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giovedì 12 marzo 2009

L'editoriale del direttore dell'Osservatore Romano Gian Maria Vian sulla lettera di Papa Benedetto sul ritiro della scomunica ai lefebvriani

Dall'Osservatore Romano

Come la lettera ai Galati


Un testo appassionato e senza precedenti nato dal cuore di Benedetto XVI per contribuire alla pace nella Chiesa: ecco la lettera del Papa ai vescovi cattolici sulla remissione della scomunica ai presuli consacrati nel 1988. Senza precedenti perché non ha precedenti recenti la bufera scatenata in seguito alla pubblicazione del provvedimento lo scorso 24 gennaio. Non a caso alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell'annuncio del Vaticano II, perché l'intenzione del vescovo di Roma - ora confermata ma già di per sé evidente, come il giorno stesso aveva sottolineato il nostro giornale - era ed è quella di evitare il pericolo di uno scisma. Con un iniziale gesto di misericordia, perfettamente in linea con il concilio e con la tradizione della Chiesa.
Sulla convenienza di questo gesto si sono moltiplicati interrogativi e soprattutto si sono scagliate contro Benedetto XVI accuse infondate ed enormi: di rinnegamento del Vaticano II e di oscurantismo. Fino a un disonesto e incredibile rovesciamento del gesto papale, favorito dalla diffusione, in una concomitanza di tempi certo non casuale, delle affermazioni negazioniste nei confronti della Shoah di uno dei presuli a cui il Papa ha rimesso la scomunica. Affermazioni inaccettabili - e anche questo è stato subito sottolineato dal giornale del Papa - come inaccettabili e vergognosi sono gli atteggiamenti verso l'ebraismo di alcuni membri dei gruppi a cui Benedetto XVI ha teso la mano.
Il rovesciamento della misericordia in un incredibile gesto di ostilità contro gli ebrei - che si è voluto ripetutamente attribuire al Pontefice da molte parti, anche autorevoli - è stato grave perché ha ignorato la realtà, stravolgendo il convincimento e le realizzazioni personali di Joseph Ratzinger come teologo, come vescovo e come Papa, in testi a disposizione di tutti. Di fronte a questo attacco concentrico, persino da parte di cattolici e anche "con odio", Benedetto XVI "tanto più" ha voluto ringraziare gli ebrei che hanno aiutato a superare questo difficile momento, confermando la volontà di un'amicizia e di una fratellanza che affonda le sue radici nella fede dell'unico Dio e nelle Scritture.
La lucidità dell'analisi papale non evita questioni aperte e difficili, come la necessità di una attenzione e di una comunicazione più preparate e tempestive in un contesto globale dove l'informazione, onnipresente e sovrabbondante, è di continuo esposta a manipolazioni e a strumentalizzazioni, tra cui le cosiddette fughe di notizie, che si fatica a non definire miserande. Anche all'interno della Curia romana, organismo storicamente collegiale e che nella Chiesa ha un dovere di esemplarità.
Il Papa affronta poi il cuore della questione: cioè il problema dei gruppi cosiddetti tradizionalisti e il pericolo dello scisma, con la distinzione dei livelli disciplinare e dottrinale. In altre parole, sul piano disciplinare Benedetto XVI ha revocato la scomunica ma su quello dottrinale è necessario che i tradizionalisti - verso i quali il Papa non risparmia toni severi ma confidando nella riconciliazione - non congelino il magistero della Chiesa al 1962. Così come i sedicenti grandi difensori del concilio devono ricordare che il Vaticano II non può essere separato dalla fede professata e confessata nel corso dei secoli.
Era davvero una priorità questo gesto? Il Papa risponde di sì perché in un mondo dove la fiamma della fede rischia di spegnersi la priorità è proprio condurre gli uomini verso il Dio che ha parlato sul Sinai e si è manifestato in Gesù. Un Dio che rischia di sparire dall'orizzonte umano e che solo la testimonianza di unità dei credenti rende credibile. Ecco perché sono importanti l'unità della Chiesa cattolica e l'impegno ecumenico, ecco perché ha significato il dialogo tra le religioni. Per questo la grande Chiesa - un termine caro alla tradizione - deve ricercare la pace con tutti. Per questo i cattolici non devono dilaniarsi come i Galati a cui Paolo intorno all'anno 56 scrisse di suo pugno una delle lettere più drammatiche e belle. Come questa di Papa Benedetto.

g. m. v.

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