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mercoledì 31 gennaio 2007

E come diceva Don Bosco...


Scusate, ci stavamo dimenticando che oggi è il giorno di San Giovanni Bosco, uno dei santi più strepitosi e simpatici del Paradiso!

Guardatelo, la sua faccia buona di babbo di tanti ragazzi, con attorno giovani confidenti nella confessione e allegri come pazzi in una delle sue tante realizzazioni per i suoi ragazzi (la banda, una delle cose più belle del mondo!!!).

Se cliccate sul titolo trovate un profilo biografico del grande santo.
Comunque di lui basterebbe ricordare un paio di affermazioni:

"Qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri!"

e:

"State allegri!".

Buon don Bosco a tutti!!!

L'unica riforma che funziona: una scuola libera



Pubblichiamo un articolo di Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, apparso sul Il Giornale del 25 Gennaio 2007 nella rubrica da lui curata, "Punti di fuga", presente ogni giovedì sul quotidiano milanese e degna di grande attenzione per gli spunti validissimi ed originalissimi che il magmatico Vittadini comunica. Questo è un contributo particolarmente degno di nota sulla questione educativa, centralissima per noi chestertoniani d'Italia e, ritengo con buona approssimazione, del mondo. Vi invito a dibattere e a lasciare vostri contributi.

L'Uomo Vivo


E’ stato presentato ieri
(24 Gennaio 2007, n.d.r.) a Roma il Primo Rapporto nazionale sulla sussidiarietà dal titolo “Sussidiarietà ed Educazione” edito da Mondadori Università. L’indagine contiene una ricerca che pone più di un interrogativo al riguardo dei problemi del nostro Paese. Più del 61% delle famiglie e delle istituzioni intervistate ritiene l’educazione la prima emergenza italiana e la valutazione complessiva della scuola è alquanto negativa. La maggior parte delle famiglie e delle istituzioni, pur esprimendo un qualche apprezzamento per la scuola, ne rileva gravi carenze (in particolare per ciò che riguarda il corpo insegnante); una percentuale quasi analoga di imprenditori trova gravi insufficienze nella preparazione di coloro che escono dal sistema scolastico e si immettono nel mondo professionale.

Più della metà degli intervistati non vuole un sistema statalista, ma un sistema a gestione mista e manderebbe i figli alla scuola privata se non fosse così costosa. Per il resto però le idee sono confuse: si ritiene che educare significa crescita della persona e trasmissione di valori, ma poi si fa fatica a distinguere tra educazione e istruzione; quasi tutti vogliono un maestro, ma molti ritengono che l’educazione debba basarsi su uno spontaneismo di fondo. La gente capisce che educazione e istruzione debbono essere al centro della vita sociale e vuole uscire da un sistema statalista inadeguato ai suoi bisogni ma, complice anche il crollo delle grandi tradizioni ideali che hanno lasciato spazio in molti a un forte pragmatismo utilitarista, non sa come orientarsi.

La prima questione che ne nasce non ha a che fare quindi con l’istituzione, ma con l’esperienza elementare quotidiana che si fa ai nostri giorni. Educazione è trasmissione di ideali e conoscenze, e ciò dipende dall’esperienza di ricerca e di conoscenza della verità di chi educa.

Qui innanzitutto vale il nesso tra educazione e sussidiarietà: non è “dall’alto” che si trasmette una passione ideale; si deve solo sperare che nella vita sociale, e nella scuola in particolare, si moltiplichino luoghi dove il passaggio di conoscenze e di valori sia desiderato, voluto, praticato. L’istituzione scolastica dovrebbe ospitare questi fatti e considerarli fondamentali per il suo stesso funzionamento, senza pensare di generarli. Questa è la libertà di educazione.

Se l’istituzione scolastica favorisce la libertà di educazione, questa diventa fattore di miglioramento del livello di istruzione del Paese con effetti benefici sulla vita sociale, economica, politica.

Invece in Italia, ormai da un decennio, si tentano riforme scolastiche senza mai concluderle e dominano perciò ancora nella scuola corporativismi, che spesso tentano di soffocare i vagiti di novità. Se si pensa che tra gli intervistati, una forte minoranza (più del 30%) vuole questo status quo perché difende statalismo e scuola centralistica, si capisce perché si acuisce la confusione in chi pur desidera un cambiamento. Occorre non demordere perché questo impegno per la libertà di educazione è la vera grande battaglia del nostro Paese, purtroppo non sempre percepita nella sua importanza da molti potenti.

lunedì 29 gennaio 2007

Un ignobile scoop

"Un ignobile `scoop'": la Santa Sede critica l'inchiesta de "L'Espresso" nei confessionali italiani.

Giornalista si finge penitente per mettere alla prova i sacerdoti su alcune questioni etiche

ROMA, domenica, 28 gennaio 2007 (ZENIT.org).- "L'oltraggiosa inchiesta di un settimanale: finte confessioni in cerca di un ignobile `scoop'" è l'occhiello di un articolo di terza pagina con il quale il quotidiano della Santa Sede, "L'Osservatore Romano", condanna l'inchiesta sulla confessione pubblicata da "L'Espresso" nell'ultimo numero in edicola.

Il cronista, fintosi penitente, è andato nei confessionali di 24 chiese di Torino, Milano, Roma, Napoli e Palermo e qui ha presentato identità fittizie e dichiarato peccati immaginari per comprendere, attraverso le loro risposte, cosa pensino i sacerdoti dei principali temi etici che investono la società italiana e la morale cattolica: dall'eutanasia alla droga, dalla prostituzione alle truffe, dal sesso con minori al battesimo nelle coppie miste.

"Oltraggiare il sentimento religioso dei credenti, ingannare la buona fede dei sacerdoti con grave lesione all'inviolabilità del ministero pastorale, profanare un Sacramento: è riuscita in tutto questo –scrive il quotidiano vaticano, senza citare il nome della testata – la `coraggiosa' inchiesta sul campo fatta da un giornalista di un noto settimanale".

"Complimenti – continua –, uno scoop giornalistico di quelli veri, non proprio originale per la verità visto che tempo fa qualcuno ne fece addirittura un libro, ma di quelli che ciononostante finiscono in copertina e soprattutto danno lustro alla categoria".

"Siamo in realtà di fronte ad un episodio di una gravità inaudita, che travalica i limiti imposti dalla deontologia professionale – si legge ancora –. Ciò che ci preme sottolineare è l'offesa recata a quanti credono nel Sacramento della Riconciliazione, che non è una chiacchierata come altre".

"Quello compiuto – rimarca `L'Osservatore Romano' – è un atto sacrilego, perché si è infranto quello spazio certamente sacro che è il luogo in cui l'uomo che si riconosce peccatore chiede intimamente di incontrare l'amore misericordioso di Dio".

"Non solo. Si tratta di una profanazione compiuta con l'inganno ai danni di ministri di Dio chiamati a quella mediazione tra Cielo e
terra che chi non crede non può comprendere ma che sarebbe chiamato a rispettare", aggiunge poi.

"Vergogna, non c'è altra parola per esprimere il nostro sconcerto verso un'operazione disgustosa, indegna, irrispettosa, particolarmente offensiva. Un'offesa verso il sentimento religioso di milioni di persone, ma che, annotiamo tra l'altro con tristezza e rammarico, non sembra aver suscitato reazioni in nessuno di quanti in altre circostanze si erano pronunciati in difesa del senso religioso altrove offeso", conclude il quotidiano vaticano.

