di Luisella G. Daziano E’ il caso di dirlo: il Tribunale si è sostituito al Parlamento, anche in tema di legge 40. La recente ordinanza di Bologna ha infatti stabilito che le tecniche di procreazione assistita potranno essere applicate a coppie affette da patologie genetiche. L’ordinanza, in pieno contrasto con la legge, ha legittimato una coppia fiorentina ad avere un secondo figlio 'sano' mediante la selezione (eugenetica) dell’embrione. Alla coppia – che si era rivolta a un centro di Bologna per avere un altro figlio dopo il primo, affetto da distrofia di Duchenne – sarà quindi permessa la diagnosi pre-impianto «su un numero minimo di sei embrioni», in modo da selezionare l’embrione migliore per l’impianto. Così la volontà dei futuri genitori legittima l’idea che ci siano vite umane cui è vietato venire al mondo – quelle degli embrioni scartati perché risultati difettosi al microscopio del centro di procreazione assistita. La sorpresa è che chi desidera creare in vitro un figlio 'sano' sfida non solo l’etica – almeno quella rispettosa dell’uomo – ma anche la scienza. È la scienza che ha sempre documentato che la fecondazione in vitro impone alla mamma prima e al concepito poi non pochi rischi per la salute. Almeno dal 2002 a oggi la migliore stampa scientifica internazionale lo ha detto e ridetto: i bambini nati con la fecondazione in vitro hanno 30% di possibilità in più rispetto a quelli concepiti per vie naturali di soffrire problemi di salute. Purtroppo un’informazione a senso quasi unico ha confuso le idee a molte coppie convincendole che la provetta sia la soluzione che scongiura il pericolo di un figlio affetto da malattie genetiche. ppure le riviste scientifiche l’hanno ampiamente documentato: «I bambini nati con fecondazione in vitro (Fiv) hanno un rischio più elevato, rispetto a quelli concepiti naturalmente, di sviluppare problemi cerebrali, in particolare paralisi» ( Lancet , 2002). Non è tutto: «I bambini concepiti mediante Icsi (iniezione diretta dello sperma nel citoplasma) rischiano doppiamente, rispetto alle gravidanze normali, di presentare un difetto alla nascita» ( New England Journal Medicine 2002). E ancora: «L’Icsi può aumentare il rischio di deficit dell’imprinting», hanno scritto due ricercatori della John Hopkins University, precisando che «il 4,6% dei loro pazienti con sindrome di Wideman-Beckwitt erano stati concepiti con Fiv» (American Journal of Human Genetics, 2002). Un altro dato trascurato, ma non trascurabile: «La probabilità di avere un figlio con handicap è circa +11%, rispetto al +5% dopo il concepimento naturale» ( European Journal of Pediatrics , 2003). I rischi non finiscono qui: «Cinque bambini olandesi, concepiti con Fiv, hanno sviluppato un retinoblastoma, un cancro infantile della retina che colpisce un nato su 17 mila» ( Nature , 2003). Ma c’è di più. I bambini nati con diagnosi genetica pre-impianto (Pdg) – quella autorizzata per la prima volta in Italia dal Tribunale di Bologna – «nei primi due anni pesano meno dei bimbi concepiti naturalmente, e presentano un indice di massa corporea decisamente inferiore alla media» ( Human Reproduction , 2008). Proprio dei problemi di salute, di origine genetica, di cui soffrono i figli concepiti in provetta, si è recentemente occupata una ricerca della britannica Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea, marzo 2009): «I bambini nati con Fiv/Icsi hanno +30% di chance di soffrire di difetti alla valvola cardiaca, anomalie all’apparato digerente, nonché ritardo mentale». Lo studio precisa che «all’origine dei danni genetici ci sarebbero i farmaci utilizzati per stimolare l’ovulazione della mamma in provetta». In quale fase della procreazione assistita sorgono i rischi per l’embrione? Stando alle conoscenze attuali, la pericolosità è della Pdg in sé ma più ancora «delle complicanze insite nella procedura del concepimento in vitro», commenta Bruno Dallapiccola, ordinario di Genetica Medica presso La Sapienza di Roma. «Mi riferisco sia alla massiccia stimolazione ormonale subìta dalla donna, che va a incidere sulla regolazione dei geni, sia alle prime settanta ore di vita in provetta dell’embrione, sia ai gameti maschili, di scarsa qualità, forniti dall’uomo che produce poco liquido seminale». Dallapiccola precisa che «il