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mercoledì 30 settembre 2009
Un aforisma al giorno - 130
Un aforisma al giorno - 129
Rassegna stampa
SI PARLA DI NOI :: Il card. Varela riporta i cattolici in piazza 126 KB
30 Settembre 2009 - Avvenire
Eutanasia
Uno spettro si aggira per l'Europa 302 KB
30 Settembre 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
La zona grigia tra la vita e la morte 134 KB
30 Settembre 2009 - QN
NATALITA'. L'Italia rischia di scomparire 97 KB
30 Settembre 2009 - Avvenire
Parità Scolastica
Allarme paritarie nel Triveneto 158 KB
28 Settembre 2009 - Avvenire
Più risorse per i bambini 403 KB
Dal dott. Carlo Bellieni
di Carlo Bellieni
Una bella mattina di primavera, una mattina come le altre, vi alzate, andate a lavoro e aprite il giornale: per uno strano caso notate una notizia che vi attira. Leggete meglio e trasecolate: il giornale riporta chiaramente che voi avete avuto un fratello che quando era molto piccolo è morto. E nessuno ve ne aveva parlato. Fate fatica a crederci, ma l’articolo è dettagliato, e leggendolo vi rendete anche conto che vostro fratello non è morto proprio per caso, ma che qualcuno - e proprio qualcuno cui voi volete molto bene - ha avuto a che fare con la sua morte. Quali sentimenti genera questa scoperta, quali ambivalenze, quali conflitti o domande? Strampalata situazione? Non tanto: è quello che può succedere quando qualcuno scopre, per qualche motivo, che un suo fratellino è stato abortito.
Già nel 1983, lo psicologo PG Ney riportava che i sopravvissuti ad aborto possono sviluppare sentimenti di (leggi tutto...)
Un aforisma al giorno - 128
martedì 29 settembre 2009
Rassegna stampa
Ru486
L'Aifa non faccia ideologia 105 KB
29 Settembre 2009 - OsservatoreRomano
Aborto
Il governo spagnolo vara la nuova legge 54 KB
29 Settembre 2009 - CorrieredellaSera
Norlevo
Spagna: senza ricetta medica 28 KB
29 Settembre 2009 - CorrieredellaSera
Il Papa: servono leader credenti e credibili 36 KB
Così la crisi fa ricchi i boss dell'usura
Sapete bene cosa pensava Chesterton degli usurai. Sapete bene cosa pensa la Chiesa.
«Siamo molto preoccupati», ammette il sottosegretario all’In terno, Alfredo Mantovano, che ha la delega proprio in materia di racket e usura, e che ha fornito que sta preoccupante notizia a margine del convegno del Pdl sul Mezzogiorno. Un allarme lanciato anche dalla Procura nazio nale antimafia in un documento sull’in filtrazione mafiosa nell’economia lega le che la Commissio ne parlamentare an timafia sta analiz zando proprio in queste settimane. «È appena il ca so di aggiungere – si legge nel do cumento riservato – che le difficoltà del sistema bancario a soddisfare le esigenze di finanziamento di sin goli e imprese favorirà il ricorso ai prestiti usurari, che, nelle regioni meridionali e non solo, sono gesti ti dalle organizzazioni mafiose, che si mimetizzano spesso dietro inso spettabili finanziarie». Dati nazionali non sono ancora di sponibili ma quelli parziali, relativi a zone importanti e sensibili, con fermano l’allarme.
La Guardia di Fi nanza, il corpo specializzato nel contrasto alla criminalità econo mica e quindi anche agli strozzini, ha condotto una rilevazione sui da ti dell’usura nei primi cinque mesi del 2009, nel circondario di Napo li, territorio da sempre colpito dal fenomeno, ma mai come quest’an no. Infatti secondo le indagini della Fiamme Gialle i casi rilevati nei pri mi cinque mesi del 2009 sono stati 342 con 2.625 indagati mentre in tut to il 2008 erano stati 337, con 2.954 indagati. Per l’intera provincia na poletana i casi nel 2008 erano stati 715 con 3.971 indagati, mentre nei primi cinque mesi di quest’anno so no stati 637, con 3.221 indagati. I motivi sono evidenti e Mantovano, ricordando che il governo ha costi tuito in tutte le regioni degli osser vatori sul credito coordinati dai pre fetti, lancia un appello alle banche: «Non siano così rigide negli auto matismi: i mutui negati o revocati per indici piuttosto discutibili pro vocano automaticamente il passag gio al credito usurario».
Un splendido 'regalo' per le cosche che, come sottolinea il documento della Procura na zionale antimafia, dispone di una «permanente, e norme, illimitata, liquidità finanzia ria », proveniente soprattutto dal traf fico di droga «un mercato che non andrà certo in cri si, dal momento che è in aumento tanto l’offerta che la domanda di droghe di ogni gene re ». Ed alla richiesta di denaro le ma fie rispondo efficientemente, con proprie 'banche' parallele. «Recen ti indagini hanno rivelato un com plesso sistema di usura, all’interno del quale alcuni imprenditori, con tigui ad ambienti criminali, funge vano da veri e propri istituti di credito 'abusivi' nei confronti di commercianti che, in difficoltà economiche, non avevano ottenuto dagli istituti bancari i finanziamenti richiesti ». Grazie all’usura le mafie possono en trare in possesso delle imprese «a prezzi di svendita stracciati, con con seguente accelerazione del proces so di occupazione di settori sempre più vasti dell’economia, in maniera ancora più accentuata di quanto sta già avvenendo in questi anni».
Dalla Vandea ai gulag Il filo rosso di Solzenicyn
Il filo rosso che unisce i disastri della Rivoluzione Francese ai disastri della Rivoluzione Russa, dalla Vandea ai Gulag.
Si tratta di un discorso pronunciato dallo studioso russo in Vandea in occasione dell'inaugurazione nel 1993 di un monumento alle vittime delle stragi rivoluzionarie contro i vandeani.
Per molto tempo si è rifiutato di ascoltare e di accettare quanto era stato gridato dalla bocca di coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una terra laboriosa, per i quali sembrava fosse stata fatta la Rivoluzione, ma che la stessa Rivoluzione oppresse e umiliò fino all’estremo limite, ebbene, proprio questi contadini si ribellarono contro di essa! I contemporanei avevano ben colto che ogni rivoluzione scatena fra gli uomini gli istinti della barbarie più elementare, le forze opache dell’invidia, della rapacità e dell’odio. Essi pagarono un tributo decisamente pesante alla psicosi generale, quando il fatto di comportarsi da uomini politicamente moderati, o anche soltanto di sembrarli, veniva già considerato un crimine. Il secolo ventesimo ha notevolmente offuscato agli occhi dell’umanità l’aureola romantica che circondava la rivoluzione nel secolo diciottesimo.
Di mezzo secolo in mezzo secolo gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; che danneggiano il corso naturale della vita; che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori; che nessuna rivoluzione può arricchire un Paese, ma solamente quanti si sanno trarre d’impiccio senza scrupoli; che generalmente nel proprio Paese produce innumerevoli morti, un vasto impoverimento, e, nei casi più gravi, un degrado duraturo della popolazione. Il termine stesso "rivoluzione" – dal latino revolvo – significa "rotolare indietro", "ritornare", "provare di nuovo", "riaccendere", nel migliore dei casi mettere sossopra, una sequenza di definizioni poco desiderabili. Attualmente, se da parte della gente si attribuisce a qualche rivoluzione la qualifica di "grande", lo si fa ormai solo con circospezione, e molto spesso con molta amarezza.
Ormai capiamo sempre meglio che l’effetto sociale che desideriamo tanto ardentemente può essere ottenuto attraverso uno sviluppo evolutivo normale, con un numero infinitamente minore di perdite, senza comportamenti selvaggi generalizzati. Bisogna saper migliorare con pazienza quanto ogni giorno ci offre. E sarebbe assolutamente vano sperare che la rivoluzione possa rigenerare la natura umana. Ebbene, la Rivoluzione francese, e in modo assolutamente particolare la nostra, la Rivoluzione russa, avevano avuto questa speranza. La Rivoluzione francese si è svolta nel nome di uno slogan intrinsecamente contraddittorio, e irrealizzabile: «Libertà, uguaglianza, fraternità». Ma, nella vita sociale, libertà e uguaglianza tendono a escludersi reciprocamente, sono antagoniste: infatti, la libertà distrugge l’uguaglianza sociale, è proprio questa una della funzioni della libertà, mentre l’uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere.
Quanto alla fraternità, non è della loro famiglia, è un’aggiunta avventizia allo slogan: la vera fraternità non può essere costruita da disposizioni sociali, è di ordine spirituale. Inoltre, a questo slogan ternario veniva aggiunto con tono minaccioso «o la morte», il che ne distruggeva ogni significato. Mai, a nessun Paese, potrei augurare una "grande rivoluzione". Se la Rivoluzione del secolo diciottesimo non ha portato la rovina della Francia è solo perché vi è stato Termidoro. La rivoluzione russa non ha conosciuto un Termidoro che abbia saputo arrestarla, e, senza deviare, ha portato il nostro popolo fino in fondo, fino al gorgo, fino all’abisso della perdizione.
L’esperienza della Rivoluzione francese avrebbe dovuto bastare perché i nostri organizzatori razionalisti della "felicità del popolo" ne traessero lezioni. Ma no! In Russia tutto si è svolto in un modo ancora peggiore, e in una dimensione senza confronti. Numerosi procedimenti crudeli della Rivoluzione francese sono stati docilmente applicati di nuovo sul corpo della Russia dai comunisti leninisti e dagli specialisti internazionalisti, soltanto il loro grado di organizzazione e il loro carattere sistematico hanno ampiamente superato quelli dei giacobini. Non abbiamo avuto un Termidoro, ma – e ne possiamo esser fieri nella nostra anima e nella nostra coscienza – abbiamo avuto la nostra Vandea, e più d’una. Sono le grandi insorgenze contadine, quella di Tambov nel 1920-1921, della Siberia occidentale nel 1921. Un episodio ben noto: folle di contadini con calzature di tiglio, armate di bastoni e di forche, hanno marciato su Tambov al suono delle campane delle chiese del circondario, per essere falciate dalle mitragliatrici.
L’insorgenza di Tambov è durata undici mesi, benché i comunisti, per reprimerla, abbiano usato carri armati, treni blindati, aerei, benché abbiano preso in ostaggio le famiglie dei rivoltosi e benché fossero sul punto di usare gas tossici. Abbiamo avuto anche una resistenza feroce al bolscevismo da parte dei cosacchi dell’Ural, del Don, del Kuban’, di Tersk, soffocata in torrenti di sangue, un autentico genocidio. Vedo con la mente i monumenti che verranno eretti un giorno, in Russia, testimoni della nostra resistenza russa allo scatenamento delle orde comuniste. Abbiamo attraversato il secolo ventesimo, un secolo di terrore dall’inizio alla fine, terribile coronamento del Progresso tanto sognato nel secolo diciottesimo. Oggi, penso, crescerà sempre più il numero dei francesi che capiscono meglio, che valutano meglio, che conservano con fierezza nella loro memoria la resistenza e il sacrificio della Vandea.
Aleksandr Solzenicyn
lunedì 28 settembre 2009
Chesterton interessa.
Bella cosa.
Viva Gilbert!
Dio, palla e famiglia - Perché il fuorigioco è la prova dell’esistenza di Dio
Allora li citiamo noi, a nostra volta.
Sunteggiata senza tradimenti, la prima delle cinque prove dell’esistenza di Dio che san Tommaso d’Aquino pone al principio della Summa dice così: “Tutto ciò che si muove è mosso da un altro (…). Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto a movimento, bisogna che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e così via. Ora, non si può in tal modo procedere all’infinito. (…) Dunque è necessario arrivare a un primo motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio”.
Qualcuno provi a citarla in un’aula universitaria o in quella di un seminario, dove la fiera eleganza del sillogismo interessa meno del sudoku, e verrà esiliato in bidelleria. Ragion per cui il tomista del terzo millennio, che è uomo ragionevole e di sani principi morali, saluta e va allo stadio, dove Rahner e i suoi nipotini non arriveranno mai. Paga il biglietto, si piazza al terzo anello e contempla la vena metafisica e deduttiva delle azioni da manuale del calcio. Si incanta al cospetto del mediano che si avvia verso la metà campo e innesca il rinvio del portiere, poi del trequartista che con la sua corsa detta il passaggio del mediano, dell’ala che chiama quello del trequartista, del centravanti suggerisce quello dell’ala. Si incanta e fa benissimo visto che qui, con tutto il rispetto dovuto, entra in campo san Tommaso. Perché i casi sono due. O l’ala ha avuto l’accortezza di arrivare sul fondo e crossare, e allora ci sta anche il gol. Altrimenti, se il centravanti si è mosso in anticipo e si trova da solo davanti al portiere avversario prima che sia partito il passaggio del compagno, l’arbitro fischia il fuorigioco.
Il gol, ma soprattutto il fuorigioco, sono la perfetta applicazione calcistica del ragionamento del Dottore Angelico: “Non si può in tal modo procedere all’infinito. (…) Dunque è necessario arrivare a un primo motore che non sia mosso da altri”. Come in filosofia e in teologia, anche nel calcio l’azione non può continuare senza termine, altrimenti la partita sarebbe un’infinita e inconcludente serie di passaggi. Laddove non intervenga il gol, serve un limite oltre il quale si palesi la finitezza dell’ordinario rapporto tra causa ed effetto, tra scatto e passaggio.
Serve colui che fischia il fuorigioco, splendida metafora contemporanea del tomistico “primo motore che non sia mosso da altri”. Per dare un senso anche alla più amichevole delle partite serve qualcuno che ne stia fuori, un arbitro che fischi quando il limite viene valicato. L’unica differenza tra un’azione che finisce in fuorigioco e l’argomentazione della “prima via” di San Tommaso sta nel fatto che l’arbitro evocato dal Dottore Angelico si scrive con la “A” maiuscola e non ha bisogno della moviola perché non sbaglia mai. Lo sa anche un bambino. Però i bambini, in questo genere di argomenti, sono avvantaggiati. Mettetene uno su un campo, dategli un pallone e lo vedrete riempirsi di gioia. Ma è ancora niente. Se sul campo tracciate delle linee bianche e piantate i pali delle porte, allora lo vedrete veramente felice. Perché nel primo caso gli avrete fatto intuire il fremito della libertà, nel secondo lo avrete fatto sentire parte del grande gioco della creazione, un regalo molto più inebriante.
Basta essere stati almeno una volta su un campetto dell’oratorio con la maglietta della Gagliarda indosso, il pallone di cuoio fra i piedi e le linee bianche tracciate per terra con la calce. Improvvisamente, si entra in un mondo in cui tutto è meraviglioso perché tutto ha un senso, lo stesso senso per tutti: per chi gioca e per chi guarda. Si comprende che cosa significhi nascere, essere tratti dal nulla, pensati da sempre da un Essere indicibilmente buono e potente. Se lo portassero su quel rettangolo verde delimitato dalle righe bianche, anche il più svaccato studente di liceo capirebbe quel passo della Summa in cui Tommaso spiega che il mondo è sapientemente e magnanimamente governato da Dio: “la perfezione ultima di ogni essere consiste nel conseguimento del fine. Perciò, come fu la divina bontà a dare l’esistenza alle cose, così a essa pure spetta il condurle al loro fine. E questo è governare”.
Dopo una partita di calcio, anche il liceale svaccato manderebbe a memoria queste righe e le terrebbe come preghiera quotidiana, perché dentro c’è tutto l’entusiasmo del Bue Muto per il fatto di essere al mondo, qualcosa che somiglia da vicino a quello che Stevenson chiamava il grande teorema della vivibilità della vita. Il rinascimentale “Essere o non essere” non è questione che appassioni il medievale Tommaso poiché, fin dalla prima parola, il problema contiene la soluzione: essere. “Nessuno”, scrive Chesterton nel suo luminoso Tommaso d’Aquino, “inizierà a capire la filosofia tomistica, o in verità la filosofia cattolica, se non si renderà conto che il suo aspetto primario ed essenziale è soprattutto la lode della vita, la lode dell’Essere, la lode di Dio come creatore del mondo”. Parole che paiono scritte a bordo campo, dove anche l’ultima delle riserve comprende che chi ha inventato il calcio e le sue regole poteva essere solo un uomo buono e intelligente. E che, per partecipare della sua bontà e della sua intelligenza, non c’è altro da fare che rispettarne le regole, vale a dire gettarsi nella bizzarra avventura del football, così come, per partecipare della bontà e dell’intelligenza del Creatore, dice San Tommaso, non c’è che da rispettare le regole dell’essere, vale a dire gettarsi nella bizzarra avventura della vita.
E’ chiaro che, nella vita come nel calcio, le regole hanno senso solo a fronte della libertà. “L’uomo” si legge nella Summa “agisce giudicando, non per istinto, ma per confronto di ragioni, considerando il pro e il contro, e con giudizio libero; nelle cose particolari, come per l’intelletto c’è il liberamente opinabile, così per la volontà c’è il liberamente operabile. L’uomo quindi ha il libero arbitrio”. Però bisogna fare attenzione. A lume di libero arbitrio, Mariolino Corso poteva starsene tranquillamente all’ombra delle tribune fino al quarantesimo del secondo tempo, ma poi, con un lancio di cinquanta metri, ti pescava Boninsegna e lo mandava in rete. Corso sapeva benissimo che in campo si può contare su una gran varietà di schemi, ma sapeva anche che poi bisogna segnare: il dovere del gol, fine ultimo del gioco del calcio, come la ricerca della salvezza eterna nella vita, non pertiene al “liberamente opinabile” e al “liberamente operabile”.
Su questo versante, decisivo per il destino eterno delle sue creature, il Buon Dio applica volentieri la marcatura a zona miscelando sapientemente il libero arbitrio degli uomini con la sua Provvidenza. Solo un perfetto agnostico e un sonoro asino in materia calcistica potrebbero vedere un conflitto tra libertà e Provvidenza divina. Leggano San Tommaso: non esiste contrasto poiché la Provvidenza è al di sopra d’ogni giudizio e di ogni libertà umana, e nel Suo agire già ne tiene conto. “Un effetto” spiega il Dottore Angelico “si dirà casuale e fortuito relativamente a una causa particolare, in quanto si sottrae al suo ordinamento, ma rispetto alla causa universale, dal cui ordinamento non può sottrarsi, bisogna dire che è previsto. Come ad esempio l’incontro di due servi, sebbene sia per essi casuale, è tuttavia previsto dal loro padrone, il quale intenzionalmente li ha mandati in un medesimo posto l’uno all’insaputa dell’altro”. In termini calcistici, bisogna immaginare di essere José Mourinho che contempla soddisfatto il cross pennellato da Maicon in mezzo all’area. E’ chiaro che, nella mente di Mou, si deve alzare Milito a colpire di testa e insaccare. Ebbene, il fatto che vada proprio così ha limitato il libero arbitrio del Principe Milito? No, la mente di Mou aveva semplicemente tenuto conto di tutto: dello schema che aveva predisposto e della libertà del Principe. Gol.
L’autogol, invece, è tutt’altro. In se stesso è un colpo riuscito, ma dalla parte sbagliata: in due parole, è male. Una questione di alta teologia che il Bue Muto nella Summa definisce come “mancanza di bene, mancanza di entità, ma non corruzione totale dello stesso soggetto in cui si trova il male, perché allora neppure il male potrebbe esistere”. La prova sta nel fatto che a suo tempo Comunardo Niccolai, il profeta dell’autogol, non risultò annichilito alla prima incornata infilata nella propria porta, ma continuò sino a fine carriera a uccellare bellamente il portiere del suo Cagliari e persino quello della Nazionale. E da ciò si deduce che “il male assoluto, il principio del male non esiste. Esiste invece il Sommo Bene, Il Bene per essenza: Dio”.
Il che è la gran bella conclusione che si trae al termine dei novanta minuti di un gioco creato apposta per l’uomo: non per gli angeli, non per i bruti, ma per questo impasto di anima e corpo cantato da san Tommaso. Per questa straordinaria creatura che, quando smette di essere riottosa, si sente felice di essere in completa balia del Creatore. Perché non c’è nulla da fare, aveva ragione il vecchio Vujadin Boskov e c’è poco da discutere: “Rigore è quando arbitro fischia”.
Il Papa alle università: "No lobby della ricerca"
di Andrea Tornielli - Il Giornale
Il Papa, che ha fatto il suo ingresso nella sala preceduto dai professori in abiti variopinti ornati di ermellino, ricorda il ruolo che «le domande sollevate dalla religione, dalla fede e dall’etica» devono avere «nell’ambito della ragione pubblica», e afferma che «la libertà che è alla base dell'esercizio della ragione – in una università come nella Chiesa – ha uno scopo preciso: essa è diretta alla ricerca della verità». L’autonomia propria dell’università come di ogni istituzione scolastica, spiega Benedetto XVI, trova significato «nella capacità di rendersi responsabile di fronte alla verità». Ma quell’autonomia può essere vanificata «dalla riduttiva ideologia del materialismo, dalla repressione della religione e dall’oppressione dello spirito umano».
Ratzinger rilancia l’idea di «una formazione integrale, basata sull’unità della conoscenza radicata nella verità», per contrastare «la tendenza, così evidente nella società contemporanea, verso la frammentazione del sapere». Oggi la ragione «finisce per inaridire, quando si accontenta di ciò che è puramente parziale o provvisorio, oppure sotto l’apparenza di certezza, quando impone la resa alle richieste di quanti danno in maniera indiscriminata uguale valore praticamente a tutto. Il relativismo che ne deriva genera un camuffamento, dietro cui possono nascondersi nuove minacce all'autonomia delle istituzioni accademiche». Accade sempre più spesso, conclude il Pontefice, che «l'esercizio della ragione e la ricerca accademica» siano «costretti – in maniera sottile e a volte nemmeno tanto sottile – a piegarsi alle pressioni di gruppi di interesse ideologici e al richiamo di obiettivi utilitaristici a breve termine». «Cosa potrà accadere – si è infine chiesto Ratzinger, se la nostra cultura dovesse costruire se stessa solamente su argomenti alla moda, con scarso riferimento ad una tradizione intellettuale storica genuina o sulle convinzioni che vengono promosse facendo molto rumore e che sono fortemente finanziate?». Se la cultura si separa «dalle radici che le danno vita», le nostre società «non diventeranno più ragionevoli o tolleranti o duttili, ma saranno piuttosto più fragili e meno inclusive».
Il Papa nella Repubblia Ceca.
domenica 27 settembre 2009
OMELIA DEL SANTO PADRE DURANTE LA MESSA A BRNO (27 SETTEMBRE 2009)
„Pojďte ke mně, všichni, kdo se lopotíte a jste obtíženi, a já vás občerstvím" (Mt 11,28). Ježíš zve každého svého učedníka, aby s ním zůstal, aby v něm našel posilu, oporu a útěchu.
[Cari fratelli e sorelle!
"Venite a me voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro" (Mt 11,28). Gesù invita ogni suo discepolo a sostare con Lui, a trovare in Lui conforto, sostegno e ristoro.]
L'invito lo rivolge in particolare alla nostra Assemblea liturgica, che vede raccolta idealmente, con il Successore di Pietro, l'intera vostra Comunità ecclesiale. A tutti e a ciascuno va il mio saluto: in primo luogo al Vescovo di Brno - al quale sono grato anche per le cordiali parole che mi ha rivolto all'inizio della Messa – ai Signori Cardinali e agli altri Vescovi presenti. Saluto i sacerdoti, i diaconi, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i catechisti e gli operatori pastorali, i giovani e le numerose famiglie. Rivolgo un deferente pensiero alle Autorità civili e militari, in modo speciale al Presidente della Repubblica con la gentile consorte, al Sindaco della Città di Brno e al Presidente della Regione della Moravia del Sud, terra ricca di storia, di attività culturali, di industrie e di commercio. Vorrei inoltre salutare con affetto i pellegrini provenienti da tutta la regione della Moravia e dalle diocesi della Slovacchia, della Polonia, dell'Austria e della Germania.
Cari amici, per il carattere che riveste l'odierna Assemblea liturgica, ho condiviso volentieri la scelta, a cui ha accennato il vostro Vescovo, di intonare le letture bibliche della Santa Messa al tema della speranza: l'ho condivisa pensando sia al popolo di questo caro Paese, sia all'Europa e all'umanità intera, che è assetata di qualcosa su cui poggiare saldamente il proprio avvenire. Nella mia seconda Enciclica - la Spe salvi -, ho sottolineato che l'unica speranza "certa" e "affidabile" (cfr n. 1) si fonda su Dio. L'esperienza della storia mostra a quali assurdità giunge l'uomo quando esclude Dio dall'orizzonte delle sue scelte e delle sue azioni, e come non è facile costruire una società ispirata ai valori del bene, della giustizia e della fraternità, perché l'essere umano è libero e la sua libertà permane fragile. La libertà va allora costantemente riconquistata per il bene e la non facile ricerca dei "retti ordinamenti per le cose umane" è un compito che appartiene a tutte le generazioni (cfr ibid., 24-25). Ecco perché, cari amici, noi siamo qui prima di tutto in ascolto, in ascolto di una parola che ci indichi la strada che conduce alla speranza; anzi, siamo in ascolto della Parola che sola può darci speranza solida, perché è Parola di Dio.
Nella prima Lettura (Is 61,1-3a), il Profeta si presenta investito della missione di annunciare a tutti gli afflitti e i poveri la liberazione, la consolazione, la gioia. Questo testo Gesù l'ha ripreso e l'ha fatto proprio nella sua predicazione. Anzi, ha detto esplicitamente che la promessa del profeta si è compiuta in Lui (cfr Lc 4,16-21). Si è completamente realizzata quando, morendo in croce e risorgendo da morte, ci ha liberati dalla schiavitù dell'egoismo e del male, del peccato e della morte. E questo è l'annuncio di salvezza, antico e sempre nuovo, che la Chiesa proclama di generazione in generazione: Cristo crocifisso e risorto, Speranza dell'umanità!
Questa parola di salvezza risuona con forza anche oggi, nella nostra Assemblea liturgica. Gesù si rivolge con amore a voi, figli e figlie di questa terra benedetta, nella quale è stato sparso da oltre un millennio il seme del Vangelo. Il vostro Paese, come altre nazioni, sta vivendo una condizione culturale che rappresenta spesso una sfida radicale per la fede e, quindi, anche per la speranza. In effetti, sia la fede che la speranza, nell'epoca moderna, hanno subito come uno "spostamento", perché sono state relegate sul piano privato e ultraterreno, mentre nella vita concreta e pubblica si è affermata la fiducia nel progresso scientifico ed economico (cfr Spe salvi, 17). Conosciamo tutti che questo progresso è ambiguo: apre possibilità di bene insieme a prospettive negative. Gli sviluppi tecnici ed il miglioramento delle strutture sociali sono importanti e certamente necessari, ma non bastano a garantire il benessere morale della società (cfr ibid., 24). L'uomo ha bisogno di essere liberato dalle oppressioni materiali, ma deve essere salvato, e più profondamente, dai mali che affliggono lo spirito. E chi può salvarlo se non Dio, che è Amore e ha rivelato il suo volto di Padre onnipotente e misericordioso in Gesù Cristo? La nostra salda speranza è dunque Cristo: in Lui, Dio ci ha amato fino all'estremo e ci ha dato la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10), quella vita che ogni persona, talora persino inconsapevolmente, anela a possedere.
"Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro". Queste parole di Gesù, scritte a grandi lettere sopra la porta della vostra Cattedrale di Brno, Egli le indirizza ora a ciascuno di noi ed aggiunge: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita" (Mt 11,29-30). Possiamo restare indifferenti dinanzi al suo amore? Qui, come altrove, nei secoli passati tanti hanno sofferto per mantenersi fedeli al Vangelo e non hanno perso la speranza; tanti si sono sacrificati per ridare dignità all'uomo e libertà ai popoli, trovando nell'adesione generosa a Cristo la forza per costruire una nuova umanità. E pure nell'attuale società, dove tante forme di povertà nascono dall'isolamento, dal non essere amati, dal rifiuto di Dio e da un'originaria tragica chiusura dell'uomo che pensa di poter bastare a se stesso, oppure di essere solo un fatto insignificante e passeggero; in questo nostro mondo che è alienato "quando si affida a progetti solo umani" (cfr Caritas in veritate, 53), solo Cristo può essere la nostra certa speranza. Questo è l'annuncio che noi cristiani siamo chiamati a diffondere ogni giorno, con la nostra testimonianza.
Annunciatelo voi, cari sacerdoti, restando intimamente uniti a Gesù ed esercitando con entusiasmo il vostro ministero, certi che nulla può mancare a chi si fida di Lui. Testimoniate Cristo voi, cari religiosi e religiose, con la gioiosa e coerente pratica dei consigli evangelici, indicando quale è la nostra vera patria: il Cielo. E voi, cari fedeli laici giovani ed adulti, voi, care famiglie, poggiate sulla fede in Cristo i vostri progetti familiari, di lavoro, della scuola, e le attività di ogni ambito della società. Gesù mai abbandona i suoi amici. Egli assicura il suo aiuto, perché nulla è possibile fare senza di Lui, ma, al tempo stesso, chiede ad ognuno di impegnarsi personalmente per diffondere il suo universale messaggio di amore e di pace. Vi sia di incoraggiamento l’esempio dei santi Cirillo e Metodio, Patroni principali della Moravia, che hanno evangelizzato i popoli slavi, e dei santi Pietro e Paolo, ai quali è dedicata la vostra Cattedrale. Guardate alla testimonianza luminosa di santa Zdislava, madre di famiglia, ricca di opere di religione e di misericordia; di san Giovanni Sarkander, sacerdote e martire; di san Clemente Maria Hofbauer, sacerdote e religioso, nato in questa Diocesi, e canonizzato 100 anni fa e della beata Restituta Kafkova, religiosa nata a Brno e uccisa dai nazisti a Vienna. Vi accompagni e protegga la Madonna, Madre di Cristo, nostra Speranza. Amen!
OMELIA DEL SANTO PADRE DURANTE LA MESSA A BRNO ("/ SETTEMBRE 2009)
Milí bratři a sestry!
„Pojďte ke mně, všichni, kdo se lopotíte a jste obtíženi, a já vás občerstvím" (Mt 11,28). Ježíš zve každého svého učedníka, aby s ním zůstal, aby v něm našel posilu, oporu a útěchu.
[Cari fratelli e sorelle!
"Venite a me voi tutti, che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro" (Mt 11,28). Gesù invita ogni suo discepolo a sostare con Lui, a trovare in Lui conforto, sostegno e ristoro.]
L'invito lo rivolge in particolare alla nostra Assemblea liturgica, che vede raccolta idealmente, con il Successore di Pietro, l'intera vostra Comunità ecclesiale. A tutti e a ciascuno va il mio saluto: in primo luogo al Vescovo di Brno - al quale sono grato anche per le cordiali parole che mi ha rivolto all'inizio della Messa – ai Signori Cardinali e agli altri Vescovi presenti. Saluto i sacerdoti, i diaconi, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i catechisti e gli operatori pastorali, i giovani e le numerose famiglie. Rivolgo un deferente pensiero alle Autorità civili e militari, in modo speciale al Presidente della Repubblica con la gentile consorte, al Sindaco della Città di Brno e al Presidente della Regione della Moravia del Sud, terra ricca di storia, di attività culturali, di industrie e di commercio. Vorrei inoltre salutare con affetto i pellegrini provenienti da tutta la regione della Moravia e dalle diocesi della Slovacchia, della Polonia, dell'Austria e della Germania.
Cari amici, per il carattere che riveste l'odierna Assemblea liturgica, ho condiviso volentieri la scelta, a cui ha accennato il vostro Vescovo, di intonare le letture bibliche della Santa Messa al tema della speranza: l'ho condivisa pensando sia al popolo di questo caro Paese, sia all'Europa e all'umanità intera, che è assetata di qualcosa su cui poggiare saldamente il proprio avvenire. Nella mia seconda Enciclica - la Spe salvi -, ho sottolineato che l'unica speranza "certa" e "affidabile" (cfr n. 1) si fonda su Dio. L'esperienza della storia mostra a quali assurdità giunge l'uomo quando esclude Dio dall'orizzonte delle sue scelte e delle sue azioni, e come non è facile costruire una società ispirata ai valori del bene, della giustizia e della fraternità, perché l'essere umano è libero e la sua libertà permane fragile. La libertà va allora costantemente riconquistata per il bene e la non facile ricerca dei "retti ordinamenti per le cose umane" è un compito che appartiene a tutte le generazioni (cfr ibid., 24-25). Ecco perché, cari amici, noi siamo qui prima di tutto in ascolto, in ascolto di una parola che ci indichi la strada che conduce alla speranza; anzi, siamo in ascolto della Parola che sola può darci speranza solida, perché è Parola di Dio.
Nella prima Lettura (Is 61,1-3a), il Profeta si presenta investito della missione di annunciare a tutti gli afflitti e i poveri la liberazione, la consolazione, la gioia. Questo testo Gesù l'ha ripreso e l'ha fatto proprio nella sua predicazione. Anzi, ha detto esplicitamente che la promessa del profeta si è compiuta in Lui (cfr Lc 4,16-21). Si è completamente realizzata quando, morendo in croce e risorgendo da morte, ci ha liberati dalla schiavitù dell'egoismo e del male, del peccato e della morte. E questo è l'annuncio di salvezza, antico e sempre nuovo, che la Chiesa proclama di generazione in generazione: Cristo crocifisso e risorto, Speranza dell'umanità!
Questa parola di salvezza risuona con forza anche oggi, nella nostra Assemblea liturgica. Gesù si rivolge con amore a voi, figli e figlie di questa terra benedetta, nella quale è stato sparso da oltre un millennio il seme del Vangelo. Il vostro Paese, come altre nazioni, sta vivendo una condizione culturale che rappresenta spesso una sfida radicale per la fede e, quindi, anche per la speranza. In effetti, sia la fede che la speranza, nell'epoca moderna, hanno subito come uno "spostamento", perché sono state relegate sul piano privato e ultraterreno, mentre nella vita concreta e pubblica si è affermata la fiducia nel progresso scientifico ed economico (cfr Spe salvi, 17). Conosciamo tutti che questo progresso è ambiguo: apre possibilità di bene insieme a prospettive negative. Gli sviluppi tecnici ed il miglioramento delle strutture sociali sono importanti e certamente necessari, ma non bastano a garantire il benessere morale della società (cfr ibid., 24). L'uomo ha bisogno di essere liberato dalle oppressioni materiali, ma deve essere salvato, e più profondamente, dai mali che affliggono lo spirito. E chi può salvarlo se non Dio, che è Amore e ha rivelato il suo volto di Padre onnipotente e misericordioso in Gesù Cristo? La nostra salda speranza è dunque Cristo: in Lui, Dio ci ha amato fino all'estremo e ci ha dato la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10), quella vita che ogni persona, talora persino inconsapevolmente, anela a possedere.
"Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro". Queste parole di Gesù, scritte a grandi lettere sopra la porta della vostra Cattedrale di Brno, Egli le indirizza ora a ciascuno di noi ed aggiunge: "Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita" (Mt 11,29-30). Possiamo restare indifferenti dinanzi al suo amore? Qui, come altrove, nei secoli passati tanti hanno sofferto per mantenersi fedeli al Vangelo e non hanno perso la speranza; tanti si sono sacrificati per ridare dignità all'uomo e libertà ai popoli, trovando nell'adesione generosa a Cristo la forza per costruire una nuova umanità. E pure nell'attuale società, dove tante forme di povertà nascono dall'isolamento, dal non essere amati, dal rifiuto di Dio e da un'originaria tragica chiusura dell'uomo che pensa di poter bastare a se stesso, oppure di essere solo un fatto insignificante e passeggero; in questo nostro mondo che è alienato "quando si affida a progetti solo umani" (cfr Caritas in veritate, 53), solo Cristo può essere la nostra certa speranza. Questo è l'annuncio che noi cristiani siamo chiamati a diffondere ogni giorno, con la nostra testimonianza.
Annunciatelo voi, cari sacerdoti, restando intimamente uniti a Gesù ed esercitando con entusiasmo il vostro ministero, certi che nulla può mancare a chi si fida di Lui. Testimoniate Cristo voi, cari religiosi e religiose, con la gioiosa e coerente pratica dei consigli evangelici, indicando quale è la nostra vera patria: il Cielo. E voi, cari fedeli laici giovani ed adulti, voi, care famiglie, poggiate sulla fede in Cristo i vostri progetti familiari, di lavoro, della scuola, e le attività di ogni ambito della società. Gesù mai abbandona i suoi amici. Egli assicura il suo aiuto, perché nulla è possibile fare senza di Lui, ma, al tempo stesso, chiede ad ognuno di impegnarsi personalmente per diffondere il suo universale messaggio di amore e di pace. Vi sia di incoraggiamento l’esempio dei santi Cirillo e Metodio, Patroni principali della Moravia, che hanno evangelizzato i popoli slavi, e dei santi Pietro e Paolo, ai quali è dedicata la vostra Cattedrale. Guardate alla testimonianza luminosa di santa Zdislava, madre di famiglia, ricca di opere di religione e di misericordia; di san Giovanni Sarkander, sacerdote e martire; di san Clemente Maria Hofbauer, sacerdote e religioso, nato in questa Diocesi, e canonizzato 100 anni fa e della beata Restituta Kafkova, religiosa nata a Brno e uccisa dai nazisti a Vienna. Vi accompagni e protegga la Madonna, Madre di Cristo, nostra Speranza. Amen!
INTERVISTA CONCESSA DAL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AI GIORNALISTI DURANTE IL VOLO VERSO LA REPUBBLICA CECA (26 SETTEMBRE 2009)
TESTO DELL’INTERVISTA
Padre Lombardi: Santità, siamo molto grati che anche questa volta Lei voglia darci qualche minuto e qualche risposta alle domande che abbiamo raccolto in preparazione a questo viaggio, e ci dia così anche occasione di augurarLe buon viaggio.
Domanda: come Lei ha detto all’Angelus di domenica scorsa, la Repubblica Ceca si trova non solo geograficamente, ma anche storicamente nel cuore dell’Europa. Vuole spiegarci meglio questo "storicamente" e dirci come e perché pensa che questa visita possa essere significativa per il continente nel suo insieme, nel suo cammino culturale, spirituale ed eventualmente anche politico, di costruzione dell’Unione Europea?
Papa:. In tutti i secoli, la Repubblica Ceca, il territorio della Repubblica Ceca è stato luogo di incontro di culture. Cominciamo nel IX secolo: da una parte, in Moravia, abbiamo la grande missione dei fratelli Cirillo e Metodio, che da Bisanzio portano la cultura bizantina, ma creano una cultura slava, con i caratteri cirillici e con una liturgia in lingua slava; dall’altra parte, in Boemia, sono le diocesi confinanti di Regensburg e Passau che portano il Vangelo in lingua latina, e, nella connessione con la cultura romano-latina, si incontrano così le due culture. Ogni incontro è difficile, ma anche fecondo. Si potrebbe facilmente mostrare con questo esempio. Faccio un grande salto: nel XIII secolo è Carlo IV che crea qui, a Praga, la prima università nel Centro Europa. L’università di per sé è un luogo di incontro di culture; in questo caso, diventa inoltre un luogo di incontro tra cultura slava e germanofona. Come nel secolo e nei tempi della Riforma, proprio in questo territorio, gli incontri e gli scontri diventano decisi e forti, lo sappiamo tutti. Faccio ora un salto al nostro presente: nel secolo scorso, la Repubblica Ceca ha sofferto sotto una dittatura comunista particolarmente rigorosa, ma ha anche avuto una resistenza sia cattolica, sia laica di grandissimo livello. Penso ai testi di Václav Havel, del cardinale Vlk, a personalità come il cardinale Tomášek, che realmente hanno dato all’Europa un messaggio di che cosa sia la libertà e di come dobbiamo vivere e lavorare nella libertà. E penso che da questo incontro di culture nei secoli, e proprio da questa ultima fase di riflessione, non solo, di sofferenza per un concetto nuovo di libertà e di società libera, escano per noi tanti messaggi importanti, che possono e devono essere fecondi per la costruzione dell’Europa. Dobbiamo essere molto attenti proprio al messaggio di questo Paese.
Domanda: Siamo a vent’anni dalla caduta dei regimi comunisti nell’Est europeo; Giovanni Paolo II, visitando diversi Paesi reduci dal comunismo, li incoraggiava ad usare con responsabilità la libertà recuperata. Qual è oggi il suo messaggio per i popoli dell’Europa orientale in questa nuova fase storica?
Papa: Come ho detto, questi Paesi hanno sofferto particolarmente sotto la dittatura, ma nella sofferenza sono anche maturati concetti di libertà che sono attuali e che adesso devono essere ancora ulteriormente elaborati e realizzati. Penso, per esempio, ad un testo di Václav Havel che dice: "La dittatura è basata sulla menzogna e se la menzogna andasse superata, se nessuno mentisse più e se venisse alla luce la verità, ci sarebbe anche la libertà". E così ha elaborato questo nesso tra verità e libertà, dove libertà non è libertinismo, arbitrarietà, ma è connessa e condizionata dai grandi valori della verità e dell’amore e della solidarietà e del bene in generale. Così, penso che questi concetti, queste idee maturate nel tempo della dittatura non debbano andare persi: ora dobbiamo proprio ritornare ad essi! E nella libertà spesso un po’ vuota e senza valori, di nuovo riconoscere che libertà e valori, libertà e bene, libertà e verità vanno insieme: altrimenti si distrugge anche la libertà. Questo mi sembra il messaggio che viene da questi Paesi e che dev’essere attualizzato in questo momento.
Domanda: Santità, la Repubblica Ceca è un Paese molto secolarizzato in cui la Chiesa cattolica è una minoranza. In tale situazione, come può contribuire la Chiesa effettivamente al bene comune del Paese?
Papa: Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di libertà e di pace. Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio, ancora di più, e nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande dialogo intellettuale, etico ed umano. Poi, nel settore educativo, la Chiesa ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la formazione. In Italia parliamo del problema dell’emergenza educativa. E’ un problema comune a tutto l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare, concretizzare, aprire per il futuro la sua grande eredità. Un terzo settore è la "Caritas". La Chiesa ha sempre avuto questo come segno della sua identità: quello di venire in aiuto ai poveri, di essere strumento della carità. La Caritas nella Repubblica Ceca fa moltissimo nelle diverse comunità, nelle situazioni di bisogno, e offre molto anche all’umanità sofferente nei diversi continenti, dando così un esempio di responsabilità per gli altri, di solidarietà internazionale, che è anche condizione della pace.
Domanda: Santità, la sua ultima Enciclica "Caritas in veritate" ha avuto un’ampia eco nel mondo. Come valuta questa eco? Ne è soddisfatto? Pensa che effettivamente la crisi mondiale recente sia un’occasione in cui l’umanità sia divenuta più disponibile a riflettere sull’importanza dei valori morali e spirituali, per fronteggiare i grandi problemi del suo futuro? E la Chiesa, continuerà ad offrire orientamenti in questa direzione?
Papa: Sono molto contento per questa grande discussione. Era proprio questo lo scopo: incentivare e motivare una discussione su questi problemi, non lasciare andare le cose come sono, ma trovare nuovi modelli per una economia responsabile, sia nei singoli Paesi, sia per la totalità dell’umanità unificata. Mi sembra realmente visibile, oggi, che l’etica non è qualcosa di esteriore all’economia, la quale come una tecnica potrebbe funzionare da sé, ma è un principio interiore dell’economia, la quale non funziona se non tiene conto dei valori umani della solidarietà, delle responsabilità reciproche e se non integra l’etica nella costruzione dell’economia stessa: è la grande sfida di questo momento. Spero, con l’Enciclica, di aver contribuito a questa sfida. Il dibattito in corso mi sembra incoraggiante. Certamente vogliamo continuare a rispondere alle sfide del momento e ad aiutare affinché il senso della responsabilità sia più forte della volontà del profitto, che la responsabilità nei riguardi degli altri sia più forte dell’egoismo; in questo senso, vogliamo contribuire ad un’economia umana anche in futuro.
Domanda: E per concludere, una domanda un po’ più personale: nel corso dell’estate, vi è stato il piccolo incidente al polso. Lo considera ora pienamente superato? Ha potuto riprendere pienamente la sua attività e ha potuto anche lavorare alla seconda parte del suo libro su Gesù, come desiderava?
Papa: Non è ancora pienamente superato, ma vedete che la mano destra è in funzione e l’essenziale posso farlo: posso mangiare e, soprattutto, posso scrivere. Il mio pensiero si sviluppa soprattutto scrivendo; così per me è stata veramente una pena, una scuola di pazienza, non poter scrivere per sei settimane. Tuttavia, ho potuto lavorare, leggere, fare altre cose e sono anche andato un po’ avanti con il libro. Ma ho ancora molto da fare. Penso che, con la bibliografia e tutto quello che segue ancora, "Deo adiuvante", potrebbe essere terminato nella prossima primavera. Ma questa è una speranza!
Padre Lombardi: Grazie mille, Santità, e ancora una volta i migliori auguri per questo viaggio che è breve, ma molto intenso e, come Lei ci ha spiegato, è anche molto significativo.
venerdì 25 settembre 2009
Benedetto XVI: «Il divorzio mina la crescita dei figli»
Parlando a un gruppo di vescovi brasiliani in visita in Vaticano, Benedetto XVI ha detto oggi che Secondo il Pontefice il divorzio e le famiglie allargate rovinano la vita di molti bambini, "che si sentono orfani non perché figli senza genitori, ma perché figli che ne hanno troppi". I bambini che vivono in "famiglie allargate" o che provano l'esperienza del divorzio dei genitori sono "privati dell'appoggio dei genitori, vittime del malessere e dell'abbandono e si sentono orfani non perché figli senza genitori, ma perché figli che ne hanno troppi".
La famiglia che si fonda sul matrimonio tra uomo e donna è "assediata", secondo il Papa che denuncia anche "la profonda incertezza" nel "mondo secolarizzato" "specialmente da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio". In passato più di una volta il Pontefice si è espresso su temi come famiglia e coppie di fatto ribadendo le posizioni della Chiesa contro il divorzio e a favore di una famiglia basata sull'unione tra uomo e donna.
Il problema delle famiglie e dei bambini in Brasile. La situazione di carenza e di abbandono dei minori è uno dei maggiori problemi del Brasile, e costituisce una seria sfida per il suo futuro. Le statistiche attuali indicano che 40 milioni di bambini brasiliani soffrono per carenze fondamentali di vario tipo: mancanza di una famiglia, di una casa, di un’alimentazione sufficiente, di igiene, di formazione scolastica di base. In molti casi, la situazione familiare è disgregata; è molto alto il tasso di abbandono del tetto coniugale da parte del marito, che priva così la famiglia dell’unica fonte di reddito e obbliga la donna ad assumere qualsiasi tipo di servizio in luoghi distanti dalla propria residenza, costringendola ad assentarsi da casa per quasi tutto il giorno.
Questi fattori portano ad un progressivo distacco del minore dalla famiglia di origine, causando, nei casi più estremi, il fenomeno dei “bambini di strada”, gruppi di bambini e di adolescenti che vivono nella marginalità e nella violenza e che costituiscono una delle piaghe sociali più dolorose delle metropoli del Brasile. Anche coloro che non si distaccano dalla famiglia vivono in un contesto ambientale che impedisce una corretta crescita psicofisica: nutrizione insufficiente, scarsa igiene personale, esperienze di devianza di ogni tipo. Inoltre, nei bambini non cresce la capacità di rispettare le regole elementari della convivenza e di assumere responsabilità, divenendo così un ulteriore elemento di criticità delle prospettive di sviluppo sociale del territorio. L’abbandono e la dispersione scolastica sono una delle conseguenza peggiori di questa situazione: il 26% dei bambini brasiliani non frequenta la scuola. L’indice di analfabetismo sfiora il 20% e il numero dei ripetenti è altissimo: il 50% nella sola prima elementare. Su 100 ragazzi che iniziano le elementari solo 53 passano alle medie ma solo 13 le finiscono.
Bombacarta segnala Uomovivo...
Un pezzettino di Uomovivo? Eccolo...
«Mia cara, e che altro posso fare?», replicò l’irlandese. «Quale altra occupazione può avere un uomo attivo su questa terra, a parte sposarla? Qual è l’alternativa al matrimonio, eccetto il sonno? Non certo la libertà, Rosamund. A meno che lei non si sposi con Dio, come fanno le nostre monache in Irlanda, lei deve sposarsi con uomo… cioè con me. La terza e ultima cosa che potrebbe fare è sposarsi… con se stessa… lei, lei, lei… in pratica l’unica compagnia che non l’ha mai soddisfatta… e che non la soddisferà mai».
«Michael», disse la signorina Hunt, con un tono di voce accondiscendente, «le prometto che se la smette di parlare e di dire stupidaggini la sposerò».
Chesterton in una bella foto poco nota...
India - Orissa: per la prima volta, condanne all’ergastolo per i pogrom anti-cristiani
di Ajay Kumar Singh
Bhubaneshwar (AsiaNews) - Prima condanna all’ergastolo per cinque giovani, imputati nei processi sulle violenze anti-cristiane nell’Orissa. Il tribunale del Kandhamal oggi ha comminato il carcere a vita per Papu Pradhan (30), Sabito Pradhan (30), Dharmaraj Pradhan (32), Mania Pradhan (28) e Abhinas Pradhan (29). I cinque sono stati dichiarati colpevoli dell’omicidio del pastore battista Akbar Digal e costretti a pagare anche una multa di 5mila rupie (circa 120 dollari) per incendi dolosi, saccheggi e roghi di abitazioni.
Si tratta del terzo processo con a tema un caso di omicidio. I due precedenti casi vedevano coinvolto, tra gli altri anche, Manoj Pradhan, membro del parlamento dell’Orissa per il partito indù Bharatiya Janata Party, ma si sono conclusi con la completa assoluzione degli imputati dall’accusa di omicidio.
Akbar Digal, 40 anni, era il pastore della comunità protestante del villaggio di Totomaha, parte del Gram Panchayat di Mondakia nell’agglomerato di Raikia. Il 26 settembre 2009, al momento dell’attacco degli estremisti indù l’uomo, aveva cercato rifugio nei campi mentre sua moglie, con i cinque figli, era scappata nella direzione opposta. Gli assalitori, decisi a raggiungere il loro obiettivo ad ogni costo, avevano cercato il pastore casa per casa saccheggiando le abitazioni e incendiandole. Pur nascondendosi nei campi Akbar non era riuscito a sottrarsi agli occhi degli estremisti. Una volta catturato lo avevano obbligato ad abiurare il cristianesimo e convertirsi all’induismo. Davanti al rifiuto di Akbar gli assalitori lo hanno decapitato e hanno tagliato a pezzi il suo corpo. Una volta che gli estremisti hanno abbandonato il villaggio, la moglie si è trovata davanti al corpo bruciato e ridotto a brandelli.
La notizia della condanna degli assassini ha ridato fiducia nella giustizia alla comunità cristiana del Kandhamal. Jay Prakash, 46enne fratello di Akbar afferma: “Siamo contenti che i giudici abbiano reso giustizia all’anima di nostro fratello. Gli attacchi barbarici esigono pene severe per i colpevoli”. Bulgan Digal, 48enne e fratello più anziano del pastore ucciso racconta: “Quando leggo sui giornali che i colpevoli vengono assolti perdo ogni speranza di una giustizia per noi. Questa sentenza spingerà i testimoni delle violenze a maggior coraggio, ridarà fiducia nella giustizia del Kandhamal alle vittime e sarà un deterrente per i criminali a ripetere simili brutalità nel futuro”.
La condanna dei cinque avviene in concomitanza con l’assoluzione di altri cinque imputati in un secondo processo per roghi e violenze contro i cristiani conclusosi oggi al tribunale di Bhubaneswar. Ad oggi le due corti che esaminano i casi legati ai pogrom hanno messo in carcere 19 persone rilasciandone 88.
Mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, ha accolto con soddisfazione il verdetto. Il prelato spera che questo “spinga i testimoni a non tirarsi indietro, e a deporre la verità nonostante le minacce”, ma non nasconde di “essere preoccupato per le tante assoluzioni di accusati coinvolti in crimini incredibili e in omicidi” e invoca di nuovo “ferme investigazioni e la protezione dei testimoni”.
Vittadini: la cattolica Italia vada a lezione da Francia e Germania
giovedì 24 settembre 2009
In un suo recente lavoro, il professor Luigi Campiglio ha mostrato come la famiglia è un soggetto sociale, e anche economico, dove sono tenuti presenti equità ed efficienza. La famiglia è fattore di equità perché è un naturale ammortizzatore sociale capace di difendere e ridare forza alle cosiddette fasce deboli: i giovani in cerca di prima occupazione, gli anziani, i disabili, gli inabili, i disoccupati.
Che nel nostro Paese la crisi non abbia raggiunto livelli apocalittici dipende anche dal fatto che esiste questo legame naturale dato dalla famiglia, che non è, come spesso si ritiene, un soggetto autoreferenziale, ma un insieme di persone che, esprimendo lo loro specifica personalità concorrono al bene di tutti, fulcro di ulteriori legami associativi, sociali, economici, religiosi. La famiglia è però anche fattore di efficienza perché forma, educa e finanzia continuamente il nuovo “capitale umano” fondamentale per lo sviluppo.
C'è un altro aspetto, sottolineato da Campiglio, trascurato dal dibattito pubblico: una politica per la famiglia è fattore fondamentale anche per lo sviluppo di breve periodo. Nel nostro Paese, anche nel periodo pre-crisi 2000-2007, a fronte di un forte incremento delle esportazioni, il consumo interno ha sempre ristagnato costituendo la vera palla al piede dell’economia italiana. Non è strano se si tiene conto che, anche quando l’economia “tirava” mantenendosi competitiva a livello internazionale, le imprese italiane facevano fatica a tradurre in incrementi di salari e stipendi i risultati ottenuti.
Vi sono certo molteplici ragioni da approfondire alla base di queste carenze, tra cui non può certamente mancare l’enorme pressione fiscale che, sotto le più diverse forme va a colpire in modo indiscriminato tutte le imprese, anche quelle che investono, occupano, esportano. In ogni caso, la conseguenza è che le famiglie più povere spendono il loro reddito quasi esclusivamente in consumi alimentari e abitativi.
Mentre si devono trovare risposte di politica economica a riguardo di questo problema, non si può non ricordare che vi sarebbero strade alternative come quella francese. Chi non si riconoscesse nel sistema francese potrebbe fare riferimento al sistema tedesco dove questa essenzialità delle famiglie allo sviluppo è, pur con modalità differenti, sancita costituzionalmente e finanziariamente supportata con esiti positivi sulla stabilità e sullo sviluppo economico.
È strano che in un Paese tradizionalmente cattolico e per decenni governato da un partito di ispirazione cattolica, la famiglia venga dimenticata nel suo valore economico. È uno degli esiti deleteri di una minorità culturale: chissà che nella Seconda Repubblica, finora avara di novità normative nel welfare, si riesca, per il bene di tutti, ad intraprendere la strada di un'evoluzione culturale, economica, sociale e politica in favore della famiglia.
giovedì 24 settembre 2009
Uomini e tristezza - La classifica ad oggi
1) Gianfranco Fini - 6
2) Cardinale Carlo Maria Martini - 3
3) Livia Turco - 2
- Silvio Viale - 2
- Beppino Englaro - 2
- Ignazio Marino - 2
- Il governo inglese - 2
un mare di persone ad uno che non debbono sentirsi defraudate se non vengono segnalate esplicitamente.
La lotta comunque sarà dura, bollono in pentola troppe cose perché non ci sia una vera e propria battaglia per la conquista del premio...
Rassegna stampa
Liberi Per Vivere
SI PARLA DI NOI :: Firenze non vuole la cultura della morte 81 KB
24 Settembre 2009 - Repubblica
Fine Vita
Bertone: non toccate quella legge 93 KB
24 Settembre 2009 - Giornale
Fine Vita
Farina contro Feltri 167 KB
24 Settembre 2009 - CorrieredellaSera
Fine Vita
Appello di Fini: libertà di coscienza 102 KB
24 Settembre 2009 - Giornale
Bioetica
Ecco i partiti trasversali 120 KB
24 Settembre 2009 - Manifesto
Ru486
L'indagine tormenta il Pd a congresso 102 KB
24 Settembre 2009 - Sole24ore
Ru486
Tensioni nel Pd sull'indagine. La Bianchi rinuncia 97 KB
24 Settembre 2009 - Libero
Scuola Riforma
Gelmini: le regioni rosse boicottano la riforma 226 KB
26 Settembre 2009 - CorrieredellaSera
Scuola
La paura di insegnare dei nuovi insegnanti 213 KB
24 Settembre 2009 - Avvenire
Parità Scolastica
Materne cattoliche, una carta per educare 233 KB
Uomini e tristezza - Anche Feltri è della partita!
Comunque, visitando la Rassegna stampa potete leggere lo scambio di opinioni tra Renato Farina (esente da tristezza) e Vittorio Feltri (intossicato dalla tristezza).
Il premio Uomini e tristezza mi sa che per la fine dell'anno se lo contenderanno in molti...
Le condizioni di Caterina Socci, figlia di Antonio.
Oggi, nel primo pomeriggio, Caterina avrebbe dovuto laurearsi in Architettura. Aveva passato tutta l’estate sulla tesi…. Ma non è il momento dello struggimento. Siamo in battaglia e come soldati bisogna stare all’istante presente, senza nostalgie.
Dobbiamo combattere con e per Caterina. Come lei sta facendo: ieri è stato evidente. Ha fatto altri “piccoli” passi che in realtà sono grandi scalate, come il fatto di respirare da sola…
Ieri era anche la festa di padre Pio: avevo chiesto al Padre un bel regalo per Caterina. Ne è arrivato uno inimmaginabile e grandioso: la visita della Regina del Cielo. Sì, sono certo che la Madonna è sempre lì con lei, ma ieri in modo speciale quegli “ojos de cielo” che Caterina canta con tanta passione (l’avete sentita), l’hanno teneramente abbracciata…
In breve: in mattinata mi telefona Marija Pavlovic (una dei sei veggenti di Medjugorje), nostra grande amica che già da giorni prega per Caterina, e mi dice che – per una serie di circostanze – può venire a Firenze e vorrebbe far visita a Cate proprio nell’ora della quotidiana apparizione.
E’ arrivata, abbiamo partecipato alla messa e poi è andata da mia figlia con mia moglie, mentre noi, con gli amici di Cate, recitavamo il rosario fuori. La Madonna è venuta, stava in cima al letto, dietro la testa di Caterina. L’ha benedetta e ha benedetto Alessandra e Marija che ha chiesto il miracolo della guarigione per Caterina.
La Madonna ha ascoltato e ha iniziato a pregare. Ci ha fatto capire col suo gesto che bisogna affidarsi totalmente a Lei e pregare ancora. E noi instancabilmente continuiamo…
Ce l’hanno insegnato i santi. San Francesco di Paola ha detto: “E’ cosa certa quel che vi dico: tutto ciò che chiedete nella preghiera abbiate certezza che è già vostro perché così dovrà avvenire per volere della Madonna”.
E alla mistica Maria Valtorta – che fra l’altro è sepolta proprio alla S.S. Annunziata, a Firenze – è stato detto: “Io vi dico: abbiate una fede sconfinata nel Signore. Continuate ad averla nonostante ogni insinuazione e ogni evento, e vedrete grandi cose quando il vostro cuore non avrà più motivo di sperare di vederle…”.
Penso che in questi giorni ci stia facendo capire molte cose preziose. Anzitutto che la vera malattia è quella di noi sani quando siamo lontani da Dio. Gesù ha bisogno che qualcuno lo aiuti a portare su di sé il male degli uomini. Per sanarli.
Noi cristiani che siamo parte del Suo Corpo, offrendoGli le nostre sofferenze e le nostre vite lo aiutiamo in questo. Io sono pieno di stupore e commozione per le tante persone che mi hanno scritto che offrono le sofferenze delle loro diverse prove e malattie… E’ stupore e commozione per l’abbraccio del popolo cristiano…
Una mail che ho ricevuto dice:
“Caterina senza fare nulla muove il mondo. Tutto quello che ci comunichi è un grande miracolo che accade davanti ai nostri occhi. Gesù è qui ora e possiamo vedere la Sua Gloria attraverso la fede del suo popolo. Caterina è i nostri figli e tu e Alessandra siete noi. Continuiamo a Pregare Maria perché Gesù guarisca la vostra e nostra Caterina. Un grande abbraccio. A. T. ”.
Penso anche io che attraverso la sofferenza muta di Caterina, che commuove tanti cuori, la Regina del Cielo stia guarendo tante persone e sono certo che, con l’aiuto delle nostre preghiere e dei nostri digiuni, stia facendo grandi cose. Guarirà anche Caterina, facendola svegliare dal coma e facendola tornare a cantare la bellezza di Dio.
Fra le migliaia (letteralmente) di mail che mi arrivano e a cui tento di rispondere come posso, ne trascrivo una, di una mamma, che dice tutte queste cose:
Cara famiglia che stai soffrendo in un modo tanto simile alla mia, nelle due settimane di coma profondo della mia piccola Elena, una città intera ha pregato per lei. Amici e conoscenti, miscredenti e persone lontane da Dio si sono inginocchiate nelle tante veglie notturne organizzate per la mia piccina. Hanno strappato a Dio una promessa che ora si sta compiendo.
Noi, in sala rianimazione, abbiamo sollecitato continuamente Elena pregando su di lei a voce alta, cantando i canti della messa domenicale che lei, anche se piccolissima, aveva ascoltato, facendole ascoltare tanto Mozart.
Un cervello che dorme va risvegliato! Le ho raccontato tutto quello che avevamo fatto insieme e le ho descritto tutte le cose belle che avremmo fatto ancora e tutte le meraviglie del creato che avrebbero visto i suoi occhi una volta guarita.
Si é svegliata. A dispetto delle sue condizioni definite gravissime. Il Signore ci ascolta. Anche Caterina vi sta sentendo come la mia piccolina. Anche la miocardiopatia dilatativa gravissima, di origine non virale e ancora oggi inspiegabile, si è risolta e il cuoricino di Elena batte senza bisogno di aiuto.
Coraggio, non pensate al domani, vivete giorno per giorno la vostra battaglia e il Signore vi darà forza e pace proprio come a noi.
Continuiamo a pregare per Caterina.
Alessandra.
Queste sono le bellissime testimonianze che mi state dando e che trascrivo qui perché penso possano essere di aiuto per molti. Mentre vi abbraccio tutti ringraziandovi per tutto quello che fate.
Tanti sono rimasti commossi nell’ascoltare “Ojos de cielo” cantata da Caterina con il coro Foné, degli universitari di CL. Nei prossimi giorni cercherò di mettere qui nel blog altri loro canti. Spero che sentire la sua voce e quella dei suoi amici sia un piccolo ringraziamento per le vostre preghiere e le vostre offerte di digiuni. Ma sono certo che la più grande ricompensa vi arriverà dal Cielo…
mercoledì 23 settembre 2009
Fuoco alle polveri! RISORGIMENTO/ Bugie e verità sulla nascita dell’Italia, una questione ancora aperta
mercoledì 23 settembre 2009 - IlSussidiario.net
È dunque arrivato il momento di parlare di questo argomento, che va facendosi di giorno in giorno sempre più incandescente. Abbiamo chiesto un parere allo storico Luciano Garibaldi, a sua volta, moderatamente revisionista.
Qual è la sua opinione in merito alla querelle Cervi-Pellicciari sul Risorgimento?
Conosco personalmente e stimo moltissimo Angela Pellicciari, con cui abbiamo in comune l’editore. Non c’è dubbio che molti aspetti, molte vicende del Risorgimento siano «da riscrivere», e tuttavia non penso che tutto debba essere buttato nella pattumiera. C’è un Risorgimento da condannare (per esempio, il fanatismo anticattolico e la fissazione antipapalina di Garibaldi) e c’è un Risorgimento decisamente da custodire come un patrimonio nazionale, perché senza di esso – come ha ottimamente scritto Mario Cervi – l’Italia sarebbe ancora un’“espressione geografica”.
Quali ritiene siano i peggiori episodi del Risorgimento?
In primo luogo mi vengono in mente i mazziniani che mettevano le bombe nei commissariati di polizia. Una sorta di Brigate Rosse ante litteram. E poi, anche Cialdini e Lamarmora, con repressioni e rappresaglie, dagli Abruzzi in giù, non molto differenti da quelle di Reder e Kappler.
E un esempio di Risorgimento da celebrare?
Gli eroi di Solferino e San Martino, massacrati da croati in divisa austriaca, che spaccavano il cranio ai feriti piemontesi con palle di ferro piene di aghi acuminati. Tanto che là nacque la Croce Rossa Internazionale. Una di quelle vittime si chiamava Giovanni Battista Fenocchio ed era il fratello di mio trisnonno Domenico.
Torniamo alla Pellicciari. La storica sostiene che la Chiesa cattolica mai approvò la politica dei Savoia, ispirata dalla massoneria e dalla superpotenza inglese.
Questo è vero. Che fine avrebbero fatto i Mille senza la protezione delle navi di Sua Maestà britannica, che regnava non solo sull’Inghilterra e su mezzo mondo, ma anche sulla Gran Loggia di Londra, madre di tutte le massonerie? E tuttavia, è errato sostenere che la Chiesa - e in particolare Pio IX - fosse contraria all’unità d’Italia. Era ostile, per evidenti e ovvie ragioni, al fanatismo anticattolico dei massoni alla Mazzini e alla Garibaldi, ma non era affatto contraria all’unificazione del Paese. Non si dimentichi che nel Regno di Sardegna, che poi avrebbe unificato l’Italia, vi furono pensatori e politici come Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini che non escludevano addirittura l’ipotesi di attribuire al Papa la funzione di capo dello Stato. Uno Stato, ovviamente, federato.
Il famoso “Papa Re”.
Beh, queste erano, in un certo senso, le idee di Gioberti portate all’estremo. Anche perché al Papa non sarebbe mai interessato esercitare un potere effettivo sulla penisola. Ma risparmiarla dai conflitti civili, questo certamente sì.
Dunque, si può affermare che il Risorgimento fu anche una guerra civile?
Direi proprio di sì. Una delle non poche guerre civili che hanno contrassegnato la storia italiana degli ultimi duecento anni, a partire dalle insorgenze antinapoleoniche, proseguendo poi con la cosiddetta «guerra al brigantaggio», con la rivolta di Milano stroncata da Bava Beccaris, con lo scontro di Fiume, con il triennio 1919-1922 (fascisti contro comunisti), infine con la Resistenza 1943-45. Gli «anni di piombo» non ce li metto perché quella fu una guerra unilaterale. Non ci fu mai una vera reazione armata al piombo assassino dei brigatisti.
E allora perché manteniamo in vita soltanto l’Insmli, ovvero l’«Istituto per la storia del movimento di liberazione in Italia»? Non sarebbe meglio trasformarlo in Istituto per la storia delle guerre civili in Italia?
Sono anni che lo sostengo. Un governo che avesse davvero a cuore la diffusione, specie tra le giovani generazioni, di una storia condivisa, dovrebbe muoversi in questa direzione: mantenendo ovviamente in atto le strutture dell’Insmli (intendo dire personale, impiegati, eccetera), ma affidandone la cura a storici assolutamente super partes, e ampliandone le competenze incaricandolo dello studio di tutte le guerre civili che hanno visto italiani contro italiani. La storia, quella vera, quella seria, si fa così.
Cioè, portando alla ribalta le luci ma anche le ombre.
Esattamente. Mi si perdoni l’autocitazione: io ho raccontato, in numerosi miei libri, le luci della Resistenza, ossia il valore della lotta dei soldati e dei partigiani italiani contro i nazisti. E mi limito a citare la biografia di Edgardo Sogno e la storia degli IILO’s, gli «Italian Intelligence Liaison Officers» che combatterono a fianco degli inglesi nell’8.a Armata.
Dal dott. Carlo Bellieni
Le défenseur des enfants exécuté sans procès ?, par Claire Brisset et Dominique Versini
COn un "tratto di penna" sparisce in Francia la figura di garante dell'infanzia, cui in questi anni migliaia di minori si sono rivolti. L'attuale garante scrive sgomenta su Le Monde. La figura verrà annacquata in un generico "garante dei diritti". D'altronde sappiamo quali sono i diritti più "in voga" e la garante è preoccupata per quelli dei bimbi. Ma chi si occupa davvero dei bambini? Nessuno più? GIà: la società occidentale vuole solo soggetti in benessere e consumatori.
La Spagna legalizza l’aborto a 16 anni all’insaputa dei genitori
Non ho esperienze dirette, ma credo che piuttosto che pensare a garantire l'aborto alle 16enni in segreto dai genitori che vorrebbero far nascere il figlio, sarebbe bene garantire alle sedicenni il diritto a tenerlo, garantendole dalle mamme-nonne che vorrebbero che non nascesse. Leggi l'intervento qui riportato a commento -di una sedicenne- del libro "Lettera ad un bambino mai nato". A pelle mi sembra che la spinta dei genitori delle sedicenni di oggi sia più nella seconda direzione. Ma chi le tutela?
Rassegna stampa
23 Settembre 2009 - Messaggero
Fine Vita
Asse Casini-Fini-Rutelli 232 KB
23 Settembre 2009 - Manifesto
Fine Vita
Rodotà. Il diritto di morire 186 KB
23 Settembre 2009 - Giornale
Eutanasia
Eluana è una vittima dell'eutanasia 93 KB
23 Settembre 2009 - LiberalQuotidiano
Ru486
Dal Senato sì unanime all'indagine 45 KB
23 Settembre 2009 - Repubblica
Ru486
Ma l'Aifa non si ferma 92 KB
23 Settembre 2009 - Stampa
Scuola Riforma
La riforma della discordia 217 KB
23 Settembre 2009 - Sole24ore
Scuola
Ruini lancia un'alleanza educativa 79 KB
23 Settembre 2009 - Libero
Scuola
Ruini lancia l'Sos scuola 58 KB
23 Settembre 2009 - Avvenire
A Dublino il 50 Congresso eucaristico 54 KB
martedì 22 settembre 2009
Giuochini interessanti...
Alcune cose le avevamo già segnalate tempo fa, però messe così come un giuochino sono ancora più gagliarde...
"Cari amici, se si inserisce «Chesterton» nel motore di ricerca del sito de La Repubblica, si scoprono alcune cose interessanti. Ad esempio, che l'articolo di Citati del 20 luglio 2009 è la riproposizione accorciata di un articolo del 7 dicembre 1997 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/12/07/chesterton-romanziere-buffone.html). Poi c'è un interessante articolo a firma di Joaquin Navarro-Valls, dove una frase di Chesterton è usata per raccontare lo “stile-Ratzinger” (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/04/12/vi-racconto-lo-stile-di-ratzinger.html). Ripetendo lo stesso giochetto con il motore di ricerca del Corriere si scopre la sorprendente frequenza con cui Chesterton è citato da Claudio Magris, e un commento al Giovedì di Neil Gaiman (http://archiviostorico.corriere.it/2003/dicembre/30/porta_stretta_della_lettura_co_0_031230082.shtml). Bye!
Uomini e tristezza - Londra depenalizza il suicidio assistito
Un altro elemento importante da verificare sarà se chi aiuta una persona a suicidarsi abbia interessi economici per farlo. Ieri il ministro della Scuola Ed Balls ha commentato la notizia auspicando «che Starmer si muova in maniera molto cauta»: «Non vorrei ritrovarmi a vivere in una società in cui gli anziani si sentono sotto pressione e vogliono morire per sollevare da un peso le loro famiglie».
Al provvedimento si giunge per effetto della lunga battaglia legale vinta da Debbie Purdy, una donna inglese malata di sclerosi multipla che si è rivolta ai giudici per sapere cosa accadrebbe al marito se questi dovesse aiutarla ad andare all’estero (in Svizzera) per ottenere il suicidio assistito. In luglio la Camera dei Lord aveva riconosciuto alla Purdy il diritto a una maggiore chiarezza sulle conseguenze penali in casi come il suo. Le linee guida ormai imminenti costituiscono una prima risposta. Il governo, a cominciare dallo stesso premier Gordon Brown, ha dichiarato di voler lasciare la legge così com’è perché oggi protegge le persone più vulnerabili da pressioni inutili e dolorose.
Secondo Paul Tully, segretario generale della «Società per la protezione dei bambini non nati», la depenalizzazione di Sturmer, che punta a non processare le famiglie che aiutano i parenti terminali a morire, è «immorale e indegna, poiché minaccia seriamente il diritto alla vita». «Le anticipazioni fornite alla stampa da Sturmer – ha continuato Tully – fanno pensare che ci sia una strategia sui processi. Il direttore della Procura punta ad ammorbidire l’opinione pubblica sul tema del suicidio assistito prima che le nuove direttive vengano pubblicate».
Le linee guida riguardano in particolare i familiari di chi decide di morire in Svizzera, Paese dove il suicidio assistito è legale, ma potranno considerare anche casi di persone assistite in Gran Bretagna da medici e familiari. Finora sono 115 i britannici che si sono recati all’associazione svizzera Dignitas per morire ma nessuno dei familiari che li ha accompagnati è stato punito dalla legge inglese. L’effetto del provvedimento in vista potrebbe però anche essere paradossale: «Con le nuove direttive – dichiara Peter Saunders di "Care not Killing" – ci troveremo di fronte a più casi e a più incriminazioni. Potrebbe persino tradursi nella garanzia di un maggior controllo».
LETTERATURA/ Come nacquero gli Hobbit: il genio di Tolkien e la sfida al nichilismo del ’900
Andrea Monda
lunedì 21 settembre 2009
«In una caverna sotto terra viveva un Hobbit» è diventato uno degli incipit più famosi del ’900: il 21 settembre del 1937 esce in Inghilterra Lo Hobbit, «la più bella favola degli ultimi cinquant’anni» secondo la definizione del poeta W.H. Auden, che del professore di Oxford J.R.R.Tolkien fu peraltro illustre allievo. Il successo di questa lunga favola porterà lo scrittore inglese a scriverne il seguito che, uscito nel 1953, diventerà in breve tempo uno dei romanzi più letti al mondo: Il signore degli anelli, soppiantando nella fama Lo Hobbit che della celebre trilogia rappresenta l’antefatto.
In effetti c’è un bel “salto” tra la favola del ’37 e la saga (tre volte più lunga) del ’53: lo scrittore è maturato, il respiro si è fatto epico, il tono più drammatico e a tratti aulico.
Ma, innanzitutto, di che parla Lo Hobbit? In estrema sintesi: il regno dei Nani di Erebor, la Montagna Solitaria, è distrutto dall’arrivo del drago Smaug che si impossessa del grande tesoro dei Nani, nel cuore della montagna. Dopo tanti anni di peregrinazioni, un piccolo “resto” di quel popolo (un gruppetto di 13 Nani guidati dal re Thorin) si riorganizza per riconquistare il regno e il tesoro e, guidati dal saggio mago Gandalf, ritorna in patria, accende la miccia della rivolta contro il drago che alla fine verrà ucciso. Tutto questo avviene grazie al provvidenziale intervento di un piccolo ometto, Bilbo Baggins, lo Hobbit di cui parla il titolo. Bilbo è un pacifico abitante della pacifica Contea, patria degli Hobbit, esseri che hanno in comune con i Nani l’altezza, ma solo quella. Gli Hobbit infatti non combattono, non accumulano tesori, non viaggiano, non fanno nulla di particolarmente “avventuroso”… sono una versione pigra, gaudente e oziosa degli uomini occidentali contemporanei (alcuni dicono “degli inglesi contemporanei”), però sotto questa scorza di accidia, batte un cuore forte, tenace, capace di resistere al male forse più di ogni altro essere abitante nella Terra di Mezzo (la fantastica landa inventata da Tolkien, che poi è il nostro mondo).
L’ingresso di Bilbo nella compagnia dei Nani permetterà il lieto fine dell’avventurosa marcia verso “la riconquista del tesoro”. È proprio questo il sottotitolo del libro ad indicare come i canoni dell’epica classica siano stati rispettati: Lo Hobbit infatti ricalca fedelmente lo schema della Quest presente in altri poemi antichi, dall’Eneide al ciclo del Graal (un lungo viaggio per riconquistare una terra o un oggetto al fine di ripristinare una situazione di pace che è stata interrotta da un evento violento e improvviso) e che poi Tolkien ribalterà totalmente nel suo capolavoro basato sul paradosso di un viaggio non a cercare o conquistare, ma a perdere, a rinunciare (l’anello del potere non deve essere preso ma abbandonato, distrutto).
Dal punto di vista biografico-letterario l’irruzione degli Hobbit nella produzione di Tolkien fu decisiva riuscendo a trovare un punto di mediazione tra le storie “alte” e le storie “basse” che lo scrittore aveva composto sin dalla fine degli anni ’10, dove per “storie alte” s’intendono i racconti degli Elfi che poi confluiranno nel Silmarillion, tutti impregnati del sapore “nordico” tipico delle leggende e saghe scandinave e germaniche, mentre con il termine “storie basse” ci si riferisce alle tante storielle-filastrocche che papà Tolkien sfornava per i suoi quattro figli in particolare negli anni della loro infanzia, dalle Avventure di Tom Bombadil a Roverandom, da Mr.Bliss alle famose Lettere di Babbo Natale, una finta corrispondenza epistolare tra Babbo Natale e la famiglia Tolkien per cui, ogni 25 dicembre, per quasi 20 anni, veniva recapitata una lettera proveniente dal Polo Nord, in cui il mittente raccontava una serie di episodi curiosi e divertenti arricchendo la narrazione con molte colorate illustrazioni (anche queste tutte opera dello scrittore-genitore). I due piani, cupo e aulico il primo, e infantile e allegro il secondo, sarebbero stati destinati a non incontrarsi mai se non fosse piombato in quel giorno d’estate quel nome magico, lo Hobbit. Sono proprio gli Hobbit, i Mezzi-Uomini, che stanno “in mezzo”, non a caso abitano nella Terra di Mezzo, e fanno da collante tra il mondo antico e lontano del Silmarillion e quello lieto e domestico storielle scritte ad uso e consumo familiare. Sono gli Hobbit che, uscendo dalla protetta e ovattata Contea e avventurandosi nel mondo pieno di pericoli della Terra di Mezzo, conducono il lettore in un’esperienza al termine del quale ci si scopre diversi rispetto a quando si era partiti. Così gli Hobbit del Signore degli anelli ritornano nella Contea più alti fisicamente, come Merry e Pipino, ma anche più saggi e coraggiosi (Sam) o semplicemente “feriti” quindi aperti ad un destino ulteriore e trascendente come Frodo, comunque “di più”. Così accade anche nello struggente finale de Lo Hobbit in cui il morente re Thorin, felice per aver riconquistato il suo regno, ringrazia Bilbo con queste parole: «in te c’è più di quanto tu non sappia, figlio dell’Occidente cortese. Coraggio e saggezza, in giusta misura mischiati. Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d’oro, questo sarebbe un mondo più lieto. Ma triste o lieto ora debbo lasciarlo. Addio!». In due righe concentrata una delle “morali” di tutta l’opera tolkieniana: il mondo può ri-diventare “cortese” e lieto, se solo si facesse spazio a quelle risorse di coraggio e saggezza che esistono nel profondo del cuore dell’uomo e che gli uomini umani tirano fuori spesso solo nei momenti estremi.
Il lettore dei romanzi di Tolkien compie lo stesso viaggio degli Hobbit (sono loro il “veicolo”, il formidabile “mezzo di trasporto” della fantasia creativa tolkieniana) e si scopre, sorprendendosi, di essere diventato “di più” di quello che era all’inizio del viaggio-lettura. Se ci si lascia guidare da queste piccole guide, si entra nella profondità del proprio mistero e si può scoprire che c’è qualcosa di più grande che ci attende, un destino più splendente dell’oro e più forte della cupidigia.
I piccoli, umili e tenaci Hobbit sono forse i più grandi personaggi letterari del ‘900, la vera risposta al cupo secolo che ci siamo lasciati alle spalle, perché i più capaci a risollevare l’antica virtù della speranza. Lo esprime bene Michael Tolkien, figlio dello scrittore, quando ha risposo alla domanda sul successo del padre: «Almeno per me non c’è nulla di misterioso nell’entità del successo toccato a mio padre, il cui genio non ha fatto che rispondere all’invocazione di persone di ogni età e carattere, stanche e nauseate dalla bruttezza, dall’instabilità, dai valori d’accatto, dalle filosofie spicciole che sono stati spacciati loro come tristi sostituti della bellezza, del senso del mistero, dell’esaltazione, dell’avventura, dell’eroismo e della gioia, cose senza le quali l’anima stessa dell’uomo inaridisce e muore dentro di lui».