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giovedì 4 settembre 2008

Medicina e Persona - Per il consenso informato e l'alleanza terapeutica

Vi rendiamo disponibile il comunicato stampa diffuso ieri dall'associazione di sanitari Medicina e Persona sulla questione sollevata in occasione del cosiddetto caso Englaro a proposito del testamento biologico. Il dibattito si infittisce dopo le dimissioni dal consiglio esecutivo di Scienza e Vita prima di Lucetta Scaraffia e poi, a seguito di un contestato articolo su Avvenire, di Adriano Pessina.

"Dopo la vicenda Englaro, sta crescendo un consenso trasversale in Parlamento circa la necessità di un provvedimento di legge sul cosiddetto "testamento biologico", per evitare:
1) l'introduzione (velata) dell'eutanasia (attiva od omissiva), a tutela dei soggetti più deboli;
2) di considerare l'alimentazione e l'idratazione "artificiale" come trattamenti sanitari;
3) la possibilità di ricostruzioni "equivoche" della volontà del Paziente.
In definitiva, si sta immaginando uno strumento di legge che impedisca abusi nella applicazione della sentenza della Cassazione in materia.
Pur condividendo la preoccupazione alla base dell'iniziativa, riteniamo che una legge sul "testamento biologico" o come più correttamente indicato dal CNB, sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento (DAT) presenti una serie di problemi e possa non rappresentare l'unica soluzione possibile.
Per almeno tre considerazioni che ci derivano dall'esperienza clinica:

1) le DAT esprimono una concezione che riduce la relazione di cura, cioè il rapporto tra medico e Paziente, ad un livello meramente contrattualistico e rischia di indurre (come già accaduto in
diversi Paesi) atteggiamenti rinunciatari da parte dei professionisti e dei sistemi sanitari, soprattutto nei confronti di malati più deboli e fragili;
2) le DAT sono culturalmente figlie di una interpretazione del diritto della persona inteso come
“autodeterminazione”, che rappresenta una forzatura rispetto a quanto affermato nella nostra
Costituzione ed inevitabilmente rimangono dentro una cultura in cui l’uomo diventa arbitro della propria e altrui vita. Tale concezione è pericolosa perché non corrispondente alla realtà e
lesiva dei diritti fondamentali delle persona;
3) la applicazione “pratica” delle DAT appare quanto mai problematica: per quale stato clinico?, per quali provvedimenti terapeutici ?, con quale validità? con che livello di impegno per i medici? Con che tempi e possibilità di verifica per il clinico?

Si rischia di produrre un “mostro burocratico” che solo renderà più "legalistica" la relazione di cura, senza nessun beneficio per i Pazienti.
Chi, come noi, affronta la realtà clinica di tutti i giorni suggerisce che nella eventuale legge si
riaffermi:

• che la responsabilità sulla situazione clinica del Paziente è “di fatto” affidata al Medico, la
cui azione è orientata esplicitamente alla tutela della vita e della dignità della persona (Art. 13 – 17 – 20 del Codice Deontologico), e che dalla esperienza del rapporto medico-paziente dipendono i giudizi sulla proporzionalità delle terapie e dei trattamenti;
• che l’idratazione e l’alimentazione non sono una terapia, ma un intervento di assistenza obbligatorio per chiunque e da chiunque facilmente apprendibile. Inoltre in riferimento all’“artificialità” va ricordato che la nutrizione effettuata per le vie non naturali (nutrizione enterale con SNG o PEG oppure nutrizione parenterale in vaso venoso periferico o centrale) è stata riconosciuta come diritto dal Comitato Nazionale di Bioetica il 30/9/2005 anche in soggetti in stato vegetativo persistente;
• va data piena attuazione al Consenso Informato per tutti i trattamenti sanitari, nell’imminenza della terapia e prima del suo inizio, tenendo conto che la volontà del Paziente deve essere attuale e consapevole.

MEDICINA e PERSONA
Milano, 3 settembre 2008 "

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