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martedì 30 aprile 2013

Ecco le offerte riservate ai nostri soci

Ricordando che le offerte che vedete scorrere qui sopra sono riservate solo ai nostri soci (essere amici di Gilbert serve a qualcosa, no?), spendiamo due parole sulle opere di GKC in vendita.

Il Profilo della ragionevolezza è uno dei testi cardine del distributismo. Spesso ci chiedono cosa si possa leggere per sapere cos'è il distributismo. Noi consigliamo questo volume, Cosa c'è di sbagliato nel mondo e Lo stato servile di Hilaire Belloc. Tutti pensano di trovare grafici e diagrammi ed invece trovano grandi idee, grandi principi, perché tutto parte da lì e non dai grafici, anche se il Big Business che governa tutto il mondo vuole farci credere il contrario.

L'imputato è la raccolta dei primi, primissimi articoli che resero famoso il giovanissimo GKC. Gilbert era già maturo all'epoca, sembra incredibile ma è così. Un libro davvero bellissimo, a tratti anche commovente.

L'Uomo comune è una bella e ricca raccolta di saggi, potentissimi, su tanti temi, dall'educazione alla famiglia al cosiddetto progresso. Un paio li avete già assaggiati ne La Nonna del Drago. Bello, semplice e chiaro.

La serietà non è una virtù è altrettanto bello, sempre una raccolta. Valgono tutti la pena e la spesa, sono delle buonissime idee regalo per degli amici a cui si vuole davvero bene perché, regalandoli, regalate la Verità.

E il libro di Ubaldo Casotto è un bel Bignami del Chesterton - pensiero, per chi vuole dare un morso…

Approfittate dunque di questi prezzi che sono riservati solo ai soci!

Trovati due scheletri medievali che si tengono per mano. Li hanno chiamati Romeo e Giulietta - da Tempi la nostra Annalisa Teggi in Tremende Bazzecole

«Matrimoni imprudenti, dite!» gridò Michael «E secondo voi 
esiste in cielo o in terra un qualche matrimonio che sia prudente? 
Tanto varrebbe metterci a parlare di suicidi prudenti». G.K. ChestertonUomovivo

 

C'è chi li vorrebbe vedere così: due cadaveri che si tengono per mano. Se il matrimonio è la tomba dell'amore, attualmente c'è chi vorrebbe proprio sotterrare il vincolo affettivo tra uomo e donna, seppellendolo in un polverone di indistinta neutralità sessuale – e persino senza premurarsi di dargli degna sepoltura.

Accidenti, dunque, agli archeologi, il cui mestiere, invece, è quello di scavare e portare alla luce le cose nascoste. Ed ecco che in Romania sono stati trovati due scheletri, inequivocabilmente di un uomo e di una donna, che nella loro tomba si tengono per mano. Risalgono all'epoca medievale, e pare che lui sia morto per un incidente che gli ha procurato un trauma toracico e di lei alcuni dicono che sia morta per un colpo al cuore (ma non è ovviamente sicuro). Da qui il soprannome con cui sono stati ribattezzati: Romeo e Giulietta.

Roba d'altri tempi, roba medievale.Però, la loro immagine, vista così è proprio emblematica: ossa che si guardano e si tengono mano nella mano. Chissà che cosa è capitato loro. Chi li ha trovati, guardandoli, ha avuto un pensiero istintivo: Romeo e Giulietta. Non c'è, però, da stupirsi se a breve saltasse fuori lo storico scientifico di turno a svelare che dietro c'è una vicenda ben più prosaica: ad esempio (ipotizzo liberamente), gli studi geologici più scrupolosi potrebbero confermare che la loro sepoltura risale al tempo in cui un forte terremoto colpì la zona, e quindi – non essendoci dati evidenti a supporto di un legame amoroso tra i due – la cosa scientificamente più probabile sarebbe supporre che fossero dei perfetti estranei a spasso per la città. Così, al momento del terremoto, lui venne colpito da un qualche pezzo di pietra precipitante e lei venne stroncata da un infarto per il terrore di quella scossa. Nel putiferio del cataclisma i loro cadaveri finirono vicini, per puro caso, e leggermente sovrapposti.

Ma – questo è notevole – l'immaginazione di chi si è imbattuto in quei due scheletri non ha optato per questa storia di prosaica casualità. Perché l'immaginazione dell'uomo è tanto spontanea quanto emblematica e, immediatamente, reagisce interpretando i segni, forse non nel modo scientificamente più verisimile, ma nel modo umanamente più attraente. Chissà perché. In ogni caso, il puro istinto immaginativo (che non è mera fantasticheria, ma la risorsa più divina che abbiamo) ha emesso il suo verdetto: Romeo e Giulietta.

