandarsi cosa penseranno i due feti sopravvissuti quando sapranno che poteva toccare a loro! Sembra una cosa di poco rilievo, ma a sentire chi studia la psicologia umana non è uno scherzo. già: pensate se toccasse a voi scampare per fortuna ad un incidente in cui muore vostro fratello. E se questo poi non è stato un incidente... pensate a cosa passerebbe nella vostra mente.

domenica 25 ottobre 2009

Up, il film, non ha qualcosa di chestertoniano, secondo voi...?


E' uscito un bel film della Pixar, Up.

Ecco qui il sito internet.

Forse è solo un'impressione dell'Uomo Vivo, ma non vi sembra che tutta questa storia di case che volano, di vecchietti tenacemente attaccati alle cose belle della vita, di bambini fantastici e altre amenità del genere... non ha un che di chestertoniano?

Chi fosse andato a vederlo, potrebbe dirci qualcosa?

Uomini e tristezza - Scalfari colpisce ancora.

Eugenio Scalfrai colpisce ancora: ha detto su L'Espresso che il Papa «è un modesto teologo che fa rimpiangere i suoi predecessori».

Se va avanti così "brucerà" Englaro e persino Gianfranco Fini.

Paolo Gulisano, anglicani e cattolici

La strada per Roma degli anglicani

di Paolo Gulisano*

ROMA, venerdì, 23 ottobre 2009 (ZENIT.org).