In merito a questa inchiesta si è pronunciato anche monsignor Giuseppe Betori, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, in alcune dichiarazioni mandate in onda domenica 28 gennaio dal programma di Rai Uno, "A Sua Immagine".

"Siamo esterrefatti di fronte a un comportamento deontologicamente inammissibile per un giornalista e che offende profondamente il cuore dei cattolici italiani perché va a infiltrarsi dentro a un Sacramento", ha detto il presule.

"Quando si dice di rispetto delle religioni e poi ci si comporta così – nessuno del mondo della cultura ha usato la propria voce per condannare un comportamento del genere – si capisce a volte come i vescovi abbiano ragione nel reagire non solo alle false accuse di ingerenza ma anche alla situazione di emarginazione del cattolicesimo in Italia", ha poi concluso.
ZI07012802

sabato 27 gennaio 2007

Ancora il disegno intelligente...


Vi proponiamo ancora un articolo, questa volta da L'Avvenire, sempre sul disegno intelligente, che dà sinteticamente conto di alcune affermazioni fatte nell'anno 2005 dal Cardinale Schonborn, arcivescovo di Vienna, fine teologo e tra gli estensori del Catechismo della Chiesa Cattolica, del direttore della Specola Vaticana George Coyne e di Fiorenzo Facchini, ordinario di antropologia all'Università di Bologna.

Cliccando sul titolo si viene mandati alla pagina del quotidiano L'Avvenire.

Sempre sul disegno intelligente.

Vi presentiamo un articolo di Marco Bersanelli, docente di astrofisica, sul tema del disegno intelligente. Per approfondire e capire. Dal mensile Tempi.

Cliccando sul titolo si va alla pagina di Tempi citata.

Il Disegno Intelligente ad Otto e Mezzo - La7

La concezione di un Disegno Intelligente, che ipotizza un agente sopranaturale per la Creazione dell'Universo, contro le teorie evoluzionistiche ha acceso una guerra culturale nel mondo scientifico e religioso.

Da qualche tempo è tornato in auge un dibattito che sembrava sopito se non dimenticato, tanto da infiammare spesso anche in polemica. E' la discussione sull'insegnamento del darwinismo e lo scontro tra laici e cattolici sulle questioni della bioetica.

Ne ha parlato la puntata di venerdì 26 gennaio 2007 di Otto e Mezzo, "Inchiesta su Dio", condotta da Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni.
Vi hanno partecipato il filosofo del pensiero debole Gianni Vattimo, il filosofo della scienza Telmo Pievani, lo studioso e giornalista Francesco Agnoli, Adriana Cavarero, docente di Filosofia della Politica ed il giornalista del Il Foglio Giulio Meotti.

Cliccando il titolo di questo post si verrà trasferiti alla pagina della trasmissione Otto e Mezzo dove si trova il video della puntata.

E' una discussione molto interessante, sulla quale vale la pena di perdere tempo.

venerdì 26 gennaio 2007

Chesterton è sempre attuale. Per gli intelligenti - 3


La Gazzetta di Sondrio pubblica il sommario del numero 3757 de La Civiltà Cattolica, prestigiosa rivista dei Gesuiti, e guarda chi c'è? Chesterton...

Chesterton è sempre attuale. Per gli intelligenti - 2


Educare oggi per l’impegno in favore di una politica al servizio del cittadino - “Lectio magistralis” del Cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga in occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell'Università "Carlo Bo" di Urbino: "Qual è la risposta che viene a noi dal Cristianesimo? Chesterton lo diceva con molta chiarezza: “L’unico sistema che non ha fallito è il Cristianesimo, poiché è l’unico che non è stato mai applicato”.

Chesterton è sempre attuale. Per gli intelligenti.

Esiste un numero non piccolo di persone sveglie ed intelligenti che citano a ragione il nostro Chesterton dimostrandone l'attualità e l'utilità in questo mondo di pazzi. Abbiamo cercato su GoogleNews richiami a Chesterton in notizie di questi giorni. Ecco alcune dimostrazioni di come sia attuale, utile e citato il nostro Chesterton:

La Teologia del corpo in parole semplici - Padre Anthony Percy ha scritto “Theology of the Body Made Simple”: "già G.K. Chesterton diceva della rivoluzione sessuale che la follia del futuro non sta tanto a Mosca quanto a Manhattan".

"Cliccate" il titolo in alto che rimanda all'articolo citato.

Solo un piccolo saggio...
I ciechi? Editori, uomini cosiddetti di cultura...

Da RomaSette.it, Andrea Monda su Chesterton.


La visione cattolica del mondo al centro del saggio scritto dall'inglese Gilbert Keith Chesterton nel 1908

di Andrea Monda

Nel 1905 il giovane scrittore inglese Gilbert Keith Chesterton pubblicò un saggio intitolato semplicemente “Eretici”. Con questo termine intendeva polemizzare con quelle persone della cultura del suo tempo che «avevano l’ardire di non essere d’accordo con lui», da Bernard Shaw a H.G.Welles e a Rudyard Kipling. Il saggio ebbe un certo clamore e qualcuno chiese al polemista di specificare la sua “ortodossia”, cioè la dottrina in base alla quale aveva bollato quelle personalità come eretici. Fu così che tre anni dopo, nel 1908, fu pubblicato “Ortodossia”, il capolavoro dell’opera saggistica di Chesterton, genio multiforme della cultura novecentesca, oggi purtroppo caduto in un tenebroso quanto immeritato oblio.

Nel 1908 lo scrittore non si è ancora convertito al cattolicesimo (l’ingresso ufficiale nella Chiesa avverrà solo nel 1922), ma una volta letto questo libro, ora saggiamente e finalmente ripubblicato dalla Morcelliana, dubbi non ce ne possono essere: l’ortodossia chestertoniana è quella cattolica, né più né meno; la polemica è diventata apologia, apologia di un credo non ancora confessato pubblicamente ma vissuto intimamente.

Nelle prime pagine lo scrittore presenta al lettore l’immagine dell’esploratore inglese che, fatto il giro del mondo, finisce poi per scoprire…l’Inghilterra (dalla stessa immagine, sette anni dopo, scaturì il capolavoro dell’opera narrativa di Chesterton, “Manalive”, in italiano, “Le avventure di un uomo vivo”). È una metafora del cammino spirituale dello scrittore che nel momento in cui aveva pensato di aver scoperto una nuova visione del mondo si accorse che era vecchia di venti secoli, perfettamente coincidente con la visione cristiana del reale. E di “visione” della “realtà” si tratta: su questi due concetti si può tranquillamente tracciare un profilo della poetica chestertoniana. Lo ha capito l’antropologo rumeno Mircea Eliade che, pochi giorni dopo la morte dello scrittore inglese, avvenuta il 14 giugno 1936, lo ricordò con queste parole: «Innocent Smith, lo straordinario personaggio di “Manalive” (sicuramente il suo romanzo migliore), ci fa vedere benissimo che abbiamo perduto il senso del meraviglioso proprio perché lo cerchiamo, invece di vedere che è in mezzo a noi. Cerchiamo il miracoloso e il “romantico”, come cerchiamo la felicità, l’amore perfetto e la saggezza, senza accorgerci che sono intorno a noi, in attesa che li vediamo».

In un mondo tutto razionalistico (nel senso però meramente matematico) si è persa la capacità di vedere; da qui la riscoperta della fantasia e della poesia che, dice Chesterton, difendono la sanità globale dell’uomo, del suo spirito ma anche della stessa ragione perché «le fate custodiscono la ragione», scrive nell’ “Autobiografia”. L’immaginazione è ciò che l’uomo moderno ha perso, danneggiandone anche la salute mentale. «Non è l'immaginazione che produce la pazzia; è la ragione» scrive in “Ortodossia”. «I giocatori di scacchi diventano pazzi, non i poeti; i matematici, i cassieri possono diventare pazzi, non gli artisti che creano».