Certe storie eterne ci restano addosso, come parlassero di qualcosa che ci appartiene, ben oltre la superficie della semplice trama. Di cosa parla, dunque, questa tragedia di Shakespeare? A prima vista è una domanda facile, ma al giorno d'oggi non so fino a che punto sia lecito esser certi anche degli elementi base della trama. Stando a un recente allestimento teatrale messo in scena a Verona non è da escludere una lettura meno tradizionalista dell'opera, cioè: non è detto – in fin dei conti – che i protagonisti in questione fossero un ragazzo e una ragazza, potevano benissimo essere due uomini. Ed è un'osservazione filologica, a detta del regista, che così dichiara: «Non c'è nulla di nuovo visto che, nell'epoca elisabettiana le donne non potevano recitare e i ruoli erano ricoperti da soli uomini. Del resto questo è anche un messaggio per dire che l'amore è universale, non necessariamente tra un uomo e una donna, ma anche tra uomo e uomo e donna e donna». Alla fine è l'amore universale che trionfa, perché chi avanza questa ipotesi interpretativa non la manifesta poi apertamente in un titolo chiaro, che, a questo punto, poteva ben essere Romeo e Giulio, ma si barrica dietro un più neutro, onnicomprensivo e generico L'elisir di Verona. Ed è questo il trucco, l'elisir: siamo tutti accolti dentro un grande abbraccio universale, senza più nomi, senza distinzioni, solo una nuvola di indistinta tolleranza.

Alla luce dell'attuale dibattito sul matrimonio, anche io – a ben vedere – potrei produrre una mia provocatoria interpretazione bigotto-cattolica di questa celebre tragedia, senza commettere strafalcioni testuali, ma solo forzando un po' la mano qua e là: due esseri di sesso diverso si innamorano, ma il matrimonio tra queste due creature è visto nella società che li circonda come un'offesa tremenda, una cosa da tenere nascosta perché genererebbe scontri violenti; non resta loro che una soluzione: celebrarlo in segreto con l'aiuto di un frate, cioè avendo il supporto di quell'unica istituzione che da sempre difende e celebra come sacramento la creazione di vincoli tra esseri di sesso diverso – la Chiesa.

Ma così facendo, anch'io tradirei Shakespeare e, soprattutto, tradirei qualcosa di me nel falsificare ciò che Shakespeare consegnò alla voce della poesia. Perché non spetta a noi custodire la tradizione del passato adattandola ai tempi, spetta invece al passato, che si tramanda nella tradizione, custodire la parte più preziosa di noi. Le grandi opere d'arte sono come il ritornello di una canzone: ci raccontano qualcosa che non muta anche se tutto va avanti. Non occorre reinventarle, ma sforzarci di ritrovarle per come già sono. Noi invece eccediamo in nuove teorie, nuovi punti di vista, nuove conquiste del pensiero; mettiamo sottosopra il nostro baule umano, che ci sembra pieno di cose stantie da innovare, modificare, reinventare – perché in realtà non le capiamo più. E riguardo alle questioni umane di base (nascita, matrimonio, morte) è proprio vero che ci stanno sfuggendo di mano gli elementi basilari, che invece da sempre i poeti hanno sentito il dovere di cantare e rendere eterni – come a dire: insopprimibili.

Per questo, il signor Chesterton prosegue dicendo che non c'è bisogno di modernizzare Shakespeare, ma c'è in realtà molto bisogno di capire proprio ciò che Shakespeare diceva: «Ma ci sono persone che probabilmente hanno bisogno di una traduzione persino delle parole di Shakespeare. Ad ogni modo, quello che un uomo apprende da Romeo e Giulietta non è una nuova teoria sul sesso; è il mistero di qualcosa di più di ciò che gli edonisti chiamano sesso, e che i cialtroni chiamano sex˗appeal».

Non è una teoria sull'amore universale quella che ci viene narrata in Romeo e Giulietta. Non c'è nessun elisir a Verona, e non c'è neppure nessun narcotico che avvolga nella nebbia del «vogliamoci tutti bene» il sapore agro del finale. A Verona c'è innanzitutto la guerra, quella netta: una fazione contro l'altra, l'odio delle ripicche, occhio per occhio, Capuleti contro Montecchi. Un potente contro un altro potente, quel genere di conflitti che conosciamo bene, perché non abitano solo nel mondo esterno fuori dalla nostra anima. L'amore non è affatto universale, non si diffonde spontaneamente e ovunque – non regna sovrano. Neanche quando siamo a tu per tu con noi stessi. A Verona c'è lo status quo di noi, dissidi che tracimano in scelte violente: o questo o quello. Questa è la nostra modalità di base, perché noi non siamo spontaneamente propensi ad accogliere ciò che giudichiamo nemico, altro, opposto. Ma a Verona si manifesta poi il mistero di una ferita che si può rimarginare non con un diplomatico cerotto, ma con un sacrificio; non con la neutra tolleranza reciproca, ma con un ardore ancora più infuocato della violenza che distrugge.