Un secolo fa lo scrittore inglese Hilaire Belloc pubblicava un volume dal titolo “The path to Rome”, la strada per Roma (Il volume sarà preso rieditato in Italia). Si trattava del resoconto del pellegrinaggio a piedi effettuato dallo stesso autore da Toul, in Francia, fino alla Città Santa. Tale viaggio era tuttavia anche una trasparente metafora del cammino verso il Centro della Chiesa, verso Roma, che tutta l’Europa è chiamata a fare se non vuole smarrire definitivamente la propria anima e la propria identità. Belloc era un cattolico inglese, figlio di una illustre convertita che apparteneva al movimento di rinascita cattolica in Inghilterra che aveva avuto i suoi protagonisti nel cardinale Manning e soprattutto nel cardinale John Henry Newman, prossimo Beato.
La via per Roma indicata cento anni fa da Belloc, che fu protagonista della cultura britannica e fautore della conversione al cattolicesimo di un personaggio come Gilbert Keith Chesterton, è quella che hanno deciso di percorrere ora anche altri anglicani, i fedeli della "Traditional Anglican Communion", che già da tempo avevano fatto richiesta al Vaticano di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.
Si trattava di una richiesta epocale: per lungo tempo, da Newman a Tony Blair, la conversione dall’Anglicanesimo al Cattolicesimo aveva rappresentato una scelta individuale, personale, spesso sofferta perché facente seguito al tentativo - sempre frustrato - di lavorare “all’interno” della Confessione Anglicana per portarla all’unità con Roma. Ora invece siamo di fronte al passaggio di intere comunità anglicane alla piena comunione con Roma.
Una richiesta maturata negli ultimi anni e che aveva quasi messo in difficoltà la stessa Chiesa cattolica in Inghilterra, tanto che ora la materia è stata oggetto di una trattativa congiunta tra il Primate cattolico e quello anglicano, sotto la supervisione della Congregazione per la Dottrina della Fede, retta – come noto – da un prelato di cultura anglo-sassone qual è l’americano cardinale William Levada e che produrrà una Costituzione Apostolica, un documento ad hoc per consentire il passaggio di queste comunità al cattolicesimo.
Siamo dunque di fronte ad una svolta storica, per cui da parte cattolica non si ha più il timore di essere accusati di “indebito proselitismo”, e da parte anglicana si accetta che una parte organizzata dei propri fedeli possa effettuare una scelta di questo tipo.
E’ un ecumenismo “dal basso”, che rappresenta certo una grossa novità rispetto a quello che per lungo tempo è stato interpretato solo da organismi preposti, spesso orientati solo a cercare un “minimo comun denominatore” tra le due confessioni cristiane, con l’effetto di dimenticare che l’obiettivo di un vero dialogo ecumenico è il riconoscimento della Verità.
Occorre anche evidenziare che questi fedeli anglicani, dipinti come tradizionalisti dalla grande stampa, ovvero una sorta di lefevriani anglicani, sono in realtà cristiani che guardano al Cattolicesimo come la Chiesa in cui intendono non solo entrare individualmente, ma far rientrare la propria storia e la propria tradizione, riconciliandola con quella di Roma. Infatti il documento congiunto dei due primati afferma: "La Costituzione apostolica è un ulteriore riconoscimento della sostanziale coincidenza nella fede, nella dottrina e nella spiritualità della Chiesa cattolica e della tradizione anglicana".
Il problema è che negli ultimi anni la Chiesa anglicana è andata incontro ad una tale deriva relativista da portarla lontano non solo dalla Chiesa Cattolica, ma dalla sua stessa tradizione, quella che ora questi fedeli vogliono ricondurre nella piena comunione coi cattolici. Non si tratta di “conservatorismo”, o di divisioni tra anglicani: il problema è che nella confessione instaurata cinque secoli fa dal sovrano Enrico VIII e confermata dalla figlia Elisabetta I è diventato dominante un pensiero non-cristiano. Potrebbe sembrare un giudizio molto severo, ma è un dato di fatto che alla base di scelte superficialmente definite solo “liberal”, come l’ordinazione sacerdotale delle donne, le nozze di persone omosessuali, le battaglie ecologiste e pacifiste, c’è una vera e propria rivoluzione antropologica. Una rivoluzione che prevede l’abbandono della concezione dell’uomo quale essere dotato di una natura specifica e indirizzato verso un fine. Questo distacco ha portato con sé tutta una serie di tentativi di giustificazione dei cambiamenti in campo morale.
Descrivendo tali cambiamenti, il filosofo cattolico scozzese Alastair MacIntyre ha denunciato nelle sue opere - in particolare After the virtue - innanzitutto il cambiamento della concezione dell’uomo, perché non c’è morale senza uomo né uomo senza morale. L’allontanamento dalla visione aristotelica ci ha condotti a rappresentazioni parziali dell’etica, a tentativi fallimentari di giudizio morale, a interpretazioni svariate dell’uomo e dell’umanità.
Tale allontanamento è avvenuto impetuosamente nell’anglicanesimo, dove vige un disordinato pluralismo, un miscuglio senza armonia di frammenti ideologici male assortiti che fa capo ad un soggettivismo assoluto. Tale soggettivismo, che si riscontra dominante nel linguaggio morale contemporaneo, trova una corrispondenza pratica nell’“emotivismo”, una dottrina secondo cui tutti i giudizi di valore, e più specificamente, tutti i giudizi morali, non sono altro che espressioni di una preferenza, espressioni di un atteggiamento o di un sentimento, e appunto in questo consiste il loro carattere di giudizi morali o di valore.
Il fascino che la Chiesa Cattolica ha esercitato su quegli anglicani decisi a rifiutare questa deriva antropologica sta dunque nel fatto che essa rappresenta l’unica realtà in grado di riproporre ancora oggi al mondo quegli elementi capaci di ristabilire una concezione sana della morale che stavano alla base della concezione aristotelica: le virtù, i valori per l’uomo. A ciò si aggiunge, inoltre, la proposta che la Chiesa cattolica fa di ristabilire una concezione della ragione che non si identifichi semplicemente con quell’elemento capace di conoscere solo ciò che si può esaminare in maniera sperimentabile, ma con ciò che permette di giudicare il senso della vita dell’uomo, i suo fine e il modo per raggiungerlo.
A sua volta la Chiesa Cattolica in Inghilterra e in tutti i paesi di cultura anglo-sassone, dal Canada all’Australia agli Stati Uniti dove l’anglicanesimo si definisce “episcopalismo”, trarrà certamente arricchimento dalla nuova linfa portata da queste comunità dove l’appartenenza a Cristo è stata oggetto di una intensa e appassionata riflessione. Questi fedeli anglicani desiderosi dell'unione con la Chiesa cattolica troveranno l'opportunità di portare l’esperienza di quelle tradizioni anglicane che sono preziose per loro e conformi con la fede cattolica. In quanto esprimono in un modo distinto la fede professata comunemente, tali tradizioni sono un dono da condividere nella Chiesa universale. L'unione con la Chiesa non richiede l'uniformità che ignora le diversità culturali, come dimostra la storia del cristianesimo, e la Chiesa Cattolica ne trarrà sicuro giovamento.

