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giovedì 27 novembre 2008

Parla Bobby, il fratello di Terri Schiavo: date a noi Eluana

Da IlSussidiario.net, l'intervista a Bobby Schindler, il fratello di Terry Schiavo, la Eluana Englaro d'America.

Eluana come Terri Schiavo. Fin dal giorno della sentenza, il dibattito sul caso Englaro è stato attraversato da questo continuo paragone: un accostamento forse improprio, per quanto riguarda alcuni aspetti più strettamente legali, ma che certo aiuta ad evocare e a far presagire quella che potrebbe essere la sorte che attende Eluana. Come per Terri, una morte per fame e per sete, resa “dolce” (!) dalla somministrazione di forti dosi di morfina.
Bobby Schindler è il fratello di Terri. In sua memoria ha dato vita a una Fondazione (Terri Schindler Schiavo Foundation), e lotta tutti i giorni per il diritto alla vita di chi, come sua sorella, non può esprimere la propria volontà. Ha accettato di parlare con ilsussidiario.net del caso di Eluana, così simile a quello di Terri.

Signor Schindler, ci racconti innanzitutto della Fondazione che lei ha eretto in memoria di sua sorella.

Fondamentalmente aiutiamo altre famiglie che si trovano in situazioni simili a quella che abbiamo vissuto noi. Si tratta di un aiuto legale e morale per quelle famiglie i cui membri stanno per essere uccisi, senza cibo né acqua, attraverso una sorta di eutanasia. Ci sono moltissime persone che mi contattano, dicendo che stanno pregando Terri che illumini Beppino Englaro, e gli dia la forza di cui ha bisogno, e impedisca che Eluana venga uccisa.

Ha già affrontato uno dei temi centrali del dibattito: ha parlato di omicidio…

Eluana, come Terri prima di lei, non è affatto morta. Vive. Il suo cervello funziona. Non ha alcuna malattia terminale. Il problema è se noi siamo in grado di usare compassione, di partecipare del loro dramma. Io credo che noi siamo obbligati a prenderci cura di persone in questo stato. Eluana ha bisogno della nostra compassione, e ha bisogno di cibo e acqua: questo è tutto. Dovremmo darglieli. La nostra famiglia sarebbe molto felice di poter prendersi cura di Eluana.

C’è però chi insiste nel dire che le cure date a Eluana sono una forma di accanimento terapeutico: cosa ne pensa?

Io non capisco come siamo potuti giungere a questo punto, in cui pensiamo a cibo e acqua come una cura medica. Qui non si tratta affatto di accanimento terapeutico, non c’è una terapia medica intensiva ("medical care"): qui si tratta di fornire il sostentamento basilare, si tratta semplicemente di dare da mangiare e da bere. Non vedo proprio come si possano considerare cibo e acqua come un trattamento medico. Per mia sorella Terri c’era un macchinario apposito, la “macchina gravitazionale”, che operava al posto delle persone; l’avremmo fatto noi della sua famiglia, se non ci fosse stata la macchina, e se suo marito ci avesse lasciato prenderci cura di lei. C’erano oltre trenta organizzazioni locali che ci aiutavano a prenderci cura di Terri; a noi della famiglia era impedito dal marito di lei, Michael. Noi potevamo solo andarla a trovare alla nursing home. L’ultima settimana di vita di Terri è stata disumana, impensabile: qualcosa che non auguro a nessuno, cui nessuna famiglia dovrebbe giungere.

Forte di questa sua drammatica esperienza personale, cosa si sentirebbe di dire al padre di Eluana, Peppino Englaro?

Gli direi che lo capisco, che la sua è una condizione davvero difficile, trovarsi davanti a sua figlia in quelle condizioni. Ci sono passato, so cosa vuol dire. Tuttavia, penso che un genitore dovrebbe amare i suoi figli, e non compiere un percorso alla fine del quale essi vengono uccisi. Penso che dovremmo amare i nostri figli senza porre condizioni: anche se si trova in una situazione difficilissima, Eluana ha ancora bisogno dell’amore e delle cure di suo padre.

In Italia c’è stato un ampio dibattito sul caso di Terri Schiavo, e attualmente il caso di Eluana è al centro delle discussioni sui media e tra la gente. È lo stesso negli Stati Uniti?

Sì, è un tema molto dibattuto anche da noi, e francamente non capisco perché. Dovremmo poter stabilire chi deve vivere e chi deve morire in base alla qualità della loro vita, in base a ciò che possono o non possono fare? Io ritengo che non possiamo arrivare a questo punto: qual è il discrimine, chi stabilisce dove dobbiamo fermarci? La domanda cui dobbiamo rispondere non è: “Chi vorrebbe vivere in quel modo?” Nessuno vuol vivere come Eluana o Terri, è vero; ma la realtà è che ci sono decine di migliaia di persone, negli Stati Uniti e altrove, che si trovano a vivere in quelle condizioni. La domanda dovrebbe essere piuttosto: “Perché non ci vogliamo prendere cura di quelle persone?” La domanda non riguarda tanto Eluana o le persone come lei: riguarda noi, e come noi intendiamo prenderci cura delle persone che han bisogno di noi.

Qui i giudici dicono di non voler fare altro che rispettare la volontà di Eluana.

Penso che dobbiamo prestare enorme attenzione nello stabilire ciò che è stato detto o no dalle persone in un passato spesso lontano. La volontà della persona ha un valore fondamentale, ma qui spesso si tratta di commenti casuali, come nel caso di mia sorella, che non costituiscono prove evidenti della volontà della persona stessa. Cosa risponderebbe a tutti quelli che ritengono che per Eluana sarebbe preferibile morire? Non possiamo decidere noi se ci tocca morire o no, sulla base di quello che siamo in grado o non siamo in grado di fare. Se decidiamo di uccidere le persone gravemente disabili, dove dobbiamo fermarci? Chiunque divenisse disabile si troverebbe in pericolo, a rischio di venire ucciso. C’è da aver paura. Ma costoro, i più deboli della società, hanno un valore infinito per noi: ci insegnano la compassione (la capacità di soffrire insieme), ci insegnano ad amare, perché dipendono completamente da noi. Se avessimo la possibilità di scegliere, nessuno deciderebbe che esistessero casi come quello di Eluana. Ma non possiamo scegliere. La realtà è che queste persone ci sono, e han bisogno delle nostre cure e del nostro amore. Non è semplice prendersi cura di persone come Eluana o Terri, ma quale scelta abbiamo? È un problema che riguarda noi “sani” anzitutto, non loro. La loro situazione non comporta logicamente il ragionamento “Stanno male, dobbiamo ucciderli”. Qui in America le persone si sono accorte per la prima volta del rischio che si corre a causa di ciò che è accaduto a mia sorella Terri, e che continua ad accadere ogni giorno in America.

Pensa che la fede possa incidere sulla capacità di prendersi cura delle persone come Eluana?

Certamente l’essere cattolici ha sostenuto i miei genitori, ad esempio. Ma io penso che noi siamo tutti uguali, in quanto persone: è per questo che dovremmo essere trattati in maniera eguale. Semplicemente: ha bisogno di acqua, bisogna dargliela. Tutto qui.

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