rischio relativo di malformazioni trattati con Pdg è dal 30% al 40% in più rispetto alle coppie che hanno seguito la via naturale». Nessuno dice però che la diagnosi preimpianto, che analizza le qualità genetiche degli embrioni prima dell’impianto in utero, non può essere considerata come un’operazione senza effetti collaterali. «Prelevare una o due cellule dalle 8 che formano l’embrione (blastomeri), al fine di eseguire la diagnosi pre-impianto, è un’operazione significativa, dal momento che può provocare un’alterazione nel successivo sviluppo dell’embrione», spiega Patrizio Calderoni, ginecologo all’Ospedale Sant’Orsola di Bologna. Le cause dei documentati rischi di malformazioni «potrebbero essere la limitazione naturale dei genitori, la scarsa qualità dei loro gameti, ossia la loro infertilità, che è un fatto naturale quanto lo è la fertilità», dichiara Eleonora Porcu, responsabile del Centro di Fecondazione dell’Ospedale Sant’Orsola di Bologna, sottolineando che «selezionare l’embrione migliore, eliminando quello non perfetto, significa temere così tanto che nella nostra vita si presenti la disabilità da arrivare a scartare un embrione perché potrebbe diventare un figlio con qualche problema». Presi da tanto entusiasmo per il «figlio sano», si ricorderanno di dirci che selezionare l’embrione allo stadio di 8 cellule non dà l’assoluta garanzia di un bambino perfetto?
Dalla «salute della donna» un conflitto con il più fragile Comincia a diventare tristemente nota l’ordinanza del tribunale di Bologna che qualche giorno fa ha concesso a una coppia il trasferimento dell’embrione solo se questo non è malato, visto che la donna è portatrice sana di distrofia muscolare. L’ordinanza si presta a molteplici rilievi critici: vediamone qualcuno. La diagnosi pre-impianto: nella legge 40 tale tecnica è permessa per il bene del nascituro. Qui invece, per bocca di un magistrato, si usa la diagnosi pre-impianto sia per dichiarati scopi eugenetici (puoi rifiutare il figlio malato) – vietati dalla legge 40 e dalle linee guida – sia per tutelare la salute della donna, finalità non rinvenibile nella legge né nelle linee guida, quindi non accettabile. Passiamo al rifiuto dell’impianto nel caso di patologia accertata dell’embrione. La legge 40 permette di interrompere l’iter della procreazione medicalmente assistita (Pma) non oltre il momento della fecondazione in vitro. Infatti da quell’attimo viene a esistenza un nuovo soggetto di diritto, l’embrione, così come ricorda l’articolo 1 della stessa legge. Ergo: non può essere abbandonato in un freezer perché non lo si vuole più. Qualora comunque la coppia rifiutasse l’impianto, la donna non potrebbe subire coercizione alcuna. Questo non significa che la legge ritiene legittima la decisione della donna, ma tollera un comportamento che preferisce non punire. Nell’ordinanza invece lo scenario si ribalta. Qui il rifiuto, nel caso di embrioni malati, è addirittura previo all’inizio dell’intero iter di Pma e viene qualificato come legittimo. In questo caso occorre domandarsi se sussistono i presupposti perché la coppia possa accedere alla Pma. Parrebbe di no. Infatti non ci troviamo di fronte a un fatto compiuto che la legge considera illegittimo: un embrione malato rifiutato da una coppia che non può essere obbligata ad accettarlo. Qui il fatto deve ancora compiersi, e quindi appare doveroso impedire ai coniugi l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale per evitare il concretarsi di una situazione illegittima sotto l’aspetto giuridico. Ma l’aspetto più preoccupante, già insito nella recente pronuncia della Corte Costituzionale, è dato dal fatto che nero su bianco si dichiara che tra la vita del nascituro e la salute della donna deve prevalere quest’ultima. In questo caso la lesione della salute psichica della donna è data dall’ansia di aspettare un figlio affetto da distrofia. Tale disturbo della sfera emotiva legittima, secondo il giudice, l’abbandono dell’embrione nell’azoto liquido. Si usa cioè la ratio della legge 194 anche per la provetta. Ma nel primo caso siamo di fronte a un gravidanza indesiderata, qui invece si desidera una gravidanza ma a certe condizioni. In realtà, non bisogna stupirsi che queste due realtà apparentemente così diverse si stiano assomigliando. Il minimo comun denominatore è infatti il principio di autodeterminazione inteso in senso erroneo: decido io quando avere un figlio, ma se arriva nel momento sbagliato abortirò. E quando avrò deciso di averlo, pretendo che sia sano grazie alla fecondazione artificiale. Tommaso Scandroglio