Chesterton è senz’altro un critico della modernità e delle sue contraddizioni. Ma critica con lievità, umorismo, senza angoscia o moralismo, riuscendo così a prendere in contropiede il lettore con intelligenza, bonomia e acume. Ogni pagina di “Ortodossia” è ricca di paradossi, di riflessioni argute, quasi arzigogolate ma che, viste onestamente, rivelano l’intento candido e felice che muove lo scrittore-filosofo: condividere con il lettore la gioia che lo anima. Per dirla con la prima lettera di San Pietro, il voler «rendere ragione della speranza» che è un lui. Kafka ebbe a dire che «Chesterton è così felice che sembra abbia incontrato Dio». Non è un caso che l’ultima, toccante, pagina del saggio è dedicato all’allegria, la gioia, che è secondo Chesterton, «il gigantesco segreto del cristiano».

17 gennaio 2007

lunedì 22 gennaio 2007

Un film sulla resistenza all'occupazione piemontese...


Dal sito montagna.tv un'interessante notizia su Mel Gibson.

POTENZA -- Mel Gibson è tornato sulle montagne della Lucania, tra i luoghi del film "The passion". E' stato scorto, in incognito tra la folla, nel parco della Grancia, vicino a Potenza. Starebbe pensando ad un film sulla resistenza all'occupazione piemontese. La notizia è stata diffusa dal mensile "Il messaggero di Sant'Antonio".

Raccontare la "resistenza stracciona" dei briganti contro il Regno d'Italia e il Risorgimento sarebbe il nuovo progetto di Mel Gibson.

Con cappello e occhiali scuri, quasi per non farsi riconoscere, è stato visto nei pressi del parco della Grancia, mentre assisteva allo spettacolo "La storia bandita", sulle imprese dei briganti contro l'occupazione piemontese.

Una storia legata, quindi, al brigantaggio meridionale sullla stessa linea ideologica di "Braveheart" e "Il patriota". Staremo a vedere...

Greta Consoli

venerdì 19 gennaio 2007

Staminali amniotiche - ecco lo scopritore!



Paolo De Coppi

Nato il 24 Gennaio 1972 a Conegliano ( Treviso)
Frequenta il Liceo Scientifico “Guglielmo Marconi” di Conegliano diplomandosi nel 1991
Nel 1997 si laurea in Medicina e Chiorurgia presso l’Universita’ degli studi di Padova con il massimo dei voti e la lode con una tesi dal titolo: “Modello di gastroschisi nel coniglio: studio delle modificazioni istologiche dell’intestino”
Dal Gennaio 1997 al Giugno 1997 esegue 6 mesi di internato presso l’Istituto di Patologia Generale con il Professor Saverio Sartore con il quale continua a collaborare nel campo dello studio delle cellule muscolari lisce anche dopo la laurea.
Si iscrive alla Scuola di Chirurgia Pediatrica dell’Universita’ di Padova diretta dal Professor Maurizio Guglielmi nel 1997
Tra l’Ottobre 1998 e il Marzo 1999 svolge un progetto di Ricerca riguardante l’Epatoblastoma presso l’“Universitat van Amsterdam” ad Amsterdam (Olanda) sotto la direzione del professor Daniel Aronson. Tale periodo gli permette di approfondire da una parte le nozioni scientifiche di base gia’ apprese durante il corso degli studi medici e dall’altra le teciniche laboratoristiche che gli serviranno per porre le basi agli studi cellulari che portera’ avanti negli Stati Uniti.
Tra il Giugno 2000 e il Febbrario 2002 lavora presso “ The Laboratory for Tissue Engineering and Cellular Therapeutics” del Children’s Hospital, Universita’ di Harvard, Boston Stati Uniti diretto dal Dr. Anthony Atala, Professor in Surgery. Durante questo intenso periodo ha modo approfondire le conoscenze riguardanti le estrazioni e le culture cellulari per la Terapia Cellulare e l’Ingegneria Tissutale. Focalizza in particolare i propri interessi verso le cellule staminali, in particolare verso le cellule staminali di tipo mesenchimale. Si interessa dapprima alle cellule staminali di tipo adulto, derivate sia da tessuti midollari che da extra midolari; in seguito el;abora un proprio progetto per l’identificazione delle cellule staminali dai villi coriali e dal liquido amniotico. Si avvale nell’elaborazione di questa teoria della preziosa direzione dei professori Atala Anthony, Soker Shay, Yoo James e del prezioso parere di scienziati del calibro di Dal Cin Paola, Lanza Robert e Snyder Evan. Grazie a queste preziose collaborazioni ha modo di portare a termine con successo un prezioso studio riguardante le Cellule Staminali ricavate dal lliquido amniotico e dai villi coriali.

Ancora sulle staminali amniotiche

da L'Avvenire, segnalatoci dal socio Roberto Prisco, eccovi un bell'articolo da diffondere di Eugenia Roccella.
Ecco come stanno le cose.

SE LA RICERCA NON PIACE AL BUSINESS

Eugenia Roccella

La scoperta delle cellule staminali amniotiche, che potrebbero sostituire quelle ottenute dalla distruzione degli embrioni, risolvendo i dubbi etici che si sono addensati sulla ricerca, ha capovolto le posizioni di alcuni scienziati, di forze politiche e grandi quotidiani. È un mondo alla rovescia: chi finora accusava i cattolici di frenare il cammino della scienza, improvvisamente reclama cautela, e avanza sottili preoccupazioni etiche.
Nel 2004 Darwin, la rivista della Fondazione Veronesi diretta da Gilberto Corbellini, inneggiava alla Corea e al campione della clonazione terapeutica, il veterinario Hwang Woo-Suk, con un titolo roboante: «Il ruggito di Seul». Quando poi si è scoperto che i dati forniti da Hwang erano completamente falsi, pochi, in Italia, si sono chiesti se l'imprudenza e l'entusiasmo acritico della comunità scientifica non avessero rasentato la complicità. Qualche mese fa il ricercatore americano Robert Lanza ha raccontato in un'intervista di aver trovato un metodo per estrarre cellule staminali dall'embrione senza distruggerlo. Le cifre pubblicate non tornavano, ma una volta scoperto l'imbroglio è scattata una generosa gara, tra i colleghi di Lanza, per assolverlo. Gli stessi che dimostravano tanta indulgenza nei confronti dell'americano (per esempio il prof. Giulio Cossu) oggi guardano con ben altra severità ai risultati di Atala e De Coppi. Insomma, si adottano due pesi e due misure, e si sferra un incomprensibile attacco preventivo a una tecnica che è solo agli esordi, ma che potrebbe mettere tutti d'accordo. Si tratta davvero di un ritrovato rigore, dopo tanti incidenti e cadute di credibilità?
Ci assale un sospetto. Che questo improvviso atteggiamento di prudenza sia connesso agli ostacoli denunciati da Paolo De Coppi: «Parte della comunità scientifica vedeva con preoccupazione questo studio perché temeva che sottraesse fondi allo studio delle cellule embrionali. Erano stati fatti commenti discutibili e senza queste b battute d'arresto il lavoro sarebbe stato pubblicato molto tempo prima». Tra chi lavora in questo campo esiste una naturale competizione per aggiudicarsi i fondi disponibili, e la ricerca sugli embrioni, che divora denaro da anni, è ormai in grandi difficoltà. La sua popolarità è nata intorno alla speranza che si potessero curare le malattie degenerative, ma il traguardo, invece di avvicinarsi, si è allontanato. Austin Smith, presidente di EuroStemCell (il Consorzio europeo per la ricerca sulle staminali) ha dichiarato pochi giorni fa al Times che la clonazione terapeutica è stata "oversold". Il termine è quello adottato dalle compagnie aeree che vendono posti oltre la propria disponibilità, cioè posti che non ci sono. Lo scienziato ha voluto dire che sono state "vendute" all'opinione pubblica prospettive terapeutiche che non erano realistiche, e che - afferma Smith - probabilmente non si realizzeranno mai.
Non si può pensare alla comunità scientifica come a un mondo fondato solo su nobili scopi di conoscenza e votato al bene dell'umanità. È un luogo come tutti gli altri, dove agiscono interessi umani, fatto di cordate in gara tra loro, di tantissimi soldi in gioco, di brevetti redditizi (soltanto Robert Lanza ne ha registrati decine) che l'introduzione di nuove tecniche rischia di vanificare. Un mondo che, per la delicatezza dei suoi compiti, ha un particolare bisogno di verifiche. Questo ruolo di garanzia nei confronti dell'opinione pubblica dovrebbe essere coperto dalla politica e dalla stampa, con il massimo di trasparenza possibile; altrimenti i De Coppi continueranno ad essere osteggiati, mentre i truffatori alla Hwang Woo-Suk saranno finanziati e applauditi.