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*Paolo Gulisano è uno scrittore e saggista, esperto del mondo britannico. Ha pubblicato diversi volumi su Tolkien, Lewis, Chesterton e Belloc.

© Copyright Zenit

sabato 24 ottobre 2009

Emilio Cecchi visita Chesterton a Beaconsfield


Qui trovate un brano del bellissimo resoconto della visita di Emilio Cecchi a Gilbert Keith Chesterton il 26 Novembre 1918.

Questo resoconto, pubblicato su La Tribuna qualche settimana più tardi, finirà nel volume Pesci Rossi di Emilio Cecchi.

Emilio Cecchi, tra i padri fondatori della rivista letteraria La Ronda, fu il primo a tradurlo e a farlo conoscere e merita perciò tutta la nostra profondissima gratitudine avendoci fatto conoscere il nostro Genio Colossale! Che Dio l'abbia in gloria!

Scorrendo la pagina, molto lunga, trovate il brano al n° 10.

Per la cronaca, Cecchi è il padre di Suso Cecchi D'Amico, grande sceneggiatrice italiana.

Su Hanna Arendt e Chesterton

Qui trovate una tesi di laurea di Richard Gill dal titolo: The Wonder of the World: Hannah Arendt, G. K. Chesterton and Ecological Populism.

Hanna Arendt scrisse pagine interessanti su Chesterton.

venerdì 23 ottobre 2009

Rassegna stampa

23 Ottobre 2009 - Avvenire
Aborto
Europa, gli anni di Erode 321 KB

23 Ottobre 2009 - Stampa
Fecondazione Artificiale
Uno dei tre non deve nascere 194 KB

23 Ottobre 2009 - Giornale
Omosessuali
I protestanti svedesi dicono si al matromonio religioso per i gay 55 KB

Aborto, appello Cei sui farmacisti «Riconoscere il diritto all'obiezione»

«Venga loro permesso di non collaborare alla fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte immorali»

ROMA - «L'obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali come l'aborto e l'eutanasia». Ne è convinto il segretario generale della Cei, Mons. Mariano Crociata, intervenuto al convegno nazionale dell'Unione cattolica farmacisti italiana dal titolo «L'obiezione di coscienza del farmacista tra diritto e dovere».

giovedì 22 ottobre 2009

Come fu fatta l'Unità d'Italia - Un convegno nel Pisano


Abbiamo chiesto all'amico Andrea Bartelloni, toscanissimo, di documentarci un recente convegno con Angela Pellicciari sulla questione dell'Unità d'Italia e dei suoi 150 anni.

Stiamo cercando di riaprire la questione, nel nostro piccolo, sulla scorta dell'amore alla verità che abbiamo imparato da Gilbert (che non esitò a prendere pugni in faccia per difendere cause apparentemente indifendibili, come quella dei boeri del Sud Africa, degli Irlandesi, dei Polacchi e altro ancora): oggi nessuno si sogna di mettere seriamente in dubbio l'unità d'Italia, ma non è credibile che non si possa riparlare del come essa è stata ottenuta. Ripetiamo: si è riusciti a parlare delle foibe, degli eccidi nel "triangolo della morte" dell'Emilia, della Resistenza, di Katyn (non senza scomuniche dalla cultura dominante ed anche se ancor oggi argomenti come questi debbono subire un forte ostracismo...), non si può parlare se non venendo bollati come eretici di Unità d'Italia fatta contro la Chiesa.