Scenari di Antonella Mariani Spermatozoi in vitro. E l’uomo diventa inutile
Ci sarà ancora bisogno dell’uomo per generare un figlio? Una domanda paradossale, ma che non si può fare a meno di formulare nel descrivere i nuovi studi degli scienziati di Newcastle, gli stessi della pecora Dolly e degli embrioni chimera, metà umani e metà animali. Il quotidiano britannico The Independent ieri ha sparato un titolo a caratteri cubitali in prima pagina: « Gli scienziati creano lo sperma in provetta » , mettendo in evidenza già nel sommario gli aspetti positivi della scoperta, « la speranza di trovare cure per l’infertilità maschile » , e quelli più inquietanti, legati appunto al « ruolo futuro dell’uomo » nella riproduzione. Di cosa si tratta è presto detto: il biologo Karim Nayernia è riuscito a ottenere sperma « maturo e funzionale » – dice – agendo su cellule staminali embrionali con cromosomi XY ( maschili), da cui sono state separate le cellule germinali ( quelle cellule che durante le prime settimane di sviluppo dell’embrione si differenziano fino a formare spermatozoi oppure ovociti), che sono poi pienamente maturate dando vita a quello che è stato ribattezzato ' sperma derivato in vitro' ( Ivs). Se questo risultato, che è stato pubblicato ieri sulla rivista scientifica Stem Cells and Development , venisse confermato, ci si potrebbe aspettare che da un singolo embrione con corredo genetico maschile si possa ricavare una linea cellulare potenzialmente in grado di fornire una quantità indefinita di spermatozoi. Le prime perplessità sono tecniche: nonostante il team britannico abbia anche prodotto un video che dimostrerebbe la mobilità degli spermatozoi, alcuni scienziati come Robin Lovell- Badge del National Institute for Medical Research di Londra hanno espresso pesanti dubbi sul fatto che essi siano davvero sani e vitali. Il collega Allan Pacey dell’Università di Sheffield dubita che « queste cellule simil- sperma prodotte su un vetrino possano essere chiamate spermatozoi » . Le altre perplessità riguardano le implicazioni sulla riproduzione umana di una simile ricerca. Nayernia ha precisato che lo studio ha come unico obiettivo di « comprendere nel dettaglio come si formano gli spermatozoi, e di conseguenza di capire meglio i meccanismi dell’infertilità maschile per poterla curare » . Lo sperma prodotto in vitro, rassicura il biologo di Newcastle, non può e non deve invece essere utilizzato per trattamenti di fecondazione: « Non abbiamo alcuna intenzione di farlo » , ha aggiunto. Ma le rassicurazioni non bastano a cancellare le perplessità di chi vede nella creazione di sperma in vitro una nuova frontiera difficilmente governabile sul piano etico. « È un esempio di pazzia immorale – ha commentato Josephine Quintavalle, dell’associazione Comment on Reproductive Ethics ( Corethics) –. Embrioni vitali sono stati distrutti per creare spermatozoi sui quali ci sono forti dubbi circa la loro vitalità. È l’equivalente di stroncare una vita per crearne forse un’altra. Sono favorevole alle cure contro l’infertilità ma non credo che si possa agire come si vuole » . Con un esperimento svolto in parallelo a quello reso noto ieri, i biologi di Newcastle hanno ottenuto spermatozoi dalle cellule staminali della pelle, quindi con lo stesso patrimonio genetico del « donatore » . Karim Nayernia ha promesso che i risultati di questa seconda sperimentazione, che potrebbe aiutare gli uomini infertili a concepire figli biologici a partire solo dalla propria pelle, saranno pubblicati entro alcuni mesi. Nulla di fatto invece sul fronte della creazione di spermatozoi da cellule embrionali con corredo genetico XX, cioè femminile; le speranze delle coppie lesbiche di poter avere un figlio senza ricorrere a donatori sono al momento frustrate. Tre anni fa lo stesso Nayernia aveva annunciato la creazione in vitro di spermatozoi di topi: con la fecondazione in provetta nacquero sette topolini, che però morirono poco dopo. |
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