venerdì 12 gennaio 2007

Gigante!


Da AsiaNews, un gigante...

CINA
Vescovo sotterraneo muore a 103 anni:“un pastore umile e straordinario”
Mons. Meng, vescovo non ufficiale di Nanning, era il presule più anziano di tutto il Paese. Per p. Politi, missionario del Pime e grande esperto di Cina, nonostante gli oltre 25 anni di lager “egli ha vissuto fino alla fine con una vitalità fuori dal comune”. Sempre più grave la questione delle nomine episcopali in Cina, per le quali “non si vedono spiragli all’orizzonte”.


Roma (AsiaNews) – Un “pastore umile e straordinario, che ha dedicato la sua vita alla comunità in cui viveva con un’energia ed una vitalità fuori dal comune”. E’ questo il ricordo che p. Giancarlo Politi, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e grande esperto di Cina, ha di mons. Joseph Meng Ziwen, vescovo di Nanning (Guangxi), morto il 7 gennaio scorso a 103 anni a causa di un cancro al fegato. Era il presule più anziano di tutta la Cina.

P. Politi racconta ad AsiaNews che il vescovo “era una persona che ancora 3 anni fa, a 100 anni, diceva messa ogni domenica in 3 parrocchie diverse, senza mai risparmiarsi”. Il suo coadiutore, mons. John Baptist Tan Yanchuan, celebrerà i funerali domani.

Nato il 19 marzo del 1903 in una famiglia non-cattolica di Hengling, mons. Meng viene battezzato giovane. A 18 entra in un seminario minore, dove rimane per 8 anni. Da qui si sposta nel seminario maggiore di Penang, in Malaysia, dove studia per 6 anni teologia e filosofia. Nel 1935, viene ordinato sacerdote a Nannig.

Dopo la rivoluzione comunista viene accusato di collaborazionismo con il Kuomintang e, nei primi anni ’50, spedito in un laogai (“campo di riforma tramite il lavoro”), da dove esce nel 1957. Rilasciato, apre una clinica sfruttando dei suoi studi giovanili di medicina: l’anno dopo, accusato di “curare i nemici della Rivoluzione”, viene arrestato di nuovo. Esce dal lager nel 1970.

Negli anni ’80, riesce ad ottenere la restituzione di alcuni beni e proprietà della diocesi e struttura un gruppo di religiose e sacerdoti incaricati dell’evangelizzazione. Quello di “portare Cristo al mondo” rimane lo scopo principale di tutta la sua vita.

Viene ordinato vescovo dalla Santa Sede nel 1984, ma il regime comunista non ha mai voluto prendere atto della nomina. Per evitare problemi alla sua comunità, mons. Meng ha sempre firmato i documenti ufficiali della diocesi come sacerdote: i suoi fedeli, affettuosamente, lo chiamavano lao shenfu (sacerdote più anziano).

Il p. Politi ricorda che il presule “ha sempre vissuto con umiltà. Anche non potendo proclamarsi vescovo, ha sempre girato abbastanza liberamente in tutto il Guangxi, che ha delle comunità cristiane piccole e vive in un clima disteso. Lì non vi è mai stato un conflitto acceso contro la Chiesa come in altri luoghi della Cina”. Un recente esempio di questo conflitto è l’arresto dei 9 sacerdoti di Baoding, nella provincia centrale dell’Hebei, avvenuto il 27 dicembre scorso.

La morte di mons. Meng si aggiunge a quella di altri 4 vescovi ufficiali avvenute nell’ultimo mese. I presuli, ufficiali e non, sono sempre più anziani e la situazione di tensione fra l’Associazione patriottica (che cerca di controllare le ordinazioni) ed il Vaticano rende le nuove nomine episcopali un grave problema per l’intera Chiesa cinese.

Sulla questione, p. Politi si mostra alquanto pessimista: “Non vedo all’orizzonte degli spiragli per una risoluzione della questione. Il Partito comunista ha a cuore solo il mantenimento del potere, e per ottenere questo risultato deve mantenere la situazione così com’è”.

P. Politi fa notare che, anche se i rapporti diplomatici sino-vaticani sono difficili, "la vita della Chiesa nel Paese, nonostante tutto, cresce"

giovedì 11 gennaio 2007

Tribunale coreano concede asilo politico a un egiziano convertito al cristianesimo


Asianews, l'agenzia di stampa diretta dal nostro caro amico padre Bernardo Cervellera, ci lancia questa notizia, che rilanciamo.

I giudici hanno accolto le richieste di Ibrahim, cristiano convertito dall’Islam, convinti che rientrato in patria non riceverebbe alcun aiuto dal governo contro gli integralisti che lo minacciano da tempo.

Seoul (AsiaNews) – Un tribunale coreano ha concesso ieri asilo politico ad un cristiano egiziano convertito dall’Islam, costretto a fuggire dal suo Paese a causa delle minacce subite da un gruppo di estremisti musulmani. Lo conferma un rappresentante anonimo del tribunale.
Il richiedente, identificato solo come Ibrahim, ha 40 anni: è stato costretto a fuggire dall’Egitto nel 2005 dopo aver subito aggressioni fisiche e ricevuto minacce di morte da parte di un gruppo di integralisti che volevano “riportarlo all’Islam”.
Appena entrato in Corea, l’uomo si è rivolto al governo per ottenere lo status di rifugiato, ma il ministero coreano della Giustizia ha respinto le sue richieste a causa di “lacune nella sua testimonianza”.
I giudici hanno invece accolto la richiesta, convinti che “se dovesse tornare in Egitto, Ibrahim non riceverebbe alcun aiuto da parte del governo e tornerebbe sotto la morsa degli integralisti, rischiando la vita”. La testimonianza che non ha soddisfatto il ministero “va ignorata, perchè è stata raccolta subito dopo l’entrata dell’uomo nel Paese, mentre era ancora sotto forte stress”.
Seoul ha siglato il Trattato sui rifugiati delle Nazioni Unite nel 1992. Da allora, oltre mille stranieri hanno chiesto asilo politico per motivi razziali o religiosi, ma il governo ha accolto meno di 100 richieste.

mercoledì 10 gennaio 2007

Il punto sul caso Welby


Pubblichiamo, traendolo dall'Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede, un articolo di Francesco D'Agostino sul caso Welby. Per fare definitivamente chiarezza.

