Un (purtroppo) fortunato libro spiega perché sarebbe meglio non avere figli. Vi presentiamo alcuni stralci dell'intervista del settimanale Tempi ad Eugenia Roccella. L'intervista integrale la trovate sul sito di Tempi dove è disponibile anche l'audio, cliccando come sempre il nostro titolo.
di Chiara Sirianni
«No kid. Quaranta ragioni per non avere figli è un libro che mira semplicemente a demoralizzarvi, nel senso che vi farà perdere la morale». Così la quarta di copertina dell’ultima fatica letteraria della scrittrice francese Corinne Maier (Bompiani, ripubblicato ora in Italia), già autrice del fortunato Buongiorno pigrizia. L’opera non lascia dubbi sui suoi intenti sin dalla copertina dove le sagome di due bambini sono innestate in un cartello di divieto (...).
Roccella, perchè si sente l’esigenza di forme di associazionismo basate sul diritto a non avere figli?
Perché c’è una pressione sociale a non riprodursi. E, diversamente da quanto sostiene la Maier, le donne dovrebbero rivendicare la libertà (perché non si tratta di “diritto” ma di “libertà”, né fare un figlio né non farlo riguarda la sfera del diritto) di fare figli in un mondo che, in ogni modo, tenta di ostacolare la maternità. (...).
Perché non sono libere di esserlo?
Perché un figlio è diventato un lusso privato. È qualcosa che non riguarda la società, è diventato un “diritto privato”, qualcosa che attiene solo a una realizzazione personale e non a un benessere comune. Ma una società che non fa figli è una società di sofferenza, in disagio, una società che non si proietta verso il futuro.
(...)
In un passaggio del suo libro Corinne Maier scrive: «L’uomo adesso non decide più di essere padre». Mentre fino a 50 anni fa, erano gli uomini a rendere madri le donne, adesso il rapporto di forza si è invertito, cioè è solo la maternità ad essere volontaria, e non la paternità. Questo, secondo l’autrice, a causa anche delle lotte femministe degli anni Settanta che hanno creato uno scontro fra universo maschile e femminile e, dunque, uno scompenso delle figure genitoriali. Qual è la sua replica a questa analisi, e quale crede sia invece la strada per riavvicinare questi due universi, che dovrebbero sposarsi in un’ottica unica di educazione e di genitorialità?
Io non credo che questo sia vero. Semplicemente perché mi guardo intorno e mi confronto con le donne che conosco, le amiche, il pensiero comune. Vedo che, in genere, sono le donne che vogliono essere madri, perché la maternità è un bisogno molto radicato, nei desideri inconsci, nel corpo, nelle radici biologiche dell’umano, e in genere invece sono i padri a sottrarsi. (...) C’è un modello maschile che è cambiato moltissimo, c’è ormai l’idea che si è uomini quando si è machi, quando si è seduttori, non c’è più quell’idea di virilità protettiva, di assunzione del proprio ruolo, che era tipica del modello maschile fino a cinquant’anni fa. Quel modello di paternità responsabile si è distrutto, e non è stato sostituito da un modello altrettanto forte. (...).
Roccella, perchè si sente l’esigenza di forme di associazionismo basate sul diritto a non avere figli?
Perché c’è una pressione sociale a non riprodursi. E, diversamente da quanto sostiene la Maier, le donne dovrebbero rivendicare la libertà (perché non si tratta di “diritto” ma di “libertà”, né fare un figlio né non farlo riguarda la sfera del diritto) di fare figli in un mondo che, in ogni modo, tenta di ostacolare la maternità. (...).
Perché non sono libere di esserlo?
Perché un figlio è diventato un lusso privato. È qualcosa che non riguarda la società, è diventato un “diritto privato”, qualcosa che attiene solo a una realizzazione personale e non a un benessere comune. Ma una società che non fa figli è una società di sofferenza, in disagio, una società che non si proietta verso il futuro.
(...)
In un passaggio del suo libro Corinne Maier scrive: «L’uomo adesso non decide più di essere padre». Mentre fino a 50 anni fa, erano gli uomini a rendere madri le donne, adesso il rapporto di forza si è invertito, cioè è solo la maternità ad essere volontaria, e non la paternità. Questo, secondo l’autrice, a causa anche delle lotte femministe degli anni Settanta che hanno creato uno scontro fra universo maschile e femminile e, dunque, uno scompenso delle figure genitoriali. Qual è la sua replica a questa analisi, e quale crede sia invece la strada per riavvicinare questi due universi, che dovrebbero sposarsi in un’ottica unica di educazione e di genitorialità?
Io non credo che questo sia vero. Semplicemente perché mi guardo intorno e mi confronto con le donne che conosco, le amiche, il pensiero comune. Vedo che, in genere, sono le donne che vogliono essere madri, perché la maternità è un bisogno molto radicato, nei desideri inconsci, nel corpo, nelle radici biologiche dell’umano, e in genere invece sono i padri a sottrarsi. (...) C’è un modello maschile che è cambiato moltissimo, c’è ormai l’idea che si è uomini quando si è machi, quando si è seduttori, non c’è più quell’idea di virilità protettiva, di assunzione del proprio ruolo, che era tipica del modello maschile fino a cinquant’anni fa. Quel modello di paternità responsabile si è distrutto, e non è stato sostituito da un modello altrettanto forte. (...).
Nessun commento:
Posta un commento