Ogni anno un gruppo di chestertoniani si reca, attorno al 18 Settembre, nel luogo della Battaglia di Castelfidardo, a rendere onore a chi intese difendere una causa giusta condannata dalla storia, i volontari papalini provenienti da tutto il mondo. Perché non dire come andarono veramente le cose? Ne avrebbe giovamento solo la nostra Patria.

Riparliamone.

Un grazie, dunque, ad Andrea Bartelloni.

L’unità d’Italia, della quale stiamo per festeggiare i 150 anni, è stata fatta contro la Chiesa e il cattolicesimo italiano. La lettura dei documenti dell’epoca e le parole dei vari Cavour, Rattazzi, Cadorna non lasciano dubbi: la Chiesa italiana doveva essere privata di ogni fonte di sostentamento (che, peraltro, derivava da lasciti, donazioni e offerte dei suoi fedeli).

Vana, però, è risultata questa azione perché Dio sa trarre il bene anche dal male.

Questo è stato il tema affrontato dalla prof. Angela Pellicciari, storica, curatrice di una rubrica su Radio Maria e autrice di numerosi saggi sul Risorgimento; tra tutti ricordiamo Risorgimento da riscrivere (Ares ed.), I Papi e la Massoneria (Ares ed.), I panni sporchi dei Mille (Liberal ed.). L’incontro si è svolto venerdì 9 ottobre nella sala dell’Oratorio della Parrocchia di San Frediano a Settimo (Cascina-PI) di fronte ad un pubblico numeroso, attento e partecipe.

Dopo l’introduzione da parte del parroco che ha voluto e organizzato la serata, don Riccardo Nieri, la Pellicciari ha descritto, citando i documenti del parlamento sabaudo, gli atti e la volontà dei politici dell’epoca e gli effetti devastanti sul tessuto sociale dell’Italia. Effetti che si sono evidenziati con i milioni di emigranti che hanno lasciato quello che era considerato il Bel Paese, all’avanguardia nella tecnica nelle arti e nella letteratura fino all’Unità d’Italia.

Dopo un’interessante dibattito la Pellicciari ha concluso legando la storia all’attualità: la Porta Pia del 1870 si sta ripresentando ai giorni nostri, nuove forze stanno attaccando le radici cristiane e naturali del nostro popolo. In discussioni non c’è l’unità del paese ma gli attacchi alle frontiere della vita e della morte.

mercoledì 21 ottobre 2009

Oggi è un trionfo per Gilbert

Cari Amici,

quanti avranno aperto oggi i giornali avranno letto la notizia della Costituzione Apostolica per accogliere gli anglicani nella Chiesa Cattolica, voluta da Papa Benedetto per regolamentare un flusso non più capitario ma massivo di intere comunità che vogliono "tornare a Roma", come avrebbe detto Gilbert.

E' molto bello vedere questo passo di Benedetto XVI che chiama a raccolta chiunque ami davvero la propria vita tanto da non voler rinunciare alla Verità tutta intera. E' altrettanto bello vedere come stamattina Gilbert sia tornato per un giorno letteralmente sulla bocca di tutti (non solo di noi suoi amici!) insieme all'altro grande, il cardinale John Henry Newman, oramai prossimo alla beatificazione, tra i primi di una lunga serie di uomini coraggiosi e amanti della Vita.

Egli (come pure il servo di Dio John Henry Newman) è citato come esempio della numerosa schiera di uomini che hanno voluto ripercorrere il sentiero verso Roma (The path to Rome, con le parole di un libro di Chesterton). Pensate che gioia!

Gilbert è stato tutta la vita avanti di almeno cento anni a tutti, e continua così.