Osservatore Romano 29.12.2006

PIETA' e CHIAREZZA

Francesco D’Agostino

Pietà e chiarezza. La pietà, la massima pietà, è richiesta quando ci si concentra su di un caso umano come quello di Piergiorgio Welby, un caso straziante, ancor più che doloroso. Chiarezza, la massima chiarezza, è quella invece richiesta da un caso politico, come lo stesso Welby ha voluto che si considerasse il suo caso. Alla pietà si addicono il silenzio, la meditazione e soprattutto la preghiera. La chiarezza esige invece capacità di analisi e di discernimento, freddezza di ragionamento e soprattutto una profonda onestà intellettuale. Ed esige altresì che la pietà, valore umano profondo e prezioso, venga tenuta separata dall’emotività, dinamica psicologica tanto coinvolgente, quanto in genere effimera e povera di contenuti. Il dibattito pubblico, attivato dalla lettera che Piergiorgio Welby ha inviato il 22 settembre al Presidente Napoletano, chiedendo che gli fosse concessa una “morte dolce”, e che per settimane e settimane ha occupato gli spazi massmediatici, e non solo in Italia, ha mescolato assieme temi, istanze e sentimenti diversi, con il fine evidente di alterare l’orientamento profondamente e istintivamente ostile all’eutanasia dominante nel nostro paese. E’ presto per poter dire quale efficacia abbia avuto questa campagna mediatica. Ma fin da ora si può e si deve dire che è stata condotta strumentalizzando indebitamente un caso terribile e pietoso. Puntualizziamo alcuni termini del problema, che comunque, come si vedrà, restano fortemente interconnessi.

La figura, la personalità, le sofferenze, l’immagine stessa di Piergiorgio Welby sono state strumentalizzate, sia pure col suo consenso e forse anche su sua stessa iniziativa (ma l’auto-strumentalizzazione è pur sempre una strumentalizzazione), per far giungere all’opinione pubblica un falso messaggio, obiettivamente necrofilo, e cioè che la morte è l’unica risposta possibile a malattie degenerative terribilmente invalidanti come quella da cui egli era afflitto e più in generale a tutte le malattie giunte alla fase terminale. Il messaggio autentico è esattamente l’opposto: la vera risposta a tutte le situazioni tragiche di malattie invalidanti croniche e di malattie di fine vita non sta nell’abbandono terapeutico (di cui l’eutanasia è la forma estrema), ma nella vicinanza calda e compassionevole del terapeuta al paziente, intesa come un vero e proprio diritto, che rientra nel più generale diritto alla salute di cui siamo tutti titolari.

Si sono intenzionalmente e indebitamente confuse le medicine palliative, vera e propria gloria della medicina più recente, chiamate a dare e capaci di dare, ad ogni malato, la speranza concreta di poter convivere con la propria malattia, anche se terminale, in modo dignitoso, con pratiche di sedazione robusta e irreversibile, finalizzate evidentemente a sopprimere il malato, più che a non farlo soffrire.

Si sono denunciate, demonizzandole, le più recenti e straordinarie tecnologie biomediche, come vere e proprie forme di manipolazione violenta e innaturale della vita, minimizzandone indebitamente la straordinaria valenza terapeutica, che ha loro consentito di salvare tante vite umane e dimenticando così di ricordare che la manipolazione non va condannata perché innaturale (se così fosse sarebbe da condannare perfino la cottura dei cibi), ma solo quando sia non coerente col bene umano.

Si è insistito nel sottolineare come rivestisse carattere di accanimento l’uso di macchinari per la respirazione forzata ai quali Welby doveva la propria sopravvivenza. Che di accanimento non si trattasse, ma solo di una forma estrema e benefica di terapia, risulta non solo da un parere autorevole formulato dal Consiglio Superiore di Sanità, ma dall’elementare riflessione (condivisa da tutti i bioeticisti) secondo la quale, perché accanimento si dia, è indispensabile un’obiettiva sproporzione tra il trattamento cui il malato è sottoposto e la finalità che il medico vuole conseguire col trattamento in questione: nel caso di Welby il respiratore meccanico aveva come finalità non quella di consentirgli una mera sopravvivenza biologica, ma quella di rendergli possibile una sopravvivenza autenticamente e profondamente umana, che gli ha permesso oltre tutto di esercitare l’ammirevole ruolo di un vero e proprio leader politico (come i suoi stessi compagni di partito hanno instancabilmente ricordato).

Si è indotta nella gente l’erronea convinzione che uno dei doveri fondamentali dei medici sia quello di aiutare i loro pazienti a morire, evitando accuratamente di ricordare come il giuramento ippocratico (prima ancora che una visione religiosa della vita) impegna il medico a lottare sempre e soltanto per la vita e non a operare per la morte.

Si è esaltato il principio di autodeterminazione del paziente, come se legittimasse qualunque pretesa del malato nei confronti del medico, fino all’estrema pretesa eutanasica, quando questo principio, fondamentale per la corretta attribuzione della piena responsabilità morale, acquista in bioetica una valenza ben più ristretta, riducendosi in buona sostanza al dovere di acquisire, per legittimare qualsiasi atto medico, il consenso pienamente informato, da parte dei pazienti se competenti, o se incompetenti dei loro rappresentanti legali.

Si è fatto riferimento al caso Welby per stigmatizzare la mancata approvazione, da parte del Parlamento, di una legge che legalizzasse il testamento biologico. E’ evidente che una normativa sul testamento biologico (ma io preferirei che si usasse l’espressione Dichiarazioni anticipate di trattamento, come ha fatto il Comitato Nazionale per la Bioetica), concernendo situazioni in cui il paziente ha perduto la capacità di intendere e di volere, non ha nulla a che fare col caso Welby, che ha mantenuto fino alla fine una piena competenza. La confusione può nascere per

Si sono denunciate inesistenti lacune nel nostro ordinamento, che, se davvero esistessero, andrebbero al più presto colmate, quando invece il nostro sistema penale, dal punto di vista della questione che ci interessa, è assolutamente completo e chiaro. Se l’eutanasia non ha alcun riconoscimento come fattispecie penale, non è per dimenticanza, ma per chiara scelta del nostro legislatore (che infatti ha previsto che chi uccida per pietà possa invocare l’attenuante comune prevista dall’art. 621 del codice penale, quella cioè di aver agito “per motivi di particolare valore morale”). Proibiti, altresì, con sanzioni più lievi di quelle previste per l’omicidio volontario, sia l’omicidio del consenziente che l’istigazione e l’aiuto al suicidio. Insistere nell’ipotizzare lacune normative equivale ad auspicare che l’eutanasia venga depenalizzata o addirittura legalizzata: è una pretesa forte, sulla quale si può ben aprire un legittimo dibattito etico e politico, ma che va esplicitamente sottoposta alla pubblica opinione e che non può essere fatta passare come una semplice richiesta di integrazione di un codice penale lacunoso.

