Un Chesterton dimenticato fa a pezzi l’eugenetica «ricca solo di moventi». Il luminoso senso comune di un genio contro i Frankenstein di ieri e di oggi
di Emanuele Boffi
"LA COSA PIÙ SAGGIA DEL MONDO è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale (...). Un colpo d’accetta si può parare soltanto mentre l’accetta è ancora in aria". Così scriveva Gilbert Keith Chesterton nel 1921 nel suo Eugenetica e altri malanni, opera finora mai pubblicata in Italia e oggi mandata in stampa da Cantagalli (con prefazione di Luca Volontè e postfazione di Luigi Frigerio). Il grande scrittore e polemista inglese era allarmato dai progetti di legge che volevano limitare il numero dei malati e da un clima culturale (Chesterton mette fra i suoi bersagli George Bernard Shaw) che tendeva a giustificare le tesi eugeniste sulla selezione prematrimoniale e il miglioramento della razza. Ma per l’autore de L’uomo che fu Giovedì, queste idee e teorie non erano affatto immuni da critiche, tanto che decise di affrontare la questione di petto, riunendo in un veloce volume tutte le sue perplessità sulle istanze dei propugnatori del Mondo Nuovo. Chesterton, come suo solito, usa l’arma della ragione e dell’ironia, esprimendosi secondo quella che può essere definita la moralità del buon senso comune, carica di presupposti razionali ben più convincenti di tutti gli astrusi arzigogoli degli eugenisti. Cui, sin dal principio dell’opera, non fa sconti: «L’eugenetica è, come il veleno, una cosa con cui non si può venire a patti». Ma che cos’è l’eugenetica? Come può essere definita? Chi sono gli eugenisti? GKC – come si firmava – descrive l’eugenetica come una religione, o meglio, una credenza i cui adepti, per la maggior parte scienziati che vorrebbero salvare il mondo a patto di sacrificare tutti gli uomini, si sono votati con assoluta irrazionalità. GKC li paragona a dei cacciatori di streghe, anzi li trova ancor più spregevoli: «Ho più rispetto per i vecchi cacciatori di streghe che per gli eugenisti, che vanno perseguitando lo scemo della famiglia: perché i cacciatori di streghe, secondo le loro stesse convinzioni, correvano un rischio. Streghe e stregoni non erano persone di mente debole, bensì di mente forte: incantatori malvagi, dominatori degli elementi. La caccia a una strega, a torto o a ragione, poteva sembrare ai paesani che la effettuavano una giusta insurrezione popolare contro una vasta tirannia spirituale, un supremo coacervo di peccato. Sappiamo, tuttavia, che la cosa degenerò in una furiosa e spregevole persecuzione degli inermi e dei vecchi. Finì per essere una guerra contro i deboli. Finì per essere ciò che l’eugenetica è fin da principio».
In sintesi, l’eugenetica si fonda su una crudele «base morale: per la quale noi siamo principalmente e direttamente responsabili del bambino che deve ancora nascere ». Ed in nome di questo (e della donna e dell’uomo che si uniranno in matrimonio, o del malato che forse nascerà, o del pazzo che forse ognuno di noi potrà diventare) gli eugenisti sono disposti a sacrificare il presente e i presenti, che altro non sono che cavie per dimostrare la bontà delle nostre ipotesi. Ma come sempre in logica, da premesse errate derivano conseguenze errate. Le posizioni eugeniste sono gravide di conseguenze, e non c’è tempo da perdere: «Lo Stato eugenista è cominciato»; «Siamo già sotto lo Stato eugenista; e a noi non resta che la ribellione ». La ribellione, così come la intende GKC, ha l’incedere dello sberleffo: «Per lo più gli eugenisti sono eufemisti. Voglio dire semplicemente che le parole brevi li allarmano, mentre le parole lunghe li tranquillizzano (…) Ditegli: “Non è improbabile che giunga un’età in cui l’angusta se pur un tempo utile distinzione tra l’homo antropoide e gli altri animali, gia modificata riguardo a tanti punti morali, si modifichi anche riguardo all’importante questione della dieta umana”; dite così, e vedrete la loro faccia spianarsi come per effetto di un dolce sussurro. Ma ditegli, semplicemente, virilmente, cordialmente: “Mangiamoci un uomo!” e sarete sorpresi da quanto si sorprenderanno». In altri passaggi il polemista inglese sa anche andare al cuore delle intenzioni eugeniche, come al capitolo 7 (il più efficace del libro) nel quale parla degli eugenisti come dei rappresentanti della «Chiesa ufficiale del dubbio». «Nell’eugenetica non c’è ragione, ma ci sono moventi in abbondanza. I suoi fautori si tengono molto sul vago quanto alla teoria, ma saranno dolorosamente pratici quanto alla pratica. (...) Vogliono, insomma, una nuova specie di Chiesa di Stato, che sarà una Chiesa ufficiale del Dubbio – anziché della Fede. Non hanno nessuna Scienza dell’Eugenetica, ma intendono dire realmente che se noi ci mettiamo nelle loro mani per essere vivisezionati, forse, molto probabilmente, un giorno la avranno. Osservo, esprimendomi con molta correttezza, che questo è un po’ troppo».