Rassegna stampa

20 Ottobre 2009 - Sole24ore
Ru486
Pillola solo in ospedale 203 KB

21 Ottobre 2009 - Repubblica
Fine Vita
Binetti: voterò la legge del Pdl 113 KB

21 Ottobre 2009 - Giornale
Omosessuali
OMOFOBIA. Una legge a difesa dei pedofili 86 KB

21 Ottobre 2009 - Avvenire
Omosessuali
OMOFOBIA. D'Agostino: camcellare parole non rimuove la verità 133 KB

21 Ottobre 2009 - Sole24ore
Le spalle larghe della Chiesa 51 KB

21 Ottobre 2009 - Avvenire
La Chiesa cattolica accoglie gli anglicani 403 KB

21 Ottobre 2009 - Riformista
Il Papa apre le porte agli anglicani 98 KB

21 Ottobre 2009 - LiberalQuotidiano
Buttiglione: una conferma del primato di Pietro 214 KB

21 Ottobre 2009 - Sole24ore
Messori: a Londra regna il caos dottrinale 102 KB

Mons. Negri: l'ora di religione non è un privilegio della Chiesa, ma una proposta culturale

Da Il Sussidiario

di don Gabriele Mangiarotti e mons. Luigi Negri

mercoledì 21 ottobre 2009


La questione dell’ora di religione nella scuola dello Stato sta diventando argomento di interesse e a volte alcuni interventi generano un po’ di confusione.
Innanzitutto chiariamo la ragione per cui si insegna religione cattolica nella scuola dello stato in Italia. Si legge nel Concordato così: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento.
All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione» [Legge n. 121 del 25 marzo 1985, Art. 9.2].
In questo modo si riconosce la valenza culturale dell’insegnamento, e si esclude che possa considerarsi una forma di catechismo, oppure di un privilegio concesso alla Chiesa Cattolica e negato ad altre fedi. Lo Stato prevede che, nel caso non ci si voglia, per qualsiasi ragione, avvalere di tale insegnamento, si possa chiedere che ci sia un’attività alternativa, da svolgersi in concomitanza a tale insegnamento, e predisposta dal Collegio Docenti, su richiesta dei genitori degli alunni (o degli alunni stessi, ove maggiorenni). La presenza di tale attività alternativa fa sì che l’IRC mantenga la sua caratteristica di insegnamento da svolgersi «nel quadro delle finalità della scuola», mentre sollecita una responsabilità reale delle famiglie nei confronti della scuola stessa. Siamo certamente preoccupati nei confronti della cosiddetta «ora del nulla», che si realizza quando la scuola non fornisce affatto possibilità reali di studio serio e motivato, ma non riteniamo che la legge attuale preveda – almeno stando a quanto si legge nelle norme – una qualsiasi forma di «ora» alternativa, cioè di materia curricolare di altra religione.
Certamente sarebbe buona cosa che chi vuole usare del tempo scolastico per approfondire in particolare i contenuti della religione islamica, non nella forma di una supplenza a un insegnamento religioso in forma di catechesi, ma di consapevolezza dei contenuti culturali di tale religione lo possa fare, rendendo la scuola più flessibile ai bisogni degli alunni e delle famiglie.
Una scuola che si fa padrona degli alunni e si fa educatrice dei contenuti religiosi propri ci sembra più un retaggio dell’Ottocento che una scuola moderna e aperta ai valori della civiltà di oggi e democratica in senso sostanziale.
La polemica estiva sui crediti scolastici, ecc… ha creato una mentalità che relega l’IRC ad essere un privilegio concesso alla Chiesa Cattolica, con l’aggravante che questo non è concesso ad altri soggetti e ad altre religioni. Ma tale discussione non ha certo giovato alla scuola nel suo insieme, perché ha contribuito a mantenere nella mentalità comune l’impressione che la religione sia un fatto sostanzialmente non rilevante per la cultura.
Vogliamo allora fare nostra l’indicazione di Benedetto XVI agli Insegnanti di Religione il 25 aprile 2009: «Il vostro servizio, cari amici, si colloca proprio in questo fondamentale crocevia, nel quale – senza improprie invasioni o confusione di ruoli – si incontrano l’universale tensione verso la verità e la bimillenaria testimonianza offerta dai credenti nella luce della fede, le straordinarie vette di conoscenza e di arte guadagnate dallo spirito umano e la fecondità del messaggio cristiano che così profondamente innerva la cultura e la vita del popolo italiano. Con la piena e riconosciuta dignità scolastica del vostro insegnamento, voi contribuite, da una parte, a dare un’anima alla scuola e, dall’altra, ad assicurare alla fede cristiana piena cittadinanza nei luoghi dell’educazione e della cultura in generale. Grazie all’insegnamento della religione cattolica, dunque, la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro».

martedì 20 ottobre 2009

Walesa e il film su Popieluszko: «Un sacerdote eroe della fede»



Un altro bellissimo film sulla Polonia, dopo Katyn.