Si è data una interpretazione esasperata di un fondamentale principio costituzionale (art. 322), quello per il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Non c’è dubbio che, in base a questo principio, un malato possa rifiutare qualsiasi trattamento, anche salvavita, o possa comunque chiederne la sospensione. Il valore del principio sta nel porre un limite difficilmente superabile alla tentazione, ricorrente anche se in fondo inoffensiva, del paternalismo terapeutico, alla quale facilmente tendono a cedere tutti i sistemi in cui la sanità acquista una valenza pubblica ed è inevitabilmente “amministrata” in modo burocratico. Quel che è certo è che il legislatore costituente non ha introdotto questa norma come scorciatoia per l’eutanasia. Piergiorgio Welby aveva tutto il diritto di rifiutare (dopo essere stato compiutamente informato delle conseguenze della sua decisione) l’uso a suo carico del respiratore meccanico. Questo rifiuto non implicava, ovviamente, il venir meno del dovere del medico di praticare a suo favore –successivamente al distacco del respiratore- tutte quelle forme di palliazione e di sedazione che il medico stesso, in scienza e coscienza, avesse ritenuto necessarie. Cosa però sia avvenuto nella realtà, non è a tutt’oggi del tutto chiaro: non è chiaro, cioè, se la sedazione abbia preceduto il “distacco della spina” e se questa sedazione sia stata limitata alla finalità di non farlo soffrire o se invece non sia stata posta in essere per fargli perdere completamente e irreversibilmente la coscienza: in quest’ultimo caso l’aver qualificato questa pratica come “terapia del dolore” sarebbe stato non solo del tutto improprio, ma mistificante.

Si è infine voluto politicizzare il caso Welby (si ricordi l’appello al Capo dello Stato), come se questo tragico caso, come tutte le questioni altrettanto tragiche di cui la bioetica si occupa, possano davvero trovare nella politica e attraverso la politica la loro soluzione. Non è così e chi la pensa così mostra di aver capito ben poco della complessità della bioetica, che si pone tutta su di un piano metapolitico. La bioetica si è infatti imposta all’attenzione del mondo contemporaneo nel momento in cui la politica ha capito di essere inadeguata a gestire i problemi di salute, di vita e di morte attivati dallo sviluppo vorticoso della biomedicina contemporanea.

Concludo. Quello che davvero ci ha insegnato il casop Welby è che la bioetica ha una dimensione antropologica, in cui si sintetizzano questioni sociali e coesistenziali di tipo etico, religioso, simbolico, irriducibili alla logica degli interessi sociali, di cui essenzialmente la politica si fa carico. La prova di quanto detto si ha in quegli ordinamenti in cui la legalizzazione dell’ eutanasia volontaria, nel nome del rispetto che si dovrebbe avere nei confronti dei pazienti, qualora manifestassero una consapevole volontà di morire, ha prodotto come effetto l’attivazione di un controllo burocratico sulla fine della vita umana, che si è lentamente esteso fino a coinvolgere i malati psichiatrici, i malati anziani cronici e perfino (col c.d. protocollo di Groeningen) i neonati portatori di handicap. Non entriamo nel merito di quanto possano influire nella soppressione legale di tanti malati motivazioni politico-economiche (ma sappiamo che influiscono molto!). Limitiamoci a dire che la pietà che tutti dobbiamo avere per Pergiorgio Welby e per le sue sofferenze deve accompagnarsi alla pietà che è doveroso nutrire verso tanti altri malati, di estrema fragilità fisica e psichica, che hanno il diritto di aspettarsi dal sistema sanitario e da ciascuno di noi parole di vita e non di morte, di prossimità e non di abbandono, di speranza e non di disperazione necrofila.

martedì 9 gennaio 2007

Alla ricerca non serve sacrificare embrioni

Ecco l'interessante articolo sulla storia delle staminali.
Allora è proprio vero che quelli del referendum dell'anno scorso erano dei "sòla" clamorosi... Inventavano, creavano, e qualcuno beveva... Però col flop dei referendum ci sono rimasti malissimo... ancora si devono riprendere. E noi ancora godiamo.
Loro suonano i loro tromboni dalle repubbliche e dai corrieri, noi saliamo sulle nostre scatole di sapone e gridiamo: "Il re è nudo e voi siete dei sòla!".

LE FRONTIERE DELLA BIOETICA
La bioeticista Di Pietro: bene purché non si tratti di amniocentesi effettuate solo per questo scopo. Il biologo Pessina: buoni dati preliminari, ma troppo clamore mediatico

Alla ricerca non serve sacrificare embrioni

Dallapiccola: atteso un salto significativo nei prossimi 5 anni Vescovi: sono state trovate cellule con un potenziale equiparabile a quello delle embrionali E una metodologia per moltiplicarle per uso terapeutico

Da Milano Enrico Negrotti

Apprezzamento per la ricerca di strade alternative all'utilizzo degli embrioni per ricavare cellule staminali pluripotenti accompagnata da fiduciosa cautela sull'iter di verifiche e conferme che anche questa scoperta dovrà ottenere prima di produrre risultati utili per i pazienti. Anche se non vanno trascurate le precauzioni etiche che non possono mancare e senza dimenticare qualche interrogativo sul clamore mediatico che lo studio pubblicato su Nature Biotechnology ha ottenuto mentre analoghe e precedenti ricerche non avevano «sfondato» sui mass media alla stessa maniera. Sono le valutazioni degli scienziati sugli orizzonti che si aprono dopo gli esperimenti di Paolo De Coppi e Anthony Atala e collaboratori sull'isolamento dal liquido amniotico di cellule staminali con un potenziale differenziativo in diverse linee cellulari.
«Si sapeva da tempo che esistono cellule staminali nel liquido amniotico - osserva Bruno Dallapiccola, genetista direttore dell'Istituto Mendel e copresidente dell'Associazione "Scienza & Vita" -, la novità sta nell'aver dimostrato con sistematicità che con opportuni stimoli possono diventare grasso, osso, tessuto endoteliale, neurologico ed epatico. Si tratta di dati preliminari ma significativi in modelli di topo. Ora occorrerà vedere se sarà possibile trasferire sull'uomo quanto fatto sull'animale. E anche verificare chi può fare che cosa, con quali costi e risorse». «In ogni caso - aggiunge Dallapiccola - credo che nei prossimi cinque anni si possa fare un salto significativo. E posso vantarmi di essere stato tra quelli che da tempo sostenevano che la ricerca avrebbe trovato risultati significativi senza utilizzare embrioni prima che gli studi con staminali embrionali dessero esiti altrettanto positivi».
E sul valore etico della ricerca punta anche Maria Luisa Di Pietro, bioeticista dell'Università Cattolica di Roma e copresidente dell'Associazione «Scienze & Vita»: «Diversi sono gli aspetti po sitivi, a partire dall'aver trovato una fonte di cellule staminali con capacità molto elevata di differenziarsi senza distruggere embrioni umani. Inoltre sembra che basti isolare quantità minime di cellule da moltiplicare in vitro e le stesse cellule parrebbero non avere proprietà tumorigeniche (come accade con le embrionali)». I dubbi etici, sottolinea Maria Luisa Di Pietro, sono legati alle modalità del prelievo: «Se le cellule provengono da un'amniocentesi diagnostica è un conto; ben diverso, se venisse fatto un prelievo apposito per queste cellule. È interessante notare che l'articolo segnala di avere ottenuto cellule simili da biopsie dei villi coriali (tecnica molto invasiva e ad alto rischio di abortività) e da biopsie su placente al termine della gravidanza, che non porrebbero invece alcun problema etico».
Proprio allo studio delle cellule staminali presenti nelle membrane placentari al termine della gravidanza si dedica da anni a Brescia il gruppo coordinato da Ornella Parolini, direttore del Centro di ricerca «E. Menni» della Fondazione Poliambulanza: «Abbiamo dimostrato (e pubblicato sulla rivista Transplantation nel 2004) che cellule prelevate dai tessuti placentari hanno un potenziale staminale: studi su modelli animali sono ancora in corso, ma quelli già effettuati mostrano che tali cellule sono ben tollerate dal punto di vista immunitario e sono in grado di raggiungere cervello, midollo e polmone. Lo studio su Nature Biotechnology offre un importante contributo dimostrando in modo chiaro la differenziazione delle cellule a produrre tessuto osseo». C'è però una differenza: «Come gli stessi autori dello studio americano segnalano, i risultati ottenuti con le cellule isolate dal liquido amniotico sono simili a quelli ottenuti da biopsie di placente a termine, che è il nostro campo di ricerca: allora - puntualizza la dottoressa Parolini - sarebbe forse meglio dedicarsi a questa ricerca, che non pone a nessun rischio né la madre né il bambino (perché utilizza la placenta che viene buttata via dopo il parto), come invece in minima parte avviene con l'amniocentesi, che è un esame invasivo».
«Questo studio apre una porta nuova nella ricerca - sottolinea Angelo Vescovi, codirettore dell'Istituto Cellule staminali del San Raffaele di Milano -: non solo è stato dimostrato che le cellule prelevate dal liquido amniotico hanno in vivo un potenziale equiparabile a quello delle cellule staminali embrionali, ma è stata anche trovata una metodologia per estrarle e moltiplicarle per uso terapeutico».
Di «dati preliminari» parla invece Augusto Pessina, responsabile del Laboratorio di colture cellulari del Dipartimento di sanità pubblica, microbiologia, virologia dell'Università di Milano: «La strada per le terapie è molto lunga, non basta un test in vitro o su un animale. Gli esperimenti, importanti, di questi studiosi si inseriscono in un filone di ricerca che procede da anni, con alcuni gruppi che hanno prodotto, anche in Italia, ottimi risultati, senza ottenere lo stesso clamore mediatico. E gli stessi autori hanno pubblicato lavori simili negli ultimi due anni».

da L'Avvenire di oggi 9 Gennaio 2007.

Apocalypto, The Road e altro


Un bell'articolo del più chestertoniano dei prelati cattolici oggi in circolazione (Papa a parte...), mons. Lorenzo Albacete, portoricano a New York, collaboratore di grandi testate americane e anche del settimanale Tempi (www.tempi.it) e autore di best sellers come God at the Ritz...
Giudizio molto interessante su Apocalypto, la cultura dominante e tanto altro...
Molto chestertoniano, l'autore. Anche nella straordinaria mole e nell'umorismo.

La passione di noi moderni

Dopo la morte di Gesù, Gibson racconta quella dei Maya (e la nostra). Due film che secondo Albacete andrebbero visti in ordine inverso
di Lorenzo Albacete

New York
Per due settimane, sopravvivendo a una dura competizione con pellicole dal contenuto più natalizio e con cast famosi, Apocalypto di Mel Gibson è stato campione d'incassi negli Stati Uniti. Nonostante le controversie suscitate da La passione di Cristo, la gente sembra non aver perso interesse per i film di Gibson. Dopo gli insulti antisemiti rivolti ai poliziotti che lo avevano arrestato perché guidava ubriaco, ci si sarebbe aspettati che molti critici cinematografici perdessero entusiasmo nei confronti del lavoro di Gibson, ma sorprendentemente Apocalypto è stato recensito positivamente dalla maggior parte delle pubblicazioni più prestigiose d'America. Un consenso che pare ancor più sorprendente se si considera con quale intento il regista ha detto di aver girato questo film: metterci in guardia sul collasso della nostra civiltà dovuto alla continua erosione della sua fibra morale. Intervista dopo intervista, Gibson ha ammesso di volere che il pubblico guardi al crollo della civiltà Maya come un avvertimento riguardo ai pericoli che noi stessi stiamo affrontando. E l'accettazione di questo allarme da parte dei principali critici cinematografici della cultura dominante dimostra come esso non sia affatto considerato "politicamente scorretto" nell'America di oggi.

Lo stesso messaggio di The Road
Storie sulla distruzione della nostra civiltà sono sempre state popolari. Durante la Guerra fredda molti film hanno puntato sulla paura diffusa di un olocausto nucleare (giusto l'altra sera hanno trasmesso On the Beach alla tv), ma quella era una minaccia che veniva dall'esterno, mentre ora la paura è di qualcosa che viene "dall'interno", dall'interno dei nostri stessi cuori. E questo è il messaggio di Gibson. Noi non ci troviamo ad affrontare una debolezza identica a quella della civiltà Maya, ma anche noi siano feriti dall'interno. Noi non abbiamo schiavi legali e non uccidiamo per motivi religiosi, ma allo stesso modo la gente è spinta dal film a riconoscere che l'impianto della nostra civiltà sta crollando.
Mi ricorda il messaggio di The Road, il nuovo romanzo di Cormac McCarthy. Anche The Road fu accolto entusiasticamente dai critici della cultura dominante. Apparentemente, nonostante molti vedano nella cultura dominante le cause del nostro declino, coloro che ne fanno parte sono in grado di vedere tale processo, solo che non ne individuano la causa nel loro stesso modo di pensare. Cosa vedono, invece? Ho posto questa domanda a uomini dei media, i quali però rispondono scomodando problemi come la famiglia, l'educazione, la giustizia sociale eccetera, ma non sanno come andare oltre con il loro giudizio. Alla fine di Apocalypto l'avvento del cristianesimo è anticipato dall'arrivo delle navi spagnole. In verità esso si preparava a costruire una nuova civiltà sulle rovine di quella Maya, ma nella cultura dominante questo non è considerato un miglioramento poiché in molti casi la tragica conseguenza del declino dei Maya emergeva proprio nella loro incapacità di resistere alla cultura cristiana e aliena della Spagna coloniale.
Non penso che questa sia anche la sua idea, ma vorrei che Gibson avesse invertito l'ordine dei suoi ultimi due film: prima Apocalypto, poi La passione. Questo avrebbe chiarito come la violenza inflitta su Cristo fosse la redenzione della violenza che ha distrutto una civiltà che non lo conosceva. E spiegherebbe come vedere meglio la natura della nostra debolezza e il modo per superarla.

Da Tempi n.49 del 21/12/2006

L'Avvenire di oggi


Tristi notizie per gli ideologi delle cellule staminali embrionali...

Vi invitiamo a leggere il numero di oggi de L'Avvenire. Contiene interessanti notizie sulla questione delle cellule staminali. La cosa la approfondiremo, intanto beccatevi l'icona della prima pagina. Il giornale di oggi sarà disponibile su internet solo più tardi.

venerdì 5 gennaio 2007

Gli auguri più chestertoniani

Cari Amici, la Società Chestertoniana ha ricevuto per Natale tanti tanti auguri, ma forse i più "chestertoniani" ed originali ci sono arrivati dal grande Bobo Persico, chestertoniano con le bretelle, redattore del battagliero settimanale "Tempi". Eccoveli!

CHE SCHERZO!

E se invece venisse davvero?
Se la preghiera, la letterina, il desiderio espresso così, più che altro per gioco venisse preso sul serio?
Se il regno della fiaba e del mistero
si avverasse? Se accanto al fuoco
al mattino si trovassero i doni
la bambola il revolver il treno
il micio l'orsacchiotto il leone
che nessuno di voi ha comperati?
Se la vostra bella sicurezza
nella scienza e nella dea ragione
andasse a carte quarantotto?
Con imperdonabile leggerezza
forse troppo ci siamo fidati.