Stevenson e la tubercolosi
Perché, infine, quel che richiama GKC come suprema fonte di razionalità è proprio l’esperienza basilare che ogni uomo che viva sotto il sole può fare. Per cui, l’idea degli eugenisti di eliminare l’“errore fisico” per ottenere una sicura felicità terrena (e una società perfetta e armoniosa) è per Chesterton una tremenda falsità: «Gli eugenisti probabilmente risponderebbero a tutti i miei esempi citando il caso di matrimoni con persone di famiglie affette da tisi (o da altre malattie presumibilmente ereditarie), e domandando se almeno in questi casi non sia chiaramente opportuno un intervento eugenico. Permettetemi di far loro osservare che ancora una volta hanno idee confuse. La malattia o salute di un tisico può essere una cosa chiara e calcolabile. La felicità o infelicità di un tisico è tutt’altra cosa, e non è calcolabile affatto. Che senso ha dire alla gente che se si sposa per amore rischia di essere punita mettendo al mondo un Keats o uno Stevenson? Keats morì giovane; ma godette in un minuto più di un eugenista in un mese. Stevenson soffriva di tubercolosi; e per quanto ne so un occhio eugenico avrebbe forse percepito tale circostanza già una generazione prima. Ma chi eseguirebbe questa operazione illegale, di impedire la nascita di Stevenson?». Quasi cent’anni fa Chesterton ci metteva così in guardia da tutti i propalatori di felicità astratte, benché ammantate di vocaboli scientifici, ricordandoci che l’unica legge per verificare se qualcosa è buono o malvagio è questa: «Nell’istante in cui uno è, fa esperienza».
di Emanuele Boffi
"LA COSA PIÙ SAGGIA DEL MONDO è gridare prima del danno. Gridare dopo che il danno è avvenuto non serve a nulla, specie se il danno è una ferita mortale (...). Un colpo d’accetta si può parare soltanto mentre l’accetta è ancora in aria". Così scriveva Gilbert Keith Chesterton nel 1921 nel suo Eugenetica e altri malanni, opera finora mai pubblicata in Italia e oggi mandata in stampa da Cantagalli (con prefazione di Luca Volontè e postfazione di Luigi Frigerio). Il grande scrittore e polemista inglese era allarmato dai progetti di legge che volevano limitare il numero dei malati e da un clima culturale (Chesterton mette fra i suoi bersagli George Bernard Shaw) che tendeva a giustificare le tesi eugeniste sulla selezione prematrimoniale e il miglioramento della razza. Ma per l’autore de L’uomo che fu Giovedì, queste idee e teorie non erano affatto immuni da critiche, tanto che decise di affrontare la questione di petto, riunendo in un veloce volume tutte le sue perplessità sulle istanze dei propugnatori del Mondo Nuovo. Chesterton, come suo solito, usa l’arma della ragione e dell’ironia, esprimendosi secondo quella che può essere definita la moralità del buon senso comune, carica di presupposti razionali ben più convincenti di tutti gli astrusi arzigogoli degli eugenisti. Cui, sin dal principio dell’opera, non fa sconti: «L’eugenetica è, come il veleno, una cosa con cui non si può venire a patti». Ma che cos’è l’eugenetica? Come può essere definita? Chi sono gli eugenisti? GKC – come si firmava – descrive l’eugenetica come una religione, o meglio, una credenza i cui adepti, per la maggior parte scienziati che vorrebbero salvare il mondo a patto di sacrificare tutti gli uomini, si sono votati con assoluta irrazionalità. GKC li paragona a dei cacciatori di streghe, anzi li trova ancor più spregevoli: «Ho più rispetto per i vecchi cacciatori di streghe che per gli eugenisti, che vanno perseguitando lo scemo della famiglia: perché i cacciatori di streghe, secondo le loro stesse convinzioni, correvano un rischio. Streghe e stregoni non erano persone di mente debole, bensì di mente forte: incantatori malvagi, dominatori degli elementi. La caccia a una strega, a torto o a ragione, poteva sembrare ai paesani che la effettuavano una giusta insurrezione popolare contro una vasta tirannia spirituale, un supremo coacervo di peccato. Sappiamo, tuttavia, che la cosa degenerò in una furiosa e spregevole persecuzione degli inermi e dei vecchi. Finì per essere una guerra contro i deboli. Finì per essere ciò che l’eugenetica è fin da principio».
In sintesi, l’eugenetica si fonda su una crudele «base morale: per la quale noi siamo principalmente e direttamente responsabili del bambino che deve ancora nascere ». Ed in nome di questo (e della donna e dell’uomo che si uniranno in matrimonio, o del malato che forse nascerà, o del pazzo che forse ognuno di noi potrà diventare) gli eugenisti sono disposti a sacrificare il presente e i presenti, che altro non sono che cavie per dimostrare la bontà delle nostre ipotesi. Ma come sempre in logica, da premesse errate derivano conseguenze errate. Le posizioni eugeniste sono gravide di conseguenze, e non c’è tempo da perdere: «Lo Stato eugenista è cominciato»; «Siamo già sotto lo Stato eugenista; e a noi non resta che la ribellione ». La ribellione, così come la intende GKC, ha l’incedere dello sberleffo: «Per lo più gli eugenisti sono eufemisti. Voglio dire semplicemente che le parole brevi li allarmano, mentre le parole lunghe li tranquillizzano (…) Ditegli: “Non è improbabile che giunga un’età in cui l’angusta se pur un tempo utile distinzione tra l’homo antropoide e gli altri animali, gia modificata riguardo a tanti punti morali, si modifichi anche riguardo all’importante questione della dieta umana”; dite così, e vedrete la loro faccia spianarsi come per effetto di un dolce sussurro. Ma ditegli, semplicemente, virilmente, cordialmente: “Mangiamoci un uomo!” e sarete sorpresi da quanto si sorprenderanno». In altri passaggi il polemista inglese sa anche andare al cuore delle intenzioni eugeniche, come al capitolo 7 (il più efficace del libro) nel quale parla degli eugenisti come dei rappresentanti della «Chiesa ufficiale del dubbio». «Nell’eugenetica non c’è ragione, ma ci sono moventi in abbondanza. I suoi fautori si tengono molto sul vago quanto alla teoria, ma saranno dolorosamente pratici quanto alla pratica. (...) Vogliono, insomma, una nuova specie di Chiesa di Stato, che sarà una Chiesa ufficiale del Dubbio – anziché della Fede. Non hanno nessuna Scienza dell’Eugenetica, ma intendono dire realmente che se noi ci mettiamo nelle loro mani per essere vivisezionati, forse, molto probabilmente, un giorno la avranno. Osservo, esprimendomi con molta correttezza, che questo è un po’ troppo».
Stevenson e la tubercolosi
Perché, infine, quel che richiama GKC come suprema fonte di razionalità è proprio l’esperienza basilare che ogni uomo che viva sotto il sole può fare. Per cui, l’idea degli eugenisti di eliminare l’“errore fisico” per ottenere una sicura felicità terrena (e una società perfetta e armoniosa) è per Chesterton una tremenda falsità: «Gli eugenisti probabilmente risponderebbero a tutti i miei esempi citando il caso di matrimoni con persone di famiglie affette da tisi (o da altre malattie presumibilmente ereditarie), e domandando se almeno in questi casi non sia chiaramente opportuno un intervento eugenico. Permettetemi di far loro osservare che ancora una volta hanno idee confuse. La malattia o salute di un tisico può essere una cosa chiara e calcolabile. La felicità o infelicità di un tisico è tutt’altra cosa, e non è calcolabile affatto. Che senso ha dire alla gente che se si sposa per amore rischia di essere punita mettendo al mondo un Keats o uno Stevenson? Keats morì giovane; ma godette in un minuto più di un eugenista in un mese. Stevenson soffriva di tubercolosi; e per quanto ne so un occhio eugenico avrebbe forse percepito tale circostanza già una generazione prima. Ma chi eseguirebbe questa operazione illegale, di impedire la nascita di Stevenson?». Quasi cent’anni fa Chesterton ci metteva così in guardia da tutti i propalatori di felicità astratte, benché ammantate di vocaboli scientifici, ricordandoci che l’unica legge per verificare se qualcosa è buono o malvagio è questa: «Nell’istante in cui uno è, fa esperienza».
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