Un testimone di Cristo. Ma anche un testimone dei nostri tempi. «I giovani polacchi d’oggi non sanno quanto accadde in questo paese vent’anni fa. Le lezioni di storia nelle scuole si fermano alla seconda guerra mondiale; e io non volevo che, anche quando qualche insegnante ne parla, la storia di padre Popieluszko si riducesse ad una noiosa lezione scolastica. Volevo che diventasse una base su cui i giovani potessero costruire il proprio sentimento di dignità». Per questo il regista Rafat Wieczynski ha girato Popieluszko; per questo, ieri al Festival Internazionale del Film di Roma, per solennizzare la presentazione del kolossal polacco (settemila fra attori e comparse, sette mesi di riprese in quattordici città), che proprio nel giorno del venticinquesimo anniversario del suo martirio ricostruisce vita e morte del «cappellano di Solidarnosc», nonché futuro beato, è intervenuto anche l’ex presidente polacco e premio Nobel 1983, Lec Walesa. «Quelli sono stati anni che hanno cambiato la storia della Polonia e del mondo – ha riflettuto Walesa – L’elezione a pontefice di Karol Woytila parve a tutti noi, padre Popieluszko compreso, l’occasione irripetibile per portare il paese e l’Europa fuori dal giogo del comunismo. E così fu. Anche se per ottenere questo padre Popieluszko pagò il prezzo più alto. Ora il film di Wieczynski potrà aiutarci a riflettere meglio su quel clima». Il sogno non s’è completamente realizzato, ammette: «Oggi il 50 per cento del denaro pubblico è mediamente impiegato per gli armamenti e le guerre. Se utilizzassimo al meglio le nostre risorse, potremmo aspirare tutti ad un futuro migliore». Visto in patria da un milione e trecentomila spettatori, e prima dell’uscita italiana del 6 novembre forse anche in Vaticano («Sarebbe un sogno farlo vedere a papa Ratzinger», sussurra Wieczynski), Popieluszko segue la vita di padre Jerzy dai giorni del primo pellegrinaggio polacco di Giovanni Paolo II, nel 1980, al suo misterioso assassinio nel 1984 («Del quale sappiamo ancora troppo poco – ribadisce Walesa – perché non si è mai capito se fu ufficialmente organizzato o iniziativa di alcuni esaltati»), sempre attraversando la singolare realtà polacca, «nella cui storia – sintetizza il premio Nobel – la Chiesa ha avuto sempre un ruolo centrale. Essa infatti ha dato voce alla Nazione quando la Nazione non poteva parlare; ha agito quando la Nazione non poteva agire». Ricorda il regista, che a sedici anni fuggì di scuola, nonostante i divieti, per partecipare ai funerali di padre Popieluszko, assieme ad altri seicentomila «disubbidienti»: «Nei giorni di padre Jerzy, la Chiesa era il solo baluardo della libertà contro il comunismo, e lo era per tutti, anche per i non credenti. La parola del Vangelo, insomma, era fonte d’ispirazione anche per la politica. Oggi, invece, si pretende di separare i due ambiti. E questo è molto triste: nela politica il decalogo non può essere, naturalmente, un elemento di vincolo; ma non può nemmeno essere ignorarlo». Fino ad oggi la tomba del martire di Solidarnosc è stata visitata da 17 milioni di pellegrini. «Il che dimostra quanto sia attuale il suo insegnamento. Saper distinguere il bene dal male; saper dare un nome all’uno e all’altro».
Giacomo Vailati