E se sul serio venisse?
Silenzio! O Gesù Bambino
per favore cammina piano
nell'attraversare il salotto.
Guai se tu svegli i ragazzi,
che disastro sarebbe per noi
così colti così intelligenti
brevettati miscredenti
noi che ci crediamo chissà cosa
coi nostri atomi coi nostri razzi.
Fa’ piano, Bambino, se puoi.

Dino Buzzati, Lo strano Natale di Mr. Scrooge e altre storie, Mondadori


Dopo la poesia e la musica, il gusto per la bellezza si esercita negli uomini attraverso il cibo e il vino.
Don Luigi Giussani

Dioniso faceva del vino non una medicina, ma un sacramento. Omar, invece, ne fa non un sacramento, ma una medicina. Egli si dà al piacere perché la vita non è gioiosa; gozzoviglia perché non è lieto. «Bevi» dice, «poiché non sai donde vieni né perché. Bevi, perché non sai quando te ne andrai né dove. Bevi, perché le stelle sono crudeli e il mondo è vano come una trottola musicale. Bevi, perché non c’è nulla degno di fiducia, nulla degno di lotta. Bevi, perché tutte le cose sono scivolate in una meschina uniformità e in una pace maligna». Così si leva offrendoci la coppa nella sua mano. E sull’eccelso altare del cristianesimo si leva un’altra figura, nella cui mano è un’altra coppa di vino. «Bevete» dice «perché l’intero mondo è rosso come questo vino, per il vermiglio dell’amore e della collera divina. Bevete, perché le trombe chiamano alla battaglia e questo è il bicchiere della staffa. Bevete, per questo mio sangue del nuovo testamento che è sparso per voi. Bevete, perché io so donde venite e perché. Bevete, perché io so quando ve ne andrete e dove».

Gilbert Keith Chesterton, Eretici

I guai cominciano quando si inizia a passare sopra alla maleducazione. Quando non si sente più dire Grazie e Per favore, vuol dire che la fine è vicina.

Cormac McCarthy, Non è un paese per vecchi

mercoledì 3 gennaio 2007

Il "pianto" per Saddam e il relativismo che minaccia la pace


Buon Anno 2007!
Pubblichiamo un interessante articolo di AsiaNews, l'agenzia di stampa diretta dal nostro amico padre Bernardo Cervellera. E' un giudizio sui fatti relativi all'esecuzione di Saddam Hussein. Lo troviamo interessante e lo rilanciamo.

Il "pianto" per Saddam e il relativismo che minaccia la pace

di Bernardo Cervellera

Roma (AsiaNews) - Siamo ancora segnati dal dolore e dalla preghiera per l'esecuzione di Saddam Hussein. Ma non possiamo non denunciare tanta ipocrisia da parte dei molti campioni contro la pena di morte che l'ex dittatore irakeno è riuscito a radunare prima e dopo la sua impiccagione. Perché questi "professionisti" dello scandalo per la pena di morte comminata contro un uomo che ammirava – e seguiva – Hitler , poco si dolgono di altre condanne a morte e di altre violenze? Quando mai un vescovo cinese scomparso e ucciso nei lager ha trovato tanta solidarietà? Quando indù, cristiani, musulmani imprigionati nelle carceri saudite o iraniane hanno goduto di tanto sdegno internazionale e sostegno personale e pubblico?

Il piangere da un occhio solo da parte di personaggi o organizzazioni è segno non solo di una soffocante visione ideologica, ma di un profondo relativismo. Il relativismo, è un pericolo alla pace alla stregua del terrorismo e della guerra. Questo atteggiamento così diffuso in occidente, che vuole scrollarsi di dosso qualunque certezza e qualunque quadro di valori, che innalza i tiranni e nasconde i perseguitati, che parla in modo ovattato di tutto perché non si interessa di nulla, è stato messo da papa Benedetto XVI fra i veri pericoli della pace nel suo Messaggio per la Giornata Mondiale della pace 2007.

Finora avevamo sempre pensato che il militarismo, le guerre, i carri armati, le bombe atomiche e nucleari erano ciò che uccide la pace. E lo sono. Tutti gli strumenti di offesa sono frutto di ideologie che vedono la soppressione dell'altro come condizione indispensabile alla vittoria delle proprie idee. Ma nel Messaggio di quest'anno il pontefice punta il dito su quelle concezioni relativistiche della persona che svuotano di ogni senso universale i diritti dell'uomo e il valore della persona umana.

Da anni all'Onu, al Parlamento europeo e in altre organizzazioni internazionali si suggerisce una visione di questo tipo per cui i diritti di un cinese o di un africano non sono uguali a quelli di un europeo, o un americano. Il risultato – lo documentiamo spesso in AsiaNews – è sempre il disinteresse verso la sorte di milioni di persone uccise, torturate, soffocate nella loro espressione, mentre la vela dei propri interessi nazionali ed economici viaggia su mari tranquilli. Alcuni mesi fa, in prossimità dei colloqui fra Cina ed Europa, Antti Kuosmanen, ambasciatore finlandese a Pechino, ha dichiarato candidamente che "i diritti umani" non sono "un punto dominante" del rapporto.

Se si prende in considerazione che le stesse organizzazioni – Onu e Parlamento europeo – combattono una guerra per "la libertà" nella definizione del genere (maschio, femmina, lesbica, gay, ecc…), delle coppie di fatto, dell'aborto come "diritto riproduttivo", della manipolazione degli embrioni, si comprende che questo relativismo non è altro che una grave forma di schizofrenia. Lo abbiamo vista in atto anche con la morte di Saddam Hussein.

Come un dottore sapiente e pietoso, Benedetto XVI traccia altre forme di questa malattia. Fra queste vi è un modo distorto di affrontare i problemi ecologici. Il papa nel suo Messaggio chiede a tutti di maturare verso "un'ecologia sociale", che comprenda l'attenzione all'uomo e al destino dei popoli. Per questo l'impegno contro l'inquinamento dei mari, per la salvaguardia di specie faunistiche in estinzione e per la ricerca di energie alternative non può dimenticare che al centro di tutto (e non come problema da eliminare) vi sono gli esseri umani. Le energie che si investono per la difesa delle balene, o per piangere il delfino bianco dello Yangtze devono essere ridistribuite per aiutare gli uomini a trovare la via di uno sviluppo
sostenibile e dignitoso, che comprende la cura delle malattie e il diritto all'acqua potabile.

E se i diritti umani sono per tutti, bisogna che la libertà religiosa sia perseguita non solo (ed è giusto) per i musulmani in Europa, ma anche per i cristiani che vivono nel mondo islamico.

Questo disinteresse per l'elemento "uomo" nel pacifismo ecologico e diplomatico mondiale pesca in una malattia ancora più radicale, che è un pessimismo sull'uomo e sul suo valore, sulla sua capacità di rispondere a compiti e doveri. Per questo, invece di fare appello alla sua responsabilità, si scelgono le vie drastiche del potere, della guerra, dell'eliminazione, della schiavitù o la violenza dell'indifferenza.

Il papa nel suo Messaggio suggerisce anche una medicina: per rimettere l'uomo al centro della pace, occorre rimettere Dio al centro della vita dell'uomo. Benedetto XVI suggerisce due piste fondamentali: affermare il diritto alla vita, come "un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità"; affermare la libertà religiosa perché essa "pone l'essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all'arbitrio dell'uomo".

Senza queste due direzioni il relativismo e la schizofrenia ci portano solo all'eutanasia e alla dittatura, alla guerra e alla cultura di morte.