Il poeta mette in scena a Verona il mistero che c'è dietro l'immagine di ogni innamoramento tra uomo e donna: è qualcosa di eccezionale vedere l'incontro di due elementi opposti chegenerano. Sono naturalmente opposti (maschile e femminile), quanto politicamente contrapposti (Capuleti e Montecchi). E così raffigurati, Romeo e Giulietta generano a Verona putiferio e sconquasso, generano infine un sacrificio fecondo. E fin qui è la voce Shakespeare. Solo a questo punto del percorso, io mi permetto di aggiungere ciò che scorgo nell'eco di questa trama. Scorgo l'idea che non ci sia pace, bensì solo indifferenza reciproca, in una quieta omogeneità politicamente corretta. La verità è che non c'è modo di tenersi alla larga da traumi al torace e infarti. Io sento innanzitutto in me il bisogno che i miei conflitti non siano appianati in una pace fatta di annullamento (strette di mano che sono come lavarsene le mani). Occorre un modo di tenersi per mano che sia più incandescente della violenza. Occorre un conflitto fecondo, e ne vedo un segno in ciò che da sempre si celebra nel matrimonio. È un'ipotesi di carità generatrice, dentro i costanti dissidi che non vengono meno. E più che nelle tragedie, la vera natura del matrimonio tra uomo e donna viene fuori meglio nelle commedie, proprio perché parla di un bene che non è affatto idillico, composto e rasserenante - eppure genera; genera per conflitto tra gli opposti, non per somma di similtudini.

«Vorrei dire per via di metafora che i sessi sono due ostinati pezzi di ferro, che se mai si potranno fondere, si fonderanno allo stato incandescente. Ogni donna finirà per scoprire che suo marito è un animale egoista, perché ogni uomo lo è, se paragonato all'ideale femminile. Ogni uomo deve scoprire che sua moglie è irritabile, vale a dire tanto sensibile da fare impazzire: perché di fronte all'ideale maschile ogni donna è folle. Tutto il valore dei normali rapporti tra uomo e donna sta nel fatto che essi incominciano veramente a criticarsi quando incominciano ad ammirarsi davvero. Ed è bello che sia così. Coloro che da Dio vennero separati, nessun uomo osi unire» (G. K. Chesterton, da La nonna del drago e altre serissime storie).

@AlisaTeggi

lunedì 29 aprile 2013

Per chi l'avesse perso, l'articolo sul Distributismo di Fabio Trevisan su Vita Nuova

IL DISTRIBUTISMO: UNA PROPOSTA RAGIONEVOLE PER USCIRE DALLA CRISI - Fabio Trevisan, Vita Nuova 19 aprile 2013
Una mostra a Bergamo ripropone le idee del movimento di Chesterton, Belloc e McNabb

Un interessante articolo del prof. Carlo Bellieni - Oramai è prassi fare figli in età avanzata per imposizione "del mercato del lavoro" ma nessuno dice niente…

di C Bellieni

Un terremoto, una rivoluzione totale è in atto. Quale? Il popolo ha finito in massa per fare figli non più nella giovinezza piena, ma ben più in là, "nel mezzo del cammin di nostra vita". E a quanto pare non ha "deciso realmente", ma ha subìto preponderante l'imposizione del mercato del lavoro. Le conseguenze socioeconomiche sono fortissime, ed è strano, davvero strano che nessuno né gioisca né pianga: solo silenzio?

Come riporta un recente studio californiano, (Human Reproduction, febbraio 2013) oggi negli USA una donna su cinque ha il suo primo figlio dopo i 35 anni, un tasso otto volte maggiore che nella generazione precedente. Cosa che, spiegano, aumenta il tasso di infertilità, che non è riequilibrata dall'aumento di ricorso alla fecondazione in vitro (che a 35 anni ha un successo nel 41% dei casi e che funziona nel 4% dei casi dopo i 42 anni di età). E' bene? E' male? Certamente il quadro sociale cambia radicalmente… eppure: silenzio.

E preoccupa la comunità scientifica il fatto che le donne non sono pienamente coscienti delle problematiche legate questo terremoto. Infatti lo studio suddetto mostra che "le donne non hanno una chiara consapevolezza dell'età in cui la fertilità inizia a declinare. Più di metà delle partecipanti sono rimaste scioccate scoprendo che le possibilità di concepire alla loro età erano molto minori di quanto presupponevano"; per questo chiedono "una migliore educazione in questo campo per correggere false informazioni popolari o generate dai massmedia". Ma l'informazione non basta a cambiare questo trend, perché "circa metà delle donne riconosceva che le loro circostanze di vita personali non le hanno incoraggiate a cercare di avere un figlio in epoca più precoce". Alla faccia della libera scelta.

Un recente studio americano apparso nel 2007 sulla rivista Sociology of Health and Illness concludeva che le donne hanno solo "un'illusione di controllare il tempo riproduttivo e il loro corpo". E sosteneva che "il controllo riproduttivo è una mera illusione, dato che le scelte riproduttive sono da inquadrare in un contesto sociale e clinico che le influenza". Insomma, il terremoto avviene in un mare di disinformazione; sembrerebbe materiale per una megaprotesta: ma come, tutto cambia e non ci chiedete il nostro parere? Eppure… silenzio.

E' un terremoto a catena: si parte dal divario generazionale fortissimo che non garantisce più un ricambio nel mondo del lavoro, e si nota subito che oggi sono quasi spariti i concetti di cugino, cognato, zio, in un mondo in cui i figli non hanno più fratelli o sorelle; si nota l'aumento di una figura che prima esisteva solo sporadicamente: i gemelli – grazie all'aumento dell'età materna e alle tecniche fecondatorie. Si nota infine l'ingresso routinario della diagnosi genetica prenatale in seguito alla quale oggi si nasce solo dopo aver passato un esame di idoneità; cosa ambiziosa per un verso ed epocale per un altro: mai si era pensato nella storia del mondo ad un patentino di idoneità prenatale generalizzato. Non discutiamo se sia un bene o un male anche in questo caso, ma riflettiamo sul fatto che è un cambio ontologico e che, come spiega Carine Vassy (Trends in Biotechnology, 2005) l'ingresso non è avvenuto in seguito ad una pressione popolare che ne reclamava l'introduzione, ma "per motivi altri dalla domanda degli utenti".

Ma di fronte a queste rivoluzioni – e alla disinformazione che le circonda! - dove è il dibattito e la cultura? Dove sono i paladini della coscienza democratica? Chi reclama maggior informazione? Si discute certo di riproduzione: leggi su fecondazione o convivenza, ma quasi a rifinire o arginare i tratti di un cambiamento che ormai si dà per avvenuto. Si discute di dettagli su un quadro di terremoto! E il terremoto è avvenuto: un cambiamento sociale, trans generazionale, che fa slittare le generazioni come i lastroni di ghiaccio al polo nord. Non dico qui se è bene o se è male; ma è una rivoluzione sociale strana perché nessuno né gioisce né piange: solo silenzio.

domenica 28 aprile 2013

Un aforisma al giorno


Potremmo dire che, a grandi linee, il libero pensiero è la migliore delle misure di sicurezza contro la libertà.

Gilbert Keith Chesterton, Ortodossia

sabato 27 aprile 2013

Un aforisma al giorno

Puoi giurare fedeltà ad un'accolita di monaci, 
o di fronte ad una moglie graziosa,
ma questo è il modo dei Cristiani:
che il loro giuramento dura fino alla fine. 


Gilbert Keith Chesterton, La Ballata del cavallo bianco

Articolo: Society president sees Pope Francis, Chesterton link

Qui si fa cenno anche al nostro convegno di Marzo con gli amici americani:

venerdì 26 aprile 2013

Un articolo di Paolo Gulisano su George Orwell

A margine dell'articolo: forse non tutti sanno che George Orwell mosse i primi passi proprio grazie a GKC che pubblicò alcuni suoi articoli sul G. K.'s Weekly.

http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2013/4/23/ORWELL-Il-Grande-Fratello-ci-guarda-ancora/386128/

martedì 23 aprile 2013

Un grande ritorno: L'età vittoriana nella letteratura


Dopo quasi 70 anni l’editrice Fuorilinea ripropone ‘L’età vittoriana nella letteratura” acutissimo e debordante saggio/divagazione di Gilbert Keith Chesterton, il papà di padre Brown, e poi poeta, giornalista, critico e rutilante autore di pamphlet, saggi e romanzi surreali, grotteschi, umoristici, talvolta geniali sintesi di vezzi, gusti, splendori e miserie dell’intero Novecento. Qui di seguito la mia prefazione al volume  curato da Sabina Nicolini e tradotto da Federico Mazzocchi 
Un libro di Chesterton ha sempre bisogno di un’introduzione. Non perché manchi di qualcosa o necessiti di un sostegno. Tutt’altro. Ne ha bisogno perché di cose lì dentro ce ne sono fin troppe. Un rutilante e incessante assalto alla mente del lettore che facilmente potrebbe avere la peggio. Un’introduzione quindi vale un po’ da bussola, da orientamento primario nella fantasia di uno scrittore esorbitante come la sua mole, innamorato dei suoi contrasti, dei suoi giochi di parole condotti e perpetrati9 fino allo sfinimento, dei suoi parallelismi, dell’evocazione di particolari che soprattutto a più di un secolo di distanza possono essersi facilmente spersi strada facendo.
E allora, la prima avvertenza. Per far fruttare al meglio la lettura di questo L’età vittoriana in letteratura, ponetevi di fronte al volume che state per iniziare come se vi trovaste di fronte a un pianista virtuoso ma un po’ scapestrato: nel vostro caso, al posto delle note troverete un elenco dettagliato ma non sistematico di volti, un sfilata di penne valorose, significative, di scrittori che hanno incarnato l’epoca che Chesterton sentiva ancora come propria, nella piena libertà di muovercisi dentro da critico ma appassionato. Ci sono quindi i suoi amori, Dickens, Stevenson, e c’è l’Inghilterra sferzata e amata, ma che ne esce assolutamente vivida e attraente ancora oggi.
La seconda: non pensate di trovare in queste pagine le canoniche biografie, la contestualizzazione storica, una guida per comprendere. Queste cose a Chesterton non interessano. Quando e soprattutto quando scrive saggistica, GKC è un’ape che sugge fino all’ultimo la corolla che ha individuato per poi passare improvvisamente a quella di un altro tipo, di un altro campo, volteggiando allegramente seguendo la via dell’istinto. E allora, munitevi se  volete di matita e appunti per costruirvi da soli un itinerario in mezzo a questo paesaggio. Non contate sull’autore, non ha nessuna pietà e vi lascerà fare da soli un percorso personale ma non per questo meno elettrizzante
La terza: lasciarsi andare e gustare la verve dell’autore. Come di fronte al mangiafuoco del circo voi sapete bene di non aver alcuna voglia di riprodurre l’effetto del protagonista, né vi fate troppe domande sul modo in cui realizza il suo spettacolo. Ma il fuoco è talmente bello, vivido e fiammeggiante che guardate con ammirazione le sue evoluzioni che in fondo non vi scotteranno ma vi daranno emozioni. E Chesterton è una fucina di emozioni assolutamente indolore e avvincente.
La quarta: detto tutto ciò, non pensate di essere di fronte a un magnifico dilettante della storiografia. Chesterton non va misurato col metro della sistematicità, dell’equilibrio, della ragionevolezza. Come una squadra di calcio che magnificamente si getta all’attacco dell’avversario non si cura troppo di disporsi perfettamente sul campo e non si preoccupa di un contropiede. GKC si offre sempre senza calcoli al suo lettore che sa di potersi aspettare continuamente il colpo di genio, la trovata inattesa, la definizione improvvisa, saettante e fino a quel momento impensabile senza chiedergli continuità, logica e rigore. Così quest’opera si può leggere come il dizionario redatto da un Borges distratto, un uomo che una volta giunto a Liverpool scrisse alla moglie “Sono a Liverpool, dove dovrei essere? ‘ E la povera consorte gli rispose rassegnata “a casa”. Ecco caro lettore, sei perfettamente consapevole che a un certo punto anche tu non saprai più dove sei, dove ti avrà portato con sé questo formidabile gargantua delle parole. Ma non avere paura: una volta tornato a casa di accorgerai che il gioco valeva la candela. O meglio, il fuoco del mangiafuoco.
Saverio Simonelli

Un aforisma al giorno

"L'uomo medio vota al di sotto delle sue capacità; vota con metà, o la centesima parte, della testa. Un uomo dovrebbe votare con tutto se stesso, come quando va in chiesa o si sposa. Dovrebbe votare con la testa e con il cuore, con l'anima e con lo stomaco, con l'occhio per le facce e l'orecchio per la musica; e perfino, se provocato oltre ogni giusto limite, con le mani e con i piedi. Se qualche volta ha visto un bel tramonto, dovrebbe far scivolare nel proprio voto il suo colore purpureo. Se qualche volta ha sentito splendide canzoni, dovrebbe averle nelle orecchie quando traccia la mistica croce. Ma, da come stanno le co­se, il problema della democrazia inglese è che questa, in tutte le elezioni, in qualche modo si rivela inferiore a se stessa. La que­stione non è che solo una piccola parte dell'elettorato vota. Il punto è che solo una piccola parte del votante vota"

Gilbert Keith Chesterton, Tremendous Trifles

lunedì 22 aprile 2013

Un ritratto di Papa Francesco dal nostro Matteo Donadoni



IRRIVERENTEMENTE DEFINITO (DA ME)PAMPERO DE DIOS

(OVVERO DEL VIGORE EVANGELICO DI UN VESCOVO VESTITO DI BIANCO E UN PO' DESCAMISADO)

 

«No te olvides nunca de mis grasitas».

(Invito a non dimenticarsi dei suoi poverelli, che Evitarivolse a Peròdal letto di morte)

 

PREMESSA ETIMOLOGICA O VOCABOLARIO

Descamisados: letteralmente "scamiciati", nell'accezione usata, seguaci di Peròn, peronisti.

Grasa: termine dispregiativo per indicare le persone di umile condizione sociale e scarsa cultura; grasita è un vezzeggiativo, indica un tono affettuoso.

Pampa: parola in lingua quechua per "pianura".

Villas miserias: quartieri poveri e malfamati, con alto tasso di criminalità.

 

Il termine pampero fu introdotto dai conquistadoresspagnoli dell'area del Rio de la Plata. I coloni spagnoli, infatti, erano tormentati da un vento forte, secco, freddo (o caldo) e tempestoso, proveniente dall'interno del continente, cioè dalle pampas, le fertili praterie argentine.
Ora, questo, può sembrare un accostamento irriverente e paradossale, e forse lo è, ma a Bergoglio, che pare sia membro della Sociedad Chestertoniana Argentina, e che ha scelto di incarnare il paradosso di un Papa gesuita di nome Francesco, credo che piacerebbe. Infatti, che sia un forte vento per la Chiesa è ormai chiaro a chiunque, anche in tutti i peggiori bar di Caracas, ma il suo non sarà un vento freddo, sarà forte contro il male e ditenerezza per chi lo ama. Bergoglio è un uomo di grande forza pastorale, dotato di una sana "aggressività apostolica"che è lo stile con il quale si esprime, e non avpaura di annunciare con vigore e saggezza Cristo ed il Vangelo.

Per capire la personalità di Papa Francesco, non facilmente decifrabile tramite canoni europei, credo sia necessario tenere presente alcuni dati culturali emergenti dalla formazione e dalla provenienza argentina i tratticaratteriali propri della persona umanaBergoglio ha unaforma mentis gesuitica e un'anima francescana, un cuore argentino e un fegato peronista, come del resto la maggior parte dei suoi connazionali: se, come tante Evita Duarte, le argentine possono spezzarti il cuore con un solo sguardoinfuocato, gli argentini sono orgogliosi e determinati come i loro straordinari cavalli criolli.

Forse definire il Santo Padre peronista può suonaredisdicevole nell'Europa del politically correct, e forseBergoglio non lo è o non lo è più, ma in Argentina il dibattito è vivace. La figura del presidente Peròn fucertamente sui generis: cercò la terza via fra capitalismo e marxismo; diede ospitalità a rifugiati nazisti, ma non vi eratraccia di antisemitismo in lui; ebbe a cuore il destino dei poveri, ma non era spinto da ideologie socialiste. Hugo Alconada Mon, giornalista de La Nacion, quotidiano letto da Bergoglio, ha riportato l'episodio in cui il giovaneBergoglio esibì in classe il distintivo del movimento peronista e si beccò una sospensione di alcuni giorni. Pare che ebbe simpatie per il peronismo cattolico, prima dell'avvento dei montoneros, i cosiddetti peronisti di sinistra che misero a ferro e fuoco l'Argentina. Infatti dichiara: «Peròn voleva servirsi delle tesi della Dottrina sociale della Chiesa e finì per introdurne molte nella sua attività politica governativa. Monsignor De Carlo, il vescovo di Resistenciafu molto vicino alla coppia Peròn. Di fronte alle accuse di essere filo-peronista rispondeva: "Non è De Carlo peronista, ma Peròn ad essere decarlista"»(cfr "Il Cielo e la Terra", dialoghi tra Jorge Bergoglio e Abraham Skorka). Non sappiamo se sia o no distributista, in ogni caso è indubbio che di quella terza via tra marxismo e capitalismo qualche cosa è rimasto nella visione politico-economica del Papa. Di certo sono (sospirate) parole del Pontefice «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri».

D'altra parte Papa Francesco era apparso subito senza la mozzetta, un po' come aveva fatto san Francesco, denudandosi degli abiti del padre. Ma, qualcuno ha fatto notare, come fece anche Peròn, togliendosi la giacca dal balcone della Casa Rosada, restando descamisado. Tuttavia, il fatto non va frainteso, né applicato alla liturgia,perché l'arredo liturgico non è semplice forma, è renderegiusto onore alla gloria di Dio. Ha voluto precisare subito il Papa: «Dalla bellezza di quanto è liturgico, che non è semplice ornamento e gusto per i drappi, bensì presenza della gloria del nostro Dio che risplende nel suo popolo vivo e confortato». E' giusto dare ad ogni cosa la giusta collocazione ed importanza, volere una Chiesa povera, non clericale e non ideologizzata, non significa distruggerla.

Benedetto XVI nella rinuncia al Pontificato ha parlatodelle sfide che la Chiesa ha davanti della grande forzanecessaria per affrontarle. La sfida della fede, la nuova evangelizzazione dell'Europa, la cui cultura teologica è quella di certi biblisti, che, accettando acriticamente il metodo inventato dal protestante-simo (cosiddetto storico-critico, in realtà agnostico), hanno vivisezionato la Parola di Dio come se non fosse fondamentale in quanto tale -,per cui purtroppo a volte si ha l'impressione che ciò che ciresta di vero siano solo le note del biblista! Tuttavia, come dice il filosofo inglese Roger Scruton«la cristianità ha creato l'Europa, l'Europa ha cristianizzato il mondo, oggi le élite europee hanno rifiutato la cristianità, per questo l'elezione di Bergoglio sarà l'occasione di una rievangelizzazione dell'Europa attraverso un gesuita argentino».

Bisogna rimettere ordine: prima la fede, poi la morale; primal'annuncio della Novella, delkerigmapoi le opere, che derivano dalla sua accettazione. E questa è la grande, perenne sfida della carità,che dalla fede derivaLeggiamo nel Vangelo di Luca: «Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore". Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. Allora cominciò a dire: "Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi"». (Luca 4,17-21)

Infatti, già nel 2002, durante la grave crisi Argentina,per cui si moriva letteralmente di fame, invece di rispondere alle sfide del presente con un documento su debito esterogiustizia sociale o ricette economiche, i Vescovi argentini hanno offerto a tutti i fedeli l´umile e trascurato Catechismo della Chiesa CattolicaIl perché lospiegò l´arcivescovo di RosarioEduardo Vicente Mirás:«Fatti come la morte per fame di tanti bambini avvengono nella nostra società anche perché non si conosce né si mette in pratica la dottrina di Cristo. Per questo il Catechismo ha valore: ci fa conoscere questa dottrina e ci permette di avere una conoscenza chiara della dignità dell´uomo».Considerazione a cui l'allora arcivescovo di Buenos AiresJorge Bergoglio, aggiunse«Per questo presentiamo il messaggio del Catechismo così com'è. Colui che lo segue si salva e salva gli altri. Siamo consapevoli della sofferenza del nostro popolo, siamo consapevoli del fatto che molti bambini non possono terminare il primo ciclo d'istruzione per mancanza delle necessarie proteine. Siamo consapevoli che negli ospedali manca l'essenziale per la salute della gente. Presentare il messaggio di Gesù Cristo significa tracciare il cammino che Egli ha tracciato. Per esser degni della Sua dignità. E diciamo: ogni persona del nostro popolo ha diritto a vedere rispettata questa dignità e non a vederla calpestata. Calpestare la dignità di una donna, di un uomo, di un bambino, di un anziano è un peccato grave che grida al Cielo». Infatti, che Bergoglio andasse nelle villas miserias non fa di lui un contestatore teologico. Anzi, sul piano della morale e della catechesi è del tutto allineato alla tradizione: «L'eredità, la tradizione non si negozia. Il contenuto di una fede religiosa può essere approfondito dal pensiero umano, ma quando questo approfondimento entra in collisione con l'eredità, allora diventa eresia». Il Papa èmagister e custos fidei, custode e maestro della fede, il restopotrebbe essere tutto accessorio, eppure Francesco dice:«Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio» e«non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! […]Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d'animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all'altro, di amore».

La tenerezza di cui el jesuita Francesco è simbolo, dunque, denota grande forza interiore e, come il vento delle pampas, in questi primi giorni di pontificato ha già fatto capire che misericordia e tenerezza sono le insegne degli uomini forti, di chi come lui fa presa sulla vita e sa indicare la retta via. Seguendolo «sentiremo la sua tenerezza, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore».


Matteo Donadoni

Un aforisma al giorno

"Un uomo con una convinzione precisa (...) appare sempre bizzarro, perché non muta col mondo; egli si è issato fino a una stella fissa, e la terra rotea sotto di lui come uno zootropo. Milioni di miti uomini in giacchetta nera si dichiarano sani di mente e ragionevoli solo perché afferrano al volo la fola del momento, perché vengono sospinti da una pazzia all'altra dal maelstrom del mondo".

Gilbert Keith Chesterton, Eretici 

Presto un nuovo libro del nostro amico Stratford Caldecott



Second Spring (@SecondSpringOx)

Pubblicato su 22 aprile 2013 15:36
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"We've got exciting news! A new book from Stratford Caldecott & @AngelicoPress will be out soon, titled 'The Radiance of Being'. More soon..."

domenica 21 aprile 2013

Mons. Negri - Non è giusto continuare in un'equivoca tolleranza - da Il Foglio

DAL REVIVAL DI IDEE DEL PRIMO HITLERISMO ALLE LEGGI SULLE UNIONI GAY, "NON È GIUSTO CONTINUARE IN UN'EQUIVOCA TOLLERANZA". NÉ PER I CATTOLICI, NÉ PER LE PERSONE RAGIONEVOLI

 

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Carissimo direttore, poiché mi trovo quasi sempre d'accordo con le tue posizioni dal punto di vista cultural-politico, mi permetto di farti avere delle osservazioni che sento assolutamente necessario, in coscienza, formulare e pubblicare. Mi hanno indotto a questo anche due bellissimi articoli che ho letto recentemente sulla questione dell'assetto cultural- social-politico in questo momento tragicomico della nostra storia nazionale.

Uno è un articolo del professor Francesco Alberoni sul fanatismo devastante di certe posizioni politiche, che mi ha ricordato i tempi indimenticabili dei miei studi universitari, in cui l'allora giovane professor Alberoni ci insegnava i rudimenti della sociologia. E poi l'articolo molto  acuto del professor Aldo Grasso con cui ho condiviso tanti anni di insegnamento in Cattolica.

Non voglio fare nessun intervento nell'ambito specifico dell'impegno dei laici, soprattutto dei laici che hanno deciso di partecipare attivamente alla vita delle istituzioni. Non tocca ai vescovi stabilire l'identikit del presidente della Repubblica e non tocca ai vescovi indicare le priorità di carattere politico in senso stretto, ma tocca ai vescovi intervenire sulle gravi vicende di carattere culturale che sono arrivate, nel nostro paese, a un livello di crisi che mi sembra senza ritorno.

Mi sono chiesto se è giusto che noi continuiamo a tacere di fronte a posizioni culturali, sociali e politiche che affermano letteralmente che l'uomo è Dio; e che affermano una subordinazione totale e parossistica alla rete, indicata come soluzione globale di tutti i problemi dell'umanità.

Se si possa tacere di fronte a una modalità di porsi, nella vita politica, che disprezza, nel linguaggio e negli atteggiamenti, qualsiasi interlocutore che viene sbrigativamente percepito come avversario da eliminare. Se è possibile far prevalere tutta una serie di valutazioni personalistiche di carattere moralistico come ambito in cui decidere la presentabilità o meno di candidati a questa o a quella carica. A parte l'ignoranza spaventosa per cui si possono citare frasi del primo hitlerismo e di alcuni documenti delle più terribili dittature del Ventesimo secolo cercando di dargli una patente di credibilità e di autorevolezza. In questo contesto, dove una persona ragionevole, io non vorrei scomodare la fede, una persona ragionevole si trova veramente a disagio, ritengo che sia giusto che un vescovo della chiesa cattolica dica che c'è una sostanziale inconciliabilità fra la visione della realtà che nasce dalla fede e questa vita politica ridotta alla difesa accanita dei propri interessi particolari o di formazione ideologica.

Non credo che sia giusto che si possa continuare in un'equivoca tolleranza di posizioni che obiettivamente sono distruttive, non solo e non tanto della fede cattolica, ma di una vita sociale autenticamente fondata su valori sostanziali e inderogabili, quelli che Benedetto XVI aveva così genialmente sintetizzato nell'espressione "valori non negoziabili".

Di fronte alla proposta di una vita socio- politica ridotta a posizioni teoriche demenziali, corredate da un linguaggio e relativi atteggiamenti dello stesso tipo, io mi sento di dire con tranquillità, almeno ai fedeli cattolici della mia diocesi, che non è possibile essere cristiani e contemporaneamente appoggiare a qualsiasi livello posizioni e scelte che sono evidentemente in contrasto con la concezione della vita che la chiesa, coerentemente, da duemila anni insegna. Se poi la novità è rappresentata, anche sul piano istituzionale, da disegni di legge che riguardano il riconoscimento civile delle unioni gay, il cambiamento a spese del Servizio sanitario nazionale del sesso, ci rendiamo conto da che parte va questa presunta novità.

Ma c'è un ulteriore e ultimo disagio. Mi sono chiesto in questi giorni: ma dove è finita la presenza politica dei cattolici in Italia? Si caratterizzano per le scelte politiche che fanno, destra o sinistra, ma non più per quella vera appartenenza a valori in forza dei quali diventa possibile un vero dialogo, confronto, e al limite la collaborazione.

Mi sono reso conto con amarezza che la presenza politica dei cattolici sembra non esistere più. Esistono dei cattolici che a titolo sempre più personale, quindi nel senso restrittivo della parola, militano di qua o di là ma ricevono la loro dignità dalla scelta analitica che hanno fatto. E forse qui non è in ballo soltanto la responsabilità dei laici. Forse l'azione educativa che noi dovremmo insistentemente riprendere con i nostri laici, soprattutto quelli impegnati nei campi più difficili, sembra essere venuta meno. Non so se non è più chiesta. Resta il fatto che da noi vescovi viene offerta in modo sempre più blando e sempre meno mordente. Non è un contributo ma non credo che potessi tacere ai fedeli della mia chiesa questa direttiva che ho ritenuto necessario dare.

Siccome poi il vescovo di una diocesi particolare vive e deve vivere un affetto per la chiesa universale, pongo questo mio intervento a disposizione di quanti, nelle altre chiese, possano riconoscersi e ritrovarsi in esso. (Il Foglio del 19/04/2013)


Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara – Comacchio

Ecco il Rodotà - pensiero - 1 (grazie a Costanza Miriano)

Posta e ferma le candidature di Patrick Dalroy e Basil Grant, ecco come la pensa Rodotà (noi lo sapevamo ma grazie Costanza Miriano):

Patrick or Basil for President

... ma Rodotà, Prodi, Marini...

Non può essere.

giovedì 18 aprile 2013

Presidente della Repubblica...

Adesso gira anche il nome di Prodi.

Noi, proprio per non sbagliare, insistiamo: Patrick Dalroy.

Padre Roberto Brunelli, nome di battaglia Padre Brownelli o Il Patriota Cosmico, suggerisce anche un altro nome: Basilio.

Voi direte: Basilio chi?

Ma come?!? Basil Grant, l'indiscusso protagonista de Il Club dei Mestieri Stravaganti (a proposito: ne abbiamo ancora un po' di copie, amici...)!

Così leggendo vi viene in mente come comportarvi qualora qualcuno vi dovesse candidare...

Proposta per il Quirinale

Leggendo tra le righe dei vari siti internet che parlano di tanti presidenti possibili (Marini, Rodotà, Strada, Gabanelli, Amato, non si sa chi altro) l'Uomo Vivo propone: e se facessimo presidente Padre Brown, o al massimo Patrick Dalroy?

Anzi, se ci buttassimo direttamente su Patrick Dalroy?

Un ragazzo dalle idee molto più chiare e decise di tutta la brava gente in parlamento e "affini".

Proviamoci, dai.

Da Tempi - «Io, tra i 67 francesi arrestati perché manifestavo in silenzio per la famiglia. Ecco come è andata»

Spade si incroceranno per dire che le foglie sono verdi d'estate, diceva la Buonanima...
Ma aveva visto lungo o ancora non ne siamo convinti?

http://www.forumfamiglie.org/allegati/rassegna_27366.pdf

Indizi su Papa Francesco e GKC...

A proposito di Papa Francesco: "En su biblioteca están Borges, Marechal y Chesterton. No son malas compañías para un cura" ("nella sua biblioteca ci sono Borges, Marechal e Chesterton. Non sono cattive compagnie per un prete").

Rogelio Alaniz in